Quando la testa se ne va ... altrove
Il "disturbo dell'attenzione"

Una delle problematiche psicologiche più frequentemente diagnosticate oggigiorno è il cosiddetto "disturbo dell'attenzione".
Si manifesta con incapacità di concentrarsi mentalmente nell'esecuzione di un compito, nello svolgimento di un'attività intellettuale che implichi un restringimento ed una focalizzazione dell'attenzione in un'ambito definito e circoscritto: come ad esempio nella lettura di un libro, nella risoluzione di un problema aritmetico, o persino nello svolgimento di un test finalizzato alla valutazione dell'idoneità di un candidato ad un posto di lavoro.
In alcuni soggetti, soprattutto in età evolutiva, il disturbo dell'attenzione si accompagna frequentemente ad un comportamento irrequieto, sino all'incapacità di stare "fermi" anche in senso fisico, corporeo: una condotta che riscontrano talvolta maestri e insegnanti in alcuni loro allievi, conseguentemente diagnosticati dagli psicologi scolastici come soggetti
"iper-attivi".
Così, in un'epoca a sua volta tecnologicamente "iper-attiva", in cui a chiunque è richiesta una cospicua sedentarietà e al contempo un'elevata capacità di "isolamento" dell'attenzione da tutto quanto potrebbe sviarla da attività altamente finalizzate e concentrate, accade che chi accusi un simile sintomo sviluppi concomitantemente un'elevata ansietà: un'ansietà derivante dalla paura di non essere all'altezza della situazione, con ripercussioni negative sulle effettive possibilità di conseguire importanti obbiettivi sia in ambito scolastico che professionale.
Come un "serpente che si morde la coda", l'ansia in tali casi accentua l'incapacità di concentrazione, e dunque la criticità della situazione.
Nei casi in cui il quadro clinico risulta particolarmente critico, un utile aiuto può essere costituito da un intervento psicoterapeutico che miri anzitutto a spezzare quello che appare come un fatale, negativo circolo vizioso.
Come, ci si chiederà?
Non sussistono risposte prestabilite, a tale domanda, risultando sempre necessario considerare e indagare concretamente ogni singolo caso.
Tuttavia si possono delineare alcune considerazioni generiche la cui validità prescinde dalla specificità di ciascuna situazione effettiva.
Essere interiormente "diviso", dunque in conflitto, è la radice del problema, per chi soffre di un disturbo dell'attenzione.
Il conflitto in sè e per sè genera disarmonìa, determinando un diffuso malessere e quel vago disagio che deriva dalla sensazione di dover sempre "lottare con sè stessi", per il raggiungimento di uno scopo.
Un'intimo contrasto talvolta esacerbato da un dispendioso quanto vano sforzo di volontà:
"tento in tutti i modi di concentrarmi ma... non ci riesco...
la testa se ne và sempre... altrove"
afferma frequentemente il paziente in casi del genere.
Una terapia psicologica ad orientamento dinamico istituisce uno "spazio" ed un "tempo" entro i quali ciò che normalmente e altrove - ovvero nelle comuni situazioni della vita quotidiana - è considerato come pura e semplice "interferenza" e "disturbo" può ricevere un'attenzione e una considerazione specifica: diremmo un vero e proprio ri-guardo.
A fronte di un comune orientamento negativo un certo approccio terapeutico ne promuove poco a poco uno più comprensivo, ovvero propenso a cogliere il valore psicologico del sintomo, con le sue (spesso molteplici) stratificazioni di senso e le loro varie implicazioni.
In questo modo, quello che viene considerato come semplice intralcio e ostacolo, appunto come un mero "disturbo dell'attenzione", frequentemente rivela qualcosa d'altro, di più significativo e profondo, per l'esistenza di una persona considerata nella sua totalità e interezza.
Si manifesta con incapacità di concentrarsi mentalmente nell'esecuzione di un compito, nello svolgimento di un'attività intellettuale che implichi un restringimento ed una focalizzazione dell'attenzione in un'ambito definito e circoscritto: come ad esempio nella lettura di un libro, nella risoluzione di un problema aritmetico, o persino nello svolgimento di un test finalizzato alla valutazione dell'idoneità di un candidato ad un posto di lavoro.
In alcuni soggetti, soprattutto in età evolutiva, il disturbo dell'attenzione si accompagna frequentemente ad un comportamento irrequieto, sino all'incapacità di stare "fermi" anche in senso fisico, corporeo: una condotta che riscontrano talvolta maestri e insegnanti in alcuni loro allievi, conseguentemente diagnosticati dagli psicologi scolastici come soggetti
"iper-attivi".
Così, in un'epoca a sua volta tecnologicamente "iper-attiva", in cui a chiunque è richiesta una cospicua sedentarietà e al contempo un'elevata capacità di "isolamento" dell'attenzione da tutto quanto potrebbe sviarla da attività altamente finalizzate e concentrate, accade che chi accusi un simile sintomo sviluppi concomitantemente un'elevata ansietà: un'ansietà derivante dalla paura di non essere all'altezza della situazione, con ripercussioni negative sulle effettive possibilità di conseguire importanti obbiettivi sia in ambito scolastico che professionale.
Come un "serpente che si morde la coda", l'ansia in tali casi accentua l'incapacità di concentrazione, e dunque la criticità della situazione.
Nei casi in cui il quadro clinico risulta particolarmente critico, un utile aiuto può essere costituito da un intervento psicoterapeutico che miri anzitutto a spezzare quello che appare come un fatale, negativo circolo vizioso.
Come, ci si chiederà?
Non sussistono risposte prestabilite, a tale domanda, risultando sempre necessario considerare e indagare concretamente ogni singolo caso.
Tuttavia si possono delineare alcune considerazioni generiche la cui validità prescinde dalla specificità di ciascuna situazione effettiva.
Essere interiormente "diviso", dunque in conflitto, è la radice del problema, per chi soffre di un disturbo dell'attenzione.
Il conflitto in sè e per sè genera disarmonìa, determinando un diffuso malessere e quel vago disagio che deriva dalla sensazione di dover sempre "lottare con sè stessi", per il raggiungimento di uno scopo.
Un'intimo contrasto talvolta esacerbato da un dispendioso quanto vano sforzo di volontà:
"tento in tutti i modi di concentrarmi ma... non ci riesco...
la testa se ne và sempre... altrove"
afferma frequentemente il paziente in casi del genere.
Una terapia psicologica ad orientamento dinamico istituisce uno "spazio" ed un "tempo" entro i quali ciò che normalmente e altrove - ovvero nelle comuni situazioni della vita quotidiana - è considerato come pura e semplice "interferenza" e "disturbo" può ricevere un'attenzione e una considerazione specifica: diremmo un vero e proprio ri-guardo.
A fronte di un comune orientamento negativo un certo approccio terapeutico ne promuove poco a poco uno più comprensivo, ovvero propenso a cogliere il valore psicologico del sintomo, con le sue (spesso molteplici) stratificazioni di senso e le loro varie implicazioni.
In questo modo, quello che viene considerato come semplice intralcio e ostacolo, appunto come un mero "disturbo dell'attenzione", frequentemente rivela qualcosa d'altro, di più significativo e profondo, per l'esistenza di una persona considerata nella sua totalità e interezza.
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