Prodotti di lusso e piattaforme "popolari"
La moda ai tempi di internet all'attenzione della CGUE. La rinomanza del "brand" impedisce la vendita automatica anche su piattaforme terze.
L'Avvocato Generale presso la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha indicato, in un parere molto atteso, che un fornitore di prodotti di lusso può vietare ai suoi distributori al dettaglio autorizzati di vendere i propri prodotti su piattaforme terze definite "popolari".
Un divieto del genere, che mira a preservare l’immagine di lusso dei prodotti interessati, non ricade, a determinate condizioni, nel divieto di intese, in quanto è idoneo a migliorare la concorrenza basata su criteri qualitativi.
Ecco quindi un importante discrimine destinato a creare ampio dibattito se tale indicazione verrà confermata al termine del giudizio.
Il parere dell’Avvocato Generale è stato reso all’interno di un procedimento originato da una richiesta dell’Oberlandesgericht Frankfurt am Main (Tribunale del Land, Francoforte sul Meno) alla Corte di Giustizia circa la compatibilità del divieto in esame con il diritto della concorrenza dell’Unione.
Nelle sue conclusioni, l’Avvocato Generale rammenta dapprima che la Corte ha già riconosciuto come, in considerazione delle loro caratteristiche e della loro natura, i prodotti di lusso possano richiedere la predisposizione di un sistema di distribuzione selettiva per preservarne la qualità e garantirne l’uso corretto.
Il ragionamento dell’Avvocato Generale prende le mosse dall’analisi di una sentenza della Corte del 25 Ottobre 1977, Metro SB-Großmärkte/Commissione (26/76), che respinge la tesi secondo cui tale giurisprudenza sarebbe stata messa in discussione dalla sentenza della Corte del 13 Ottobre 2011, Pierre Fabre Dermo-Cosmétique (C-439/09). I sistemi di distribuzione selettiva relativi alla distribuzione di prodotti di lusso e di prestigio e finalizzati primariamente a preservare l’«immagine di lusso» di tali prodotti non rientrano a priori nell’ambito di applicazione del divieto di intese, previsto all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE., laddove siano rispettati tre criteri: 1) i rivenditori vengano scelti sulla base di criteri oggettivi di natura qualitativa stabiliti in maniera uniforme per tutti e applicati in modo non discriminatorio a tutti i potenziali rivenditori; 2) la natura del prodotto in questione, ivi compresa l’immagine di prestigio, richieda una distribuzione selettiva al fine di preservarne la qualità e di assicurarne l’uso corretto e 3) i criteri stabiliti non vadano oltre il necessario.
Poi, per quanto riguarda più precisamente la clausola con la quale si vieti ai distributori al dettaglio autorizzati di servirsi in modo riconoscibile di piattaforme di terzi per la vendita su Internet dei prodotti oggetto del contratto, l’Avvocato Generale argomenta che neppure una clausola siffatta ricada nel divieto di intese quando 1) è condizionata dalla natura del prodotto; 2) è stabilita in modo uniforme e applicata indifferentemente e 3) non va oltre quanto è necessario. In ultima analisi, spetterà ai tribunali accertare nel concreto se e quando tali ipotesi ricorrano.
Quanto alla proporzionalità, l’Avvocato Generale non ravvisa elementi che consentano di concludere che il divieto controverso debba essere in generale considerato sproporzionato rispetto allo scopo perseguito. Egli rileva, segnatamente, che il rispetto dei requisiti qualitativi che può essere legittimamente imposto nell’ambito di un sistema di distribuzione selettiva può essere efficacemente assicurato soltanto se l’ambiente di vendita tramite Internet sia concepito dai rivenditori autorizzati, i quali sono contrattualmente legati al fornitore/leader della rete di distribuzione, e non da un gestore terzo le cui pratiche sfuggono all’influenza di tale fornitore, potendo così svilire il prestigio del marchio e la qualità del prodotto.
Staremo a vedere come si concluderà la procedura e se la CGUE sposerà o meno il parere dell'Avvocato Generale su di una così importante questione.
Un divieto del genere, che mira a preservare l’immagine di lusso dei prodotti interessati, non ricade, a determinate condizioni, nel divieto di intese, in quanto è idoneo a migliorare la concorrenza basata su criteri qualitativi.
Ecco quindi un importante discrimine destinato a creare ampio dibattito se tale indicazione verrà confermata al termine del giudizio.
Il parere dell’Avvocato Generale è stato reso all’interno di un procedimento originato da una richiesta dell’Oberlandesgericht Frankfurt am Main (Tribunale del Land, Francoforte sul Meno) alla Corte di Giustizia circa la compatibilità del divieto in esame con il diritto della concorrenza dell’Unione.
Nelle sue conclusioni, l’Avvocato Generale rammenta dapprima che la Corte ha già riconosciuto come, in considerazione delle loro caratteristiche e della loro natura, i prodotti di lusso possano richiedere la predisposizione di un sistema di distribuzione selettiva per preservarne la qualità e garantirne l’uso corretto.
Il ragionamento dell’Avvocato Generale prende le mosse dall’analisi di una sentenza della Corte del 25 Ottobre 1977, Metro SB-Großmärkte/Commissione (26/76), che respinge la tesi secondo cui tale giurisprudenza sarebbe stata messa in discussione dalla sentenza della Corte del 13 Ottobre 2011, Pierre Fabre Dermo-Cosmétique (C-439/09). I sistemi di distribuzione selettiva relativi alla distribuzione di prodotti di lusso e di prestigio e finalizzati primariamente a preservare l’«immagine di lusso» di tali prodotti non rientrano a priori nell’ambito di applicazione del divieto di intese, previsto all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE., laddove siano rispettati tre criteri: 1) i rivenditori vengano scelti sulla base di criteri oggettivi di natura qualitativa stabiliti in maniera uniforme per tutti e applicati in modo non discriminatorio a tutti i potenziali rivenditori; 2) la natura del prodotto in questione, ivi compresa l’immagine di prestigio, richieda una distribuzione selettiva al fine di preservarne la qualità e di assicurarne l’uso corretto e 3) i criteri stabiliti non vadano oltre il necessario.
Poi, per quanto riguarda più precisamente la clausola con la quale si vieti ai distributori al dettaglio autorizzati di servirsi in modo riconoscibile di piattaforme di terzi per la vendita su Internet dei prodotti oggetto del contratto, l’Avvocato Generale argomenta che neppure una clausola siffatta ricada nel divieto di intese quando 1) è condizionata dalla natura del prodotto; 2) è stabilita in modo uniforme e applicata indifferentemente e 3) non va oltre quanto è necessario. In ultima analisi, spetterà ai tribunali accertare nel concreto se e quando tali ipotesi ricorrano.
Quanto alla proporzionalità, l’Avvocato Generale non ravvisa elementi che consentano di concludere che il divieto controverso debba essere in generale considerato sproporzionato rispetto allo scopo perseguito. Egli rileva, segnatamente, che il rispetto dei requisiti qualitativi che può essere legittimamente imposto nell’ambito di un sistema di distribuzione selettiva può essere efficacemente assicurato soltanto se l’ambiente di vendita tramite Internet sia concepito dai rivenditori autorizzati, i quali sono contrattualmente legati al fornitore/leader della rete di distribuzione, e non da un gestore terzo le cui pratiche sfuggono all’influenza di tale fornitore, potendo così svilire il prestigio del marchio e la qualità del prodotto.
Staremo a vedere come si concluderà la procedura e se la CGUE sposerà o meno il parere dell'Avvocato Generale su di una così importante questione.
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