Quando chiedere l'addebito della separazione per infedeltà del coniuge
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Quando si può chiedere l'addebito della separazione per violazione dell'obbligo di fedeltà del coniuge?
L'art. 151 del Codice Civile prevede espressamente che: “La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all'educazione della prole.
Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio”.
Dalla lettura della norma deriva che condizione essenziale per la dichiarazione della separazione è l'intollerabilità della convivenza ed il grave pregiudizio all’educazione della prole. L'addebito viene previsto solo laddove espressamente richiesto dal coniuge, e se ne ricorrano le circostanze.
L'inosservanza del dovere di fedeltà, previsto come obbligo derivante dal matrimonio, per la sua gravità, determina senza dubbio l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, giustificando sempre la richiesta della separazione, ma non è sufficiente da solo per giustificare l'addebito.
I giudici sia di merito che di legittimità sono concordi nel ritenere che l'infedeltà del coniuge rileva solo quando sia stata la causa della crisi familiare.
Sicché la violazione dell'obbligo di fedeltà non rileverà quando vi era già una crisi familiare in atto e la convivenza coniugale era ormai meramente formale (Cass. 14.02.2012, n. 2059, nonché Cass. 7.12.2007, n. 25618).
Su chi grava l'onere della prova della violazione dell'obbligo di fedeltà?
Con una recente sentenza, sotto trascritta, la Corte di Cassazione (30/10/2019 n. 27777), confermando l'orientamento prevalente dei giudici, impone alla parte che vuole fare valere la violazione dell'obbligo di fedeltà, di provare la relativa condotta ed il nesso causale con l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza.
Spetta, invece, a chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti alla base della domanda, ossia la non idoneità dell'infedeltà a rendere intollerabile la convivenza, provare le circostanze su cui l'eccezione si fonda.
Quando può essere utile chiedere l'addebito della separazione per infedeltà del coniuge?
Avere una sentenza con addebito della separazione, a carico di un coniuge infedele, può essere utile solo laddove al coniuge infedele spetti un assegno di mantenimento.
Infatti, sono due le conseguenze dirette dell'addebito, vale a dire l’impossibilità, per il coniuge con l’addebito, di chiedere un assegno di mantenimento e la perdita, sempre per il coniuge con l’addebito, dei diritti ereditari sull’altro. Si tenga presente che comunque con il divorzio si perdono i diritti ereditari e, grazie al divorzio breve, nell'arco di un anno si riesce ad ottenere lo scioglimento del matrimonio.
Pertanto può essere inutile chiedere l'addebito della separazione laddove chi ha commesso il tradimento non ha comunque diritto all'assegno di mantenimento.
Sentenza Corte Cassazione sull'onere della prova nel caso di violazione dell'obbligo fedeltà
Cassazione civile sez. VI, 30/10/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 30/10/2019), n. 27777
Omissis
Con il primo motivo d'impugnazione la ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., e degli artt. 116 e 183 c.p.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, ai fini della pronuncia in ordine alle reciproche domande di addebito della separazione, ha rigettato l'istanza di ammissione delle prove testimoniali da lei dedotte a sostegno dell'allegata riconducibilità della crisi coniugale al comportamento opprimente, assente e moralmente discutibile del coniuge e della assenza di nesso causale con la relazione extraconiugale da lei intrapresa, e ha omesso di valorizzare la relazione del c.t.u., da cui emergevano profili rilevanti della personalità dell' I.;
che il motivo è inammissibile, in quanto il rigetto dell'istanza di ammissione delle prove testimoniali è censurabile in sede di legittimità esclusivamente per vizio di motivazione, configurabile a condizione che lo stesso si sia tradotto nell'omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, e quindi che la prova non ammessa sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie in base alle quali si è formato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (cfr. Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. III, 7/03/2017, n. 5654);
che la deduzione del predetto vizio postula d'altronde che la parte non si limiti ad indicare le prove non ammesse, trascrivendo nel ricorso i capitoli che ne costituiscono oggetto o fornendo le indicazioni necessarie per rintracciarli negli atti di causa, ma evidenzi l'esistenza di un nesso eziologico tra l'omesso accoglimento dell'istanza e l'errore addebitato al giudice, dimostrando che la pronuncia, senza quell'errore, sarebbe stata diversa, in modo da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove (cfr. Cass., Sez. I, 4/10/2017, n. 23194; 22/02/2007, n. 4178);
che nella specie, invece, la ricorrente si limita a richiamare i capitoli di prova dedotti nelle memorie depositate ai sensi dell'art. 183 c.p.c., comma 6, e nell'atto di appello, insistendo genericamente sull'idoneità degli stessi a dimostrare la riconducibilità della crisi coniugale al comportamento tenuto dal coniuge, senza censurare specificamente le ragioni addotte dalla sentenza impugnata a fondamento del giudizio d'irrilevanza e contraddittorietà delle circostanze capitolate, e senza tener conto dell'affermazione della Corte territoriale, avente carattere dirimente, secondo cui nessuna istanza istruttoria era stata avanzata in riferimento ai più gravi comportamenti addebitati all' I.;
che pertanto, anche a voler prescindere dall'esclusivo riferimento della ricorrente al vizio di violazione di legge, le predette censure non possono trovare ingresso in questa sede, risolvendosi nella sollecitazione di un nuovo apprezzamento in ordine all'ammissibilità ed alla rilevanza dei mezzi di prova, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nelle sentenza impugnata, nonché la coerenza logica delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie risultano ancora censurabili ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134;
che per analoghi motivi risultano inammissibili le censure riflettenti l'omessa valorizzazione delle argomentazioni svolte nella relazione del c.t.u., delle quali la ricorrente si limita ad evidenziare genericamente l'idoneità a fornire "spunti di estrema rilevanza" in ordine alla personalità del coniuge, in quanto fondate su dichiarazioni rese da quest'ultimo, affermandone l'utilizzabilità come elementi indiziari, senza neppure considerare che le stesse non riguardavano fatti storici, ma profili caratteriali dell' I., inidonei a giustificare una pronuncia di addebito della separazione, in mancanza della prova di comportamenti da lui tenuti in violazione dei doveri coniugali;
che con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 151 e 156 c.c., ribadendo che, nell'attribuire rilevanza assorbente alla relazione extraconiugale da lei intrapresa, la sentenza impugnata ha omesso di procedere ad una valutazione globale e comparativa delle condotte tenute dai coniugi e di tener conto della situazione di crisi familiare già irrimediabilmente in atto a quell'epoca, ritenendo provato il nesso causale tra quest'ultima e la condotta infedele di essa ricorrente sulla base delle dichiarazioni rese dal c.t.u., senza che l' I. avesse fornito elementi di prova decisivi al riguardo;
che il motivo è infondato, in quanto, nell'addebitare la separazione alla ricorrente, la Corte distrettuale si è correttamente attenuta al principio, più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la parte che faccia valere la violazione dell'obbligo di fedeltà da parte dell'altro coniuge è tenuta a provare la relativa condotta ed il nesso causale con l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, mentre incombe a chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi l'inidoneità dell'infedeltà a rendere intollerabile la convivenza, l'onere di provare le circostanze su cui l'eccezione si fonda, vale a dire l'anteriorità della crisi matrimoniale all'accertata infedeltà (cfr. Cass., Sez. VI, 19/02/2018, n. 3923; Cass., Sez. I, 14/02/2012, n. 2059);
che infatti, dato atto della mancata contestazione dell'intervenuta violazione dell'obbligo di fedeltà da parte della ricorrente, la sentenza impugnata ha posto in risalto da un lato la mancata dimostrazione dei fatti allegati a sostegno dell'asserita anteriorità della crisi familiare rispetto alla relazione extraconiugale da lei intrapresa, dall'altro l'infondatezza dell'assunto secondo cui il coniuge avrebbe a lungo tollerato il tradimento, richiamando la relazione del c.t.u. soltanto ad ulteriore conforto degli elementi risultanti dagli atti di parte e dalla documentazione prodotta;
che nel contestare la rilevanza degli elementi posti a fondamento della decisione, la ricorrente sollecita ancora una volta una rivisitazione dell'accertamento dei fatti risultante dalla sentenza impugnata, non censurabile in sede di legittimità per violazione di legge, ma esclusivamente per vizio di motivazione, configurabile nel caso di omessa valutazione di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza impugnata o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo, ovvero nel caso in cui la motivazione risulti totalmente assente o meramente apparente, oppure perplessa, incomprensibile o contraddittoria, al punto tale da rendere impossibile l'individuazione del percorso logico seguito per giungere alla decisione (cfr. Cass., Sez. VI, 25/09/ 2018, n. 22598; Cass., Sez. II, 13/08/2018, n. 20721; Cass., Sez. III, 12/10/ 2017, n. 23940);
che il rigetto dei primi due motivi comporta l'assorbimento del terzo, con cui la ricorrente ha lamentato la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 115,151 e 156 c.p.c., chiedendo, in caso di accoglimento delle censure riguardanti l'addebito della separazione, il riesame della domanda di riconoscimento dell'assegno di mantenimento;
che con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell'art. 433 c.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, ai fini del rigetto della domanda di riconoscimento dell'assegno alimentare, ha conferito rilievo all'apporto economico fornitole dal suo attuale compagno, non allegato dalla difesa dell' I. e non avente comunque carattere di stabilità, in assenza di un rapporto di convivenza;
che, nell'escludere la sussistenza dello stato di bisogno, necessario per il riconoscimento del diritto agli alimenti, la Corte territoriale ha svolto due distinti ordini di considerazioni, autonomamente idonee a sorreggere la decisione adottata, e costituite rispettivamente dal contributo economico fornito alla ricorrente dal nuovo compagno e dalla mancata prova dell'impossibilità oggettiva di provvedere autonomamente al proprio sostentamento;
che, nell'impugnare la predetta statuizione, la ricorrente si limita a negare il predetto apporto ed a contestarne comunque la stabilità, senza censurare l'affermazione della sentenza impugnata, secondo cui ella è ancora in grado di procurarsi da sola i mezzi economici necessari per il suo mantenimento, avendo quarantacinque anni e non risultando affetta da patologie;
che nel caso in cui, come nella specie, la decisione sia fondata su una pluralità di ragioni logicamente e giuridicamente distinte, la mancata impugnazione di alcune delle stesse rende inammissibili, per difetto d'interesse, le censure relative alle altre, non potendo queste ultime condurre all'annullamento della sentenza, destinata a reggersi autonomamente sulla base delle ragioni non contestate (cfr. Cass., Sez. I, 29/12/2017, n. 31182; Cass., Sez. VI, 18/04/2017, n. 9752; Cass., Sez. III, 14/02/2012, n. 2108);
che il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
PQM
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del contro-ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.
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