Regolamentazione degli autoferrotranvieri (parte 2°)
Sanzioni e multe: sono costituzionali e valide le norme contenute nel Regio Decreto 148 dell'8.1.1931?

Seconda parte, artt. 40 e 41
Parlando della "censura", come si evince dalla formulazione dell’articolo, si comprende, con molta facilità, che essa è poco più di un rimprovero verbale. Si basa sulla venuta ad esistenza a carico del lavoratore di circostanze trattabili a fini disciplinari di lieve entità. Ma l’esame di tale istituto impone una immediata riflessione. In precedenza abbiamo detto che l’intero regio decreto è stato redatto, adottato ed ha esplicato i propri effetti, durante un periodo dove in Italia vigeva un regime autoritario, per cui sarebbe lecito credere che la norma in commento sia uno strumento vessatorio e repressivo nei confronti del lavorate, ad uso e consumo del "padrone" - id est datore di lavoro. Tale ipotesi è destituita di qualsiasi fondamento, in quanto, sin dall’entrata in vigore della normativa in commento, il lavoratore aveva diritto a giustificarsi, come precisato nell’art. 51. Non solo, il lavoratore destinatario di una "censura", come evidenzia l’art. 50, non incorreva nella recidiva, qualora fosse stato destinatario di un’ulteriore "contestazione".
Da tutto ciò deriva che l’istituto della "censura" ha superato ampiamente la prova di costituzionalità e successivamente quella di resistenza alle previsioni dello Statuto dei Lavoratori.
Identica sorte ha seguito l’istituto della multa, che segue quale sanzione disciplinare, all’art. 41 del Regolamento. A differenza dalla censura, la multa presuppone la venuta ad esistenza di specifiche ipotesi d’infrazione a disposizioni aziendali, contestabili al lavoratore, secondo le forme previste dall’art. 7, della L. 300/70.
Resta inteso che gli istituti trattati dagli artt. 40 e 41, possono essere applicati al lavoratore che si sia reso responsabile di mancanze trattabili anche con l’istituto della sospensione, ma solo nei casi previsti dall’art. 55, comma 1.
.... segue .....
Lanciano, 7 ottobre 2017
Avv. Quirino Ciccocioppo
Parlando della "censura", come si evince dalla formulazione dell’articolo, si comprende, con molta facilità, che essa è poco più di un rimprovero verbale. Si basa sulla venuta ad esistenza a carico del lavoratore di circostanze trattabili a fini disciplinari di lieve entità. Ma l’esame di tale istituto impone una immediata riflessione. In precedenza abbiamo detto che l’intero regio decreto è stato redatto, adottato ed ha esplicato i propri effetti, durante un periodo dove in Italia vigeva un regime autoritario, per cui sarebbe lecito credere che la norma in commento sia uno strumento vessatorio e repressivo nei confronti del lavorate, ad uso e consumo del "padrone" - id est datore di lavoro. Tale ipotesi è destituita di qualsiasi fondamento, in quanto, sin dall’entrata in vigore della normativa in commento, il lavoratore aveva diritto a giustificarsi, come precisato nell’art. 51. Non solo, il lavoratore destinatario di una "censura", come evidenzia l’art. 50, non incorreva nella recidiva, qualora fosse stato destinatario di un’ulteriore "contestazione".
Da tutto ciò deriva che l’istituto della "censura" ha superato ampiamente la prova di costituzionalità e successivamente quella di resistenza alle previsioni dello Statuto dei Lavoratori.
Identica sorte ha seguito l’istituto della multa, che segue quale sanzione disciplinare, all’art. 41 del Regolamento. A differenza dalla censura, la multa presuppone la venuta ad esistenza di specifiche ipotesi d’infrazione a disposizioni aziendali, contestabili al lavoratore, secondo le forme previste dall’art. 7, della L. 300/70.
Resta inteso che gli istituti trattati dagli artt. 40 e 41, possono essere applicati al lavoratore che si sia reso responsabile di mancanze trattabili anche con l’istituto della sospensione, ma solo nei casi previsti dall’art. 55, comma 1.
.... segue .....
Lanciano, 7 ottobre 2017
Avv. Quirino Ciccocioppo
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