Recesso ingiustificato del promittente compratore
Il mancato rispetto di un termine intermedio non costituisce grave inadempimento tale da giustificare il recesso del promittente compratore
La sentenza n. 4113 del 2014 emessa dal Tribunale di Genova, in data 15.01.2014, offre uno spunto interessante per una riflessione sul concetto di grave inadempimento idoeneo a giustificare il recesso del promittente compratore.
Il caso è il seguente:
- Tizio è proprietario di un immobile che viene frazionato. La pratica di frazionamento ottiene tutte le autorizzazioni urbanistiche richieste dalla legge e dai regolamenti, in materia, ed è regolarmente ultimata;
- le pratiche catastali, però, non sono ultimate ed, al Catasto, l'immobile non risulta frazionato;
- nel 2011, Tizio decide di vendere uno dei due appartamenti, sorti a seguito del frazionamento, e conferisce mandato ad un'agenzia immobiliare che viene informata, immediatamente, dell'irregolarità catastale, peraltro, agevolmente sanabile;
- nel luglio 2011, l'agente incaricato fa visitare l'appartamento a Caio e lo informa dell'irregolarità catastale;
- Caio sottoscrive una proposta di acquisto per un prezzo di 380.000,00 euro e paga una cauzione di € 10.000,00;
- Tizio accetta la proposta e le parti, con una postilla, decidono di sostituire il contratto preliminare, appena concluso sui moduli dell'agenzia, con un contratto preliminare, da sottoscrivere, entro il 20.09.2011, dinanzi ad un Notaio, che provvederà, poi, alla sua trascrizione. Sempre in base a detta scrittura, il contratto definitivo dovrà essere stipulato, entro il 31 gennaio 2012, ed entro la data dell'incontro davanti al Notaio, Tizio dovrà concludere le pratiche presso il Catasto;
- a causa di ritardi dei tecnici incaricati, la pratica di regolarizzazione catastale, il 20.09.2011, non è conclusa ed il promittente acquirente abbandona le trattative, dichiarando che non stipulerà ne' il contratto preliminare ne' quello definitivo.
- nel giro di una settimana, le pratiche di regolarizzazione catastale sono concluse;
- Caio cita in giudizio Tizio per vederlo condannare al pagamento di una somma pari al doppio della caparra versata.
Per dare soluzione al caso, in via preliminare, occorre rammentare il comma 2 dell'art. 1385 cod. civ., secondo cui: "...se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra...".
Al fine del legittimo esercizio del diritto di recesso e della conseguente ritenzione della caparra, è richiesta, come per la risoluzione, l'esistenza di un inadempimento gravemente colpevole di una parte; in pratica, detto inadempimento dev'essere imputabile ad una delle parti (ex artt. 1218 e 1256 c.c.) e non dev'essere di scarsa importanza (art. 1455 c.c.).
Se sussiste un inadempimento di questo tipo, la parte che non è inadempiente può recedere dal contratto e trattenere la caparra versata dalla controparte ovvero ottenere il pagamento di una somma pari al doppio della caparra già versata.
Il recesso della parte non inadempiente comporta lo scioglimento del vincolo contrattuale, laddove la caparra identifica il danno risarcibile, convenzionalmente determinato dalle parti.
Il recesso costituisce, in definitiva, un'ipotesi di risoluzione di diritto, da affiancare, piuttosto che da contrapporre, a quelle di cui agli artt. 1454, 1456, 1457 c.c., ovvero una modalità ulteriore di risoluzione del contratto, destinata ad operare, indipendentemente dall'esistenza di un termine essenziale o di una diffida ad adempiere, attraverso la semplice comunicazione all'altra parte di una volontà "caducatoria" degli effetti negoziali operante, nella sostanza, attraverso un meccanismo analogo a quello che regola la clausola risolutiva espressa.
Tali principi sono stati ribaditi, a più riprese, dalla Giurisprudenza di legittimità (cfr. per tutte, Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza del 6 settembre 2011, n. 18266).
La Suprema Corte di Cassazione, con l'Ord. 409 del 2012, ha, poi, confermato che: "... Ai fini della legittimità del recesso di cui all'art. 1385 cod. civ., come in materia di risoluzione contrattuale, non è sufficiente l'inadempimento, ma occorre anche la verifica circa la non scarsa importanza prevista dall'art. 1455 cod. civ., dovendo il giudice tenere conto dell'effettiva incidenza dell'inadempimento sul sinallagma contrattuale e verificare se, in considerazione della mancata o ritardata esecuzione della prestazione, sia da escludere per la controparte l'utilità del contratto alla stregua dell'economia complessiva del medesimo..." (cfr. Cassazione Ord. 409 del 13.01.2012).
Con la decisione sopra citata, il Giudice di legittimità ha dichiarato manifestamente infondato e, pertanto, rigettato un ricorso, relativo ad un caso analogo a quello che ci occupa ove il ricorrente aveva richiesto la Cassazione di una sentenza della Corte d'Appello di Firenze che aveva dichiarato di scarsa importanza il ritardo della parte promittente venditrice che aveva ultimato le pratiche di regolarizzazione urbanistica poco dopo lo scadere del termine per la stipulazione del contratto definitivo di compravendita.
Nella motivazione dell'Ordinanza si legge: " ... ai fini della legittimità del recesso ex art. 1385 cod. civ. come della risoluzione, non è sufficiente l'inadempimento, ma occorre anche la verifica circa la non scarsa importanza ai sensi dell'art. 1455 cod. civ., dovendo il giudice tenere conto della effettiva incidenza dell'inadempimento sul sinallagma contrattuale e verificare se, in considerazione della mancata o ritardata esecuzione della prestazione, sia da escludere per la controparte l'utilità del contratto alla stregua dell'economia complessiva dello stesso; la sentenza impugnata, attenendosi a tali principi, ha compiuto tale valutazione e a tal fine ha proceduto alla (necessaria) verifica circa la natura non essenziale del termine pattuito per il definitivo (il cui accertamento è riservato all'indagine del giudice di merito che deve compierlo alla stregua della interpretazione della volontà negoziale), avendo ritenuto che la proroga dei termini per la stipula del definitivo, necessaria per la regolarizzazione della documentazione urbanistica - da definirsi in tempi rapidi e in quello spirito di cooperazione che deve ispirare il comportamento dei contraenti alla luce del principio della buona fede al quale i Giudici hanno evidentemente inteso riferirsi - non avrebbe potuto fare venir meno l'interesse del promissario acquirente all'esecuzione del contratto...".
Tale Ordinanza si pone nell'alveo della precedente e consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di gravità dell'adempimento ben fotografato dalla Sentenza n. 8093 del 2001 che ha stabilito: "... Con riguardo alla disciplina della risoluzione per inadempimento dei contratti a prestazioni corrispettive, il disposto dell'art. 1455 c.c. Pone una regola di proporzionalità, in virtù della quale la risoluzione del vincolo contrattuale è collegata unicamente all'inadempimento delle obbligazioni che abbiano una notevole rilevanza nell'economia del rapporto, per la cui valutazione occorre tener conto dell'esigenza di mantenere l'equilibrio tra prestazioni di egual peso, talché l'importanza dell'inadempimento non deve essere intesa in senso subiettivo, in relazione alla stima che la parte creditrice abbia potuto fare del proprio interesse violato, ma in senso obiettivo, in relazione, cioè, all'attitudine dell'inadempimento a turbare l'equilibrio contrattuale ed a reagire sulla causa del contratto e sul comune intento negoziale." (cfr. Cassazione sentenza 8063 del 2001).
Il Tribunale di Genova con la sentenza in commento ha rigettato la domanda proposta dal promittente compratore è, sulla base dei principi sopra ricordati, ha ritenuto, correttamente, che l'inadempimento ad un termine intermedio, come quello stabilito nella postilla sottoscritta fra le parti, non costituisce grave inadempimento tale da legittimare il recesso, essendo la situazione assolutamente recuperabile entro la data della conclusione del contratto definitivo di compravendita, già concordata.
La Corte di merito, pertanto, ha ritenuto ingiustificato il recesso di Caio perché, come si diceva poc'anzi, la condotta del promittente venditore non era tale da poter inficiare l'equilibrio dell'operazione economica nella sua globalità. Difatti, il contratto preliminare ben avrebbe potuto essere concluso, condizionandolo, alla conclusione delle pratiche catastali, entro la data di sottoscrizione del contratto definitivo.
Il caso è il seguente:
- Tizio è proprietario di un immobile che viene frazionato. La pratica di frazionamento ottiene tutte le autorizzazioni urbanistiche richieste dalla legge e dai regolamenti, in materia, ed è regolarmente ultimata;
- le pratiche catastali, però, non sono ultimate ed, al Catasto, l'immobile non risulta frazionato;
- nel 2011, Tizio decide di vendere uno dei due appartamenti, sorti a seguito del frazionamento, e conferisce mandato ad un'agenzia immobiliare che viene informata, immediatamente, dell'irregolarità catastale, peraltro, agevolmente sanabile;
- nel luglio 2011, l'agente incaricato fa visitare l'appartamento a Caio e lo informa dell'irregolarità catastale;
- Caio sottoscrive una proposta di acquisto per un prezzo di 380.000,00 euro e paga una cauzione di € 10.000,00;
- Tizio accetta la proposta e le parti, con una postilla, decidono di sostituire il contratto preliminare, appena concluso sui moduli dell'agenzia, con un contratto preliminare, da sottoscrivere, entro il 20.09.2011, dinanzi ad un Notaio, che provvederà, poi, alla sua trascrizione. Sempre in base a detta scrittura, il contratto definitivo dovrà essere stipulato, entro il 31 gennaio 2012, ed entro la data dell'incontro davanti al Notaio, Tizio dovrà concludere le pratiche presso il Catasto;
- a causa di ritardi dei tecnici incaricati, la pratica di regolarizzazione catastale, il 20.09.2011, non è conclusa ed il promittente acquirente abbandona le trattative, dichiarando che non stipulerà ne' il contratto preliminare ne' quello definitivo.
- nel giro di una settimana, le pratiche di regolarizzazione catastale sono concluse;
- Caio cita in giudizio Tizio per vederlo condannare al pagamento di una somma pari al doppio della caparra versata.
Per dare soluzione al caso, in via preliminare, occorre rammentare il comma 2 dell'art. 1385 cod. civ., secondo cui: "...se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra...".
Al fine del legittimo esercizio del diritto di recesso e della conseguente ritenzione della caparra, è richiesta, come per la risoluzione, l'esistenza di un inadempimento gravemente colpevole di una parte; in pratica, detto inadempimento dev'essere imputabile ad una delle parti (ex artt. 1218 e 1256 c.c.) e non dev'essere di scarsa importanza (art. 1455 c.c.).
Se sussiste un inadempimento di questo tipo, la parte che non è inadempiente può recedere dal contratto e trattenere la caparra versata dalla controparte ovvero ottenere il pagamento di una somma pari al doppio della caparra già versata.
Il recesso della parte non inadempiente comporta lo scioglimento del vincolo contrattuale, laddove la caparra identifica il danno risarcibile, convenzionalmente determinato dalle parti.
Il recesso costituisce, in definitiva, un'ipotesi di risoluzione di diritto, da affiancare, piuttosto che da contrapporre, a quelle di cui agli artt. 1454, 1456, 1457 c.c., ovvero una modalità ulteriore di risoluzione del contratto, destinata ad operare, indipendentemente dall'esistenza di un termine essenziale o di una diffida ad adempiere, attraverso la semplice comunicazione all'altra parte di una volontà "caducatoria" degli effetti negoziali operante, nella sostanza, attraverso un meccanismo analogo a quello che regola la clausola risolutiva espressa.
Tali principi sono stati ribaditi, a più riprese, dalla Giurisprudenza di legittimità (cfr. per tutte, Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza del 6 settembre 2011, n. 18266).
La Suprema Corte di Cassazione, con l'Ord. 409 del 2012, ha, poi, confermato che: "... Ai fini della legittimità del recesso di cui all'art. 1385 cod. civ., come in materia di risoluzione contrattuale, non è sufficiente l'inadempimento, ma occorre anche la verifica circa la non scarsa importanza prevista dall'art. 1455 cod. civ., dovendo il giudice tenere conto dell'effettiva incidenza dell'inadempimento sul sinallagma contrattuale e verificare se, in considerazione della mancata o ritardata esecuzione della prestazione, sia da escludere per la controparte l'utilità del contratto alla stregua dell'economia complessiva del medesimo..." (cfr. Cassazione Ord. 409 del 13.01.2012).
Con la decisione sopra citata, il Giudice di legittimità ha dichiarato manifestamente infondato e, pertanto, rigettato un ricorso, relativo ad un caso analogo a quello che ci occupa ove il ricorrente aveva richiesto la Cassazione di una sentenza della Corte d'Appello di Firenze che aveva dichiarato di scarsa importanza il ritardo della parte promittente venditrice che aveva ultimato le pratiche di regolarizzazione urbanistica poco dopo lo scadere del termine per la stipulazione del contratto definitivo di compravendita.
Nella motivazione dell'Ordinanza si legge: " ... ai fini della legittimità del recesso ex art. 1385 cod. civ. come della risoluzione, non è sufficiente l'inadempimento, ma occorre anche la verifica circa la non scarsa importanza ai sensi dell'art. 1455 cod. civ., dovendo il giudice tenere conto della effettiva incidenza dell'inadempimento sul sinallagma contrattuale e verificare se, in considerazione della mancata o ritardata esecuzione della prestazione, sia da escludere per la controparte l'utilità del contratto alla stregua dell'economia complessiva dello stesso; la sentenza impugnata, attenendosi a tali principi, ha compiuto tale valutazione e a tal fine ha proceduto alla (necessaria) verifica circa la natura non essenziale del termine pattuito per il definitivo (il cui accertamento è riservato all'indagine del giudice di merito che deve compierlo alla stregua della interpretazione della volontà negoziale), avendo ritenuto che la proroga dei termini per la stipula del definitivo, necessaria per la regolarizzazione della documentazione urbanistica - da definirsi in tempi rapidi e in quello spirito di cooperazione che deve ispirare il comportamento dei contraenti alla luce del principio della buona fede al quale i Giudici hanno evidentemente inteso riferirsi - non avrebbe potuto fare venir meno l'interesse del promissario acquirente all'esecuzione del contratto...".
Tale Ordinanza si pone nell'alveo della precedente e consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di gravità dell'adempimento ben fotografato dalla Sentenza n. 8093 del 2001 che ha stabilito: "... Con riguardo alla disciplina della risoluzione per inadempimento dei contratti a prestazioni corrispettive, il disposto dell'art. 1455 c.c. Pone una regola di proporzionalità, in virtù della quale la risoluzione del vincolo contrattuale è collegata unicamente all'inadempimento delle obbligazioni che abbiano una notevole rilevanza nell'economia del rapporto, per la cui valutazione occorre tener conto dell'esigenza di mantenere l'equilibrio tra prestazioni di egual peso, talché l'importanza dell'inadempimento non deve essere intesa in senso subiettivo, in relazione alla stima che la parte creditrice abbia potuto fare del proprio interesse violato, ma in senso obiettivo, in relazione, cioè, all'attitudine dell'inadempimento a turbare l'equilibrio contrattuale ed a reagire sulla causa del contratto e sul comune intento negoziale." (cfr. Cassazione sentenza 8063 del 2001).
Il Tribunale di Genova con la sentenza in commento ha rigettato la domanda proposta dal promittente compratore è, sulla base dei principi sopra ricordati, ha ritenuto, correttamente, che l'inadempimento ad un termine intermedio, come quello stabilito nella postilla sottoscritta fra le parti, non costituisce grave inadempimento tale da legittimare il recesso, essendo la situazione assolutamente recuperabile entro la data della conclusione del contratto definitivo di compravendita, già concordata.
La Corte di merito, pertanto, ha ritenuto ingiustificato il recesso di Caio perché, come si diceva poc'anzi, la condotta del promittente venditore non era tale da poter inficiare l'equilibrio dell'operazione economica nella sua globalità. Difatti, il contratto preliminare ben avrebbe potuto essere concluso, condizionandolo, alla conclusione delle pratiche catastali, entro la data di sottoscrizione del contratto definitivo.
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