Processo penale: valore della testimonianza dell'offeso
Mentre nel processo civile non è ammessa come fonte di prova la testimonianza del danneggiato, nel processo penale la sentenza di colpevolezza che attribuisce la responsabilità di un reato può essere basata anche solo sulle dichiarazioni della persona offesa. Pertanto anche la sola dichiarazione della parte offesa può costituire la prova del reato.
Le norme procedurali in materia penale sulla "valutazione della prova" che pongono limitazioni alla prova testimoniale costituita dalle dichiarazioni rese dal coimputato o persona imputata in un procedimento connesso NON vengono estese anche alle dichiarazioni rese dalla persona offesa.
Infatti l'art 192 comma 3 c.p.p. prevede che SOLO le dichiarazioni rese dal coimputato o persona imputata in un procedimento connesso debbano essere valutate unitamente ad altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità.
La giurisprudenza concorda con la norma penale sopradescritta, ma con qualche limitazione asserendo che il Giudicante dovrà valutare attentamente la credibilità della persona offesa che può costituire da sola fonte di prova.
La Suprema Corte di Cassazione con sentenza a Sezioni Unite n. 41461 del 19.07.2012 - depositata il 24.10.2012 richiede infatti la "previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi altro testimone".
Il predetto dettato normativo è particolarmente importante in relazione ai reati in materia di violenza sessuale dove anche la sola dichiarazione della persona offesa può portare alla condanna dell'imputato.
La giurisprudenza è costante nell'insistere circa il "vaglio di attendibilità" della persona offesa.
In materia di violenza sessuale nei confronti di una minore la Cassazione con sentenza n. 45920 del 06.11.2014 ha affermato che "Le dichiarazioni della vittima di un reato possono essere assunte anche da sole come fonte di prova per la condanna dell'imputato ove sottoposte a un vaglio positivo di credibilità oggettiva e soggettiva: ... attraverso un esame rigoroso e penetrante che tenga conto anche degli altri elementi eventualmente emergenti dagli atti".
Anche in tema di maltrattamenti in famiglia la suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 20498 del 28.05.2010 ripercorre la medesima linea rilevando che "le dichiarazioni della persona offesa, ove ritenute intrinsecamente attendibili, possono costituire vera e propria fonte di prova su cui può essere fondata la colpevolezza dell'imputato; tuttavia la relativa valutazione deve essere adeguatamente motivata ogni qualvolta i denunciati maltrattamenti si sono consumati ai danni del coniuge, all'interno della casa coniugale, senza testimoni diretti delle condotte violente o vessazioni che avrebbe posto l'imputato nei confronti dell'altro coniuge" .
In caso contrario, se non si ponesse l'attenzione sul vaglio di attendibilità della persona offesa, si arriverebbe al paradosso di una sentenza di condanna fondata unicamente sulla base di una dichiarazione resa da un'altra persona. Il vaglio è demandato al Giudicante che, come sopra indicato, dovrà motivare la sua valutazione.
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