Reati tributari e sequestro
Sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente e sequestro diretto: limiti applicativi.
Sent. Cass. Pen. Sez. III, n. 37256/16
Sent. Cass. Pen. Sez. III, n. 37256/16

Con la pronuncia in esame, la Suprema Corte di Cassazione è tornata nuovamente ad affrontare la questione relativa alla sussidiarietà dello strumento del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente rispetto al sequestro diretto.
Contestualmente, gli Ermellini hanno avuto modo di esprimersi sulla nozione di profitto, quale oggetto del sequestro.
La vicenda in sintesi: Il G.I.P. rigettava la richiesta del P.M. di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente.
La richiesta di sequestro era stata avanzata nei confronti del legale rappresentante di una società s.n.c. e della medesima persona giuridica per l’ipotesi di reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
La pronuncia del GIP veniva confermata anche dal Tribunale del Riesame a seguito di appello proposto dal P.M.
Avverso tale ultima pronuncia, il Procuratore della Repubblica proponeva ricorso per cassazione.
La Pubblica Accusa lamentava in sostanza violazione di legge in ordine al rapporto tra sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente e sequestro diretto, nonché una erronea interpretazione della nozione di profitto in materia di reati fiscali.
I giudici della Cassazione, invero, nel confermare la decisione del Riesame, hanno precisato, che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente ha carattere sussidiario rispetto al sequestro diretto e può essere disposto anche in caso di momentanea impossibilità di reperire il profitto; impossibilità che deve, però, sussistere al momento della richiesta di adozione della misura cautelare.
Quanto al profitto, il Supremo Collegio evidenziava la necessità - ai fini dell’applicazione del sequestro preventivo per equivalente - della sua precisa individuazione attraverso specifiche attività d’indagine come la ricerca di conti correnti o l’esame della contabilità della società. Attività che, nel caso in oggetto non era stata compiuta.
Rimarcava, altresì, il Collegio come non potesse rientrare nel concetto di profitto, sempre ai fini del sequestro per equivalente, il c.d. risparmio di spesa.
Contestualmente, gli Ermellini hanno avuto modo di esprimersi sulla nozione di profitto, quale oggetto del sequestro.
La vicenda in sintesi: Il G.I.P. rigettava la richiesta del P.M. di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente.
La richiesta di sequestro era stata avanzata nei confronti del legale rappresentante di una società s.n.c. e della medesima persona giuridica per l’ipotesi di reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
La pronuncia del GIP veniva confermata anche dal Tribunale del Riesame a seguito di appello proposto dal P.M.
Avverso tale ultima pronuncia, il Procuratore della Repubblica proponeva ricorso per cassazione.
La Pubblica Accusa lamentava in sostanza violazione di legge in ordine al rapporto tra sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente e sequestro diretto, nonché una erronea interpretazione della nozione di profitto in materia di reati fiscali.
I giudici della Cassazione, invero, nel confermare la decisione del Riesame, hanno precisato, che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente ha carattere sussidiario rispetto al sequestro diretto e può essere disposto anche in caso di momentanea impossibilità di reperire il profitto; impossibilità che deve, però, sussistere al momento della richiesta di adozione della misura cautelare.
Quanto al profitto, il Supremo Collegio evidenziava la necessità - ai fini dell’applicazione del sequestro preventivo per equivalente - della sua precisa individuazione attraverso specifiche attività d’indagine come la ricerca di conti correnti o l’esame della contabilità della società. Attività che, nel caso in oggetto non era stata compiuta.
Rimarcava, altresì, il Collegio come non potesse rientrare nel concetto di profitto, sempre ai fini del sequestro per equivalente, il c.d. risparmio di spesa.
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