Reato di esercizio arbitrario e rapina: differenze
Rapina ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone: criteri distintivi
Potrebbe capitare, come è capitato, che taluno al fine di rientrare in possesso di un proprio asserito credito (o di un’altra res) di cui vanti diritto affronti personalmente il presunto debitore senza ricorrere al giudice, esercitando nei confronti di quest’ultimo violenza e/o minaccia per tornare in possesso del suo bene. In questi casi è molto probabile che il soggetto agente si vedrà contestare il reato di rapina, consumata o tentata, a seconda che sia riuscito o meno ad impossessarsi della cosa mobile da altri detenuta, piuttosto che altro reato.
Il delitto di rapina è disciplinato dall’art. 628 c.p. e prevede come elementi costitutivi l’esercizio di violenza o minaccia alla persona, volti all’impossessamento di cosa mobile altrui mediante sottrazione della stessa alla persona offesa, con il fine di trarre un ingiusto profitto per sé o per altri.
L’elemento materiale del delitto di rapina, ossia l’impossessamento di cosa mobile altrui conseguito con violenza alla persona, potrebbe collimare con quello del diverso e meno grave reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, disciplinato dall’art. 393 c.p.
Quest’ultimo reato prevede che il soggetto agente, il quale intende esercitare un preteso diritto, anziché ricorrere al giudice si faccia arbitrariamente ragione da se medesimo usando violenza alle persone per impossessarsi o farsi consegnare il bene di cui vanta diritto.
La S.C. di Cassazione, con costante orientamento, statuisce che "L’elemento distintivo del delitto di rapina da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone risiede nell’elemento soggettivo, perché nell’un caso l’autore agisce al fine di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto, ben sapendo che quanto pretende non gli spetta e non è giuridicamente azionabile, nell’altro agisce nella ragionevole opinione di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli spetti" (Cass. Pen. Sez. II, 18.10.2007; conforme Cass. Pen. Sez. II, dd. 18.01.2007; Cass. Pen. Sez. V, dd. 25.01.1989; Cass. Pen. Sez. II, dd. 18.11.1988).
Elemento soggettivo che altro arresto della S.C. individua nella "... convinzione soggettiva - purchè non arbitraria e pretestuosa, cioè tale da palesare che l’opinato diritto mascheri altre finalità, determinanti esse applicazione della violenza o il ricorso alla minaccia - dell’esistenza del diritto tutelabile, posto che la possibilità del ricorso al giudice deve intendersi come possibilità di fatto, indipendentemente dalla fondatezza dell’azione e quindi dall’esito eventuale della stessa" (Cass. Pen. Sez. II, dd. 27.02.1997).
Infine, sempre la S.C. ha statuito che: "Ai fini della sussistenza del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni non è necessario che vi sia identità fra l’oggetto del diritto preteso e quello su cui cade la violenza o che la violenza o la minaccia sia usata direttamente verso chi è in conflitto d’interesse con l’agente" (Cass. Pen., sez. V, dd. 25.01.1989).
Vale a dire: chi ritenga di avere un diritto (perlopiù di credito) nei confronti di qualcuno e decida di esercitarlo, senza far ricorso al giudice, mediante violenza o minaccia alla persona, con conseguente impossessamento della res prima detenuta dalla vittima della violenza, dovrà rispondere del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni qualora agisca nella ragionevole convinzione che l’oggetto della pretesa gli spetti effettivamente, in forza ad un corrispondente diritto che potrebbe azionare giudizialmente, mentre risponderà del delitto di rapina quando il soggetto agente è consapevole che quanto preteso non gli spetta e non potrebbe azionare in un giudizio, sì che l’unico intento perseguito dalla sua condotta è quello di conseguire, per sé o per altri, un ingiusto profitto.
Conclusione. Chi ritiene di avere un diritto non soddisfatto è bene che si rivolga ad un avvocato al fine di vederlo tutelato nelle sedi opportune, evitando così di incorrere in reato ed evitando altresì le possibili conseguenze connesse all’avvio di un procedimento penale per rapina, come ad esempio l’applicazione di misure cautelari personali.
Il delitto di rapina è disciplinato dall’art. 628 c.p. e prevede come elementi costitutivi l’esercizio di violenza o minaccia alla persona, volti all’impossessamento di cosa mobile altrui mediante sottrazione della stessa alla persona offesa, con il fine di trarre un ingiusto profitto per sé o per altri.
L’elemento materiale del delitto di rapina, ossia l’impossessamento di cosa mobile altrui conseguito con violenza alla persona, potrebbe collimare con quello del diverso e meno grave reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, disciplinato dall’art. 393 c.p.
Quest’ultimo reato prevede che il soggetto agente, il quale intende esercitare un preteso diritto, anziché ricorrere al giudice si faccia arbitrariamente ragione da se medesimo usando violenza alle persone per impossessarsi o farsi consegnare il bene di cui vanta diritto.
La S.C. di Cassazione, con costante orientamento, statuisce che "L’elemento distintivo del delitto di rapina da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone risiede nell’elemento soggettivo, perché nell’un caso l’autore agisce al fine di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto, ben sapendo che quanto pretende non gli spetta e non è giuridicamente azionabile, nell’altro agisce nella ragionevole opinione di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli spetti" (Cass. Pen. Sez. II, 18.10.2007; conforme Cass. Pen. Sez. II, dd. 18.01.2007; Cass. Pen. Sez. V, dd. 25.01.1989; Cass. Pen. Sez. II, dd. 18.11.1988).
Elemento soggettivo che altro arresto della S.C. individua nella "... convinzione soggettiva - purchè non arbitraria e pretestuosa, cioè tale da palesare che l’opinato diritto mascheri altre finalità, determinanti esse applicazione della violenza o il ricorso alla minaccia - dell’esistenza del diritto tutelabile, posto che la possibilità del ricorso al giudice deve intendersi come possibilità di fatto, indipendentemente dalla fondatezza dell’azione e quindi dall’esito eventuale della stessa" (Cass. Pen. Sez. II, dd. 27.02.1997).
Infine, sempre la S.C. ha statuito che: "Ai fini della sussistenza del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni non è necessario che vi sia identità fra l’oggetto del diritto preteso e quello su cui cade la violenza o che la violenza o la minaccia sia usata direttamente verso chi è in conflitto d’interesse con l’agente" (Cass. Pen., sez. V, dd. 25.01.1989).
Vale a dire: chi ritenga di avere un diritto (perlopiù di credito) nei confronti di qualcuno e decida di esercitarlo, senza far ricorso al giudice, mediante violenza o minaccia alla persona, con conseguente impossessamento della res prima detenuta dalla vittima della violenza, dovrà rispondere del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni qualora agisca nella ragionevole convinzione che l’oggetto della pretesa gli spetti effettivamente, in forza ad un corrispondente diritto che potrebbe azionare giudizialmente, mentre risponderà del delitto di rapina quando il soggetto agente è consapevole che quanto preteso non gli spetta e non potrebbe azionare in un giudizio, sì che l’unico intento perseguito dalla sua condotta è quello di conseguire, per sé o per altri, un ingiusto profitto.
Conclusione. Chi ritiene di avere un diritto non soddisfatto è bene che si rivolga ad un avvocato al fine di vederlo tutelato nelle sedi opportune, evitando così di incorrere in reato ed evitando altresì le possibili conseguenze connesse all’avvio di un procedimento penale per rapina, come ad esempio l’applicazione di misure cautelari personali.
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