Recovery Next Generation EU Funds: vademecum per i risparmiatori
Recovery plan
Il governo Draghi ha stilato ufficialmente il PNRR, ovvero il documento che è stato presentato ad aprile a Bruxelles e che, solo pochi giorni fa, ha avuto il via libera con il massimo punteggio ottenibile dalla Commissione Europea. Si tratta di un passaggio fondamentale per avere accesso agli oltre 200 miliardi del recovery fund e alle ulteriori risorse stanziate dall’Unione Europea. Per questo il premier ne ha illustrato i punti salienti in Parlamento.
Cos’è, come funziona e cosa prevede il recovery plan italiano
Il recovery plan è un dettagliato programma relativo ad investimenti, piani e riforme che il governo intende realizzare per rilanciare il paese. Il contenuto di questo documento programmatico è determinante per ottenere le risorse del Recovery Fund (o Next Generation EU). Questo cronoprogramma, infatti, è stato presentato alla commissione UE il 30 aprile 2021. Successivamente in base alla bontà dei progetti presentati, l’Unione conferirà le varie tranche di aiuti all’Italia, già a partire dai prossimi mesi.
Nel complesso le risorse a disposizione per l’Italia sono circa 248 miliardi di euro, come dichiarato dal Presidente del Consiglio nel suo intervento in Parlamento. Di questi 191,5 miliardi rientrano nel Next Generation EU, mentre i restanti 30,5 da un fondo complementare. A questi si aggiungono ulteriori 26 miliardi “da destinare alla realizzazione di opere specifiche” entro il 2032. Delle risorse destinate all’Italia dal recovery fund, oltre la metà di queste sono prestiti a tassi vantaggiosi, mentre buona parte sono contributi a fondo perduto. Tuttavia, i fondi verranno assegnate di volta in volta dall’UE in base alla sostenibilità dei progetti presentati.
Recovery plan: cosa contiene?
Per realizzare un programma in grado di ottenere i finanziamenti europei, il governo ha realizzato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Al suo interno sono contenute le area di intervento e le cifre mobilitate per ogni voce. Ecco, in base alla tabella di sintesi del piano, le sei missioni individuate nel recovery plan e le relative risorse previste.
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Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura: 49,2 miliardi
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Rivoluzione verde e transizione ecologica: 68,6 miliardi
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Infrastrutture per una mobilità sostenibile: 31,4 miliardi
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Istruzione e ricerca: 31,9 miliardi
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Inclusione e coesione: 22,4 miliardi
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Salute: 18,5 miliardi.
Ricordiamo anche che, parte delle risorse, saranno destinate e vincolate all’attuazione di 4 riforme:
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pubblica amministrazione
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giustizia
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semplificazione normativa
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concorrenza
Mi sembra dunque evidente, considerando anche il fenomeno inflattivo che un’enorme somma di capitali come questa potrà portare sul valore del denaro, che comparti e settori importanti del mercato azionario beneficeranno particolarmente di queste risorse.
Settori quali la tecnologia, la mobilità green, le medie e grandi imprese che si concentreranno sullo sviluppo della transizione ecologica e sugli strumenti e le nuove tecnologie capaci di abbattere le emissioni inquinanti saranno fortemente sostenute nei loro programmi da questi fondi. Inoltre, qualunque impresa si prefiguri lo sviluppo di energie alternative al fossile troverà la strada spianata da enormi capitali messi a disposizione.
Non solo: la combinazione degli incentivi sul comparto turistico unita alla irrefrenabile voglia di uscire di nuovo dalle nostre case, evidenzia come settori trainanti quelli correlati al turismo, in particolare a quelli con attenzione all’impatto ambientale e alla cultura.
Infatti, per quanto questo paese non sia fra i più capaci a valorizzare i propri beni, un’iniezione di oltre 20 miliardi destinati solo all’offerta culturale fanno ben sperare anche in lungimiranti posizioni in questo settore. Sullo sfondo anche la consapevolezza che questo piano, per quanto diversamente organizzato dai vari paesi europei, è vincolante anche per loro sul fronte della destinazione di tali risorse e che quindi, anche nell’Unione Europea, saranno da inestire negli stessi settori sopra elencati per l’Italia.
Sull’altra parte della bilancia devo però anche evidenziare due questioni che potrebbero contrastare tale ripresa positiva: da una parte, come già detto, un’inflazione che nei dati reali si sta decisamente surriscaldando, iniziando già ad erodere i risparmi meno redditizi degli italiani, dall’altra la preoccupazione che, a settembre, la situazione sul fronte Covid e sulle sue pericolose varianti possa tornare a farsi preoccupante, nonostante i vaccini, senza dimenticarci che, dal primo di luglio, senza più alcun paracadute legislativo, ci troveremo a contare nella realtà quanto questa pandemia ha inciso complessivamente sulla nostra economia reale, sugli impieghi, sui lavoratori e sulle loro buste paghe, sui diritti degli stessi e sulle decine di migliaia di licenziamenti che da qui a settembre mi attendo sul mercato del lavoro italiano.
Vi lascio con un’ultima riflessione. Così come la BCE ha dovuto contrastare con “mezzi non convenzionali” la più grande crisi economica dagli anni trenta ( che perdura sul fronte dei redditi da ormai 15 anni), crisi che ha combinato assieme per oltre un decennio la contaminazione dei mercati da strumenti “tossici” incontrollabili, la crisi dei debiti sovrani in Europa e in diversi importanti paesi emergenti, l’impatto distruttivo e inarrestabile di una pandemia che ha colpito duramente economia e occupazione, contrastandola con l’abbattimento del costo del denaro per il sistema produttivo a larga scala e bancario, oltre alla difesa “whatever it takes” dei titoli di debito nazionali adesso la stessa BCE dovrà fornire nuovi strumenti ancor "meno convenzionali" su come contrastare il rialzo inflattivo senza poter modificare i tassi di interesse a livello europeo.
Nel prossimo articolo, approfondirò proprio queste tematiche valutando con voi quali rischi si nascondano dietro questa ennesima fase espansiva di politica monetaria e di come tutto questo, se non dovesse essere governano con la stessa attenta competenza, maestria ed autorevolezza di Mario Draghi (allora presidente della Banca Centrale Europea), potrebbe diventare una miccia esplosiva che potrebbe tornare a fare esplodere il rischio di solvenza per stati con un pesante debito pubblico, e non compensabile neanche con un’ottica strategica di lungo periodo.
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