Responsabilità nel settore alimentare
L’operatore del settore alimentare: responsabilità alla luce del Regolamento (UE) 1169/2011

Il Regolamento (UE) 1169/2011 entrato in vigore il 13 dicembre 2011, ma che troverà definitiva applicazione solo il prossimo 13 dicembre, ha l’indubbio merito di aver riunito e riordinato le norme relative alla fornitura di informazioni sugli alimenti (etichettatura) ai consumatori, introducendo anche utili precisazioni in materia.
Tale normativa si pone precisi obiettivi di lealtà, correttezza e trasparenza di informazioni ravvisabili in una lunga lista di "consideranda" elencati nel preambolo introduttivo nonchè nell’art. 7 (pratiche leali di informazione); tali principi, a parere dello scrivente, vengono almeno in parte disattesi alla luce delle previsioni dell’art. 8 della normativa comunitaria.
L’art. 8 cita letteralmente al comma 1: "...L’operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti è l’operatore con il cui nome o la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto o, se tale operatore non è stabilito nell’Unione, l’importatore nel mercato dell’Unione."
Il successivo articolo 9 al comma 1 lettera h) inserisce tale indicazione nell’elenco di quelle che devono obbligatoriamente figurare sull’etichettatura dei prodotti alimentari, mentre non rientra in tale elenco quella relativa a chi effettivamente produce la sostanza alimentare.
Quindi l’unica menzione obbligatoria in etichetta è quella di colui che commercializza il prodotto, vale a dire di chi lo mette in vendita sul mercato col suo nome o la sua ragione sociale e non anche quella di chi effettivamente lo produce, pur potendo essere quest’ultimo un soggetto diverso; la menzione dell’effettivo produttore assume quindi carattere di indicazione facoltativa e come tale può essere omessa.
E’ pur vero che la responsabilità del soggetto che commercializza il prodotto si limita alla correttezza delle informazioni riportate in etichetta, essendo quella relativa alle caratteristiche intrinseche dell’alimento solo in capo a chi le produce; del resto ciò è confermato dalle numerose interpretazioni esplicative della normativa ed è comunque comprensibile anche da un punto di vista logico.
Il dato di fatto oggettivo però è che il consumatore medio che non è tenuto a conoscere tale distinzione giuridica e che legga in etichetta il nome del commercializzatore, ritenga a buon diritto che esso coincida con quello dell’effettivo produttore ricevendo un’informazione distorta, non chiara ed in contrasto con i principi di correttezza e trasparenza che il legislatore comunitario si propone.
Si potrebbe affermare, non senza intento provocatorio, che tale inversione di tendenza rispetto alla previgente legislazione in materia costituisca una "legalizzazione" dell’art. 515 c.p. (frode nell’esercizio del commercio).
Tale norma, come noto, punisce il comportamento di chi nell’esercizio di un’attività commerciale consegna all’acquirente una cosa mobile che per origine, provenienza, qualità o quantità, sia diversa da quella pattuita.
E’ inevitabile infatti che la sola menzione in etichetta del nome o della ragione sociale di chi mette in commercio il prodotto alimentare, sorta l’effetto di indurre l’acquirente a ritenere che tale menzione corrisponda anche a quella dell’effettivo produttore, determinando la consegna di un prodotto inevitabilmente ritenuto almeno di origine e provenienza diverse da quelle pattuite.
Tale normativa si pone precisi obiettivi di lealtà, correttezza e trasparenza di informazioni ravvisabili in una lunga lista di "consideranda" elencati nel preambolo introduttivo nonchè nell’art. 7 (pratiche leali di informazione); tali principi, a parere dello scrivente, vengono almeno in parte disattesi alla luce delle previsioni dell’art. 8 della normativa comunitaria.
L’art. 8 cita letteralmente al comma 1: "...L’operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti è l’operatore con il cui nome o la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto o, se tale operatore non è stabilito nell’Unione, l’importatore nel mercato dell’Unione."
Il successivo articolo 9 al comma 1 lettera h) inserisce tale indicazione nell’elenco di quelle che devono obbligatoriamente figurare sull’etichettatura dei prodotti alimentari, mentre non rientra in tale elenco quella relativa a chi effettivamente produce la sostanza alimentare.
Quindi l’unica menzione obbligatoria in etichetta è quella di colui che commercializza il prodotto, vale a dire di chi lo mette in vendita sul mercato col suo nome o la sua ragione sociale e non anche quella di chi effettivamente lo produce, pur potendo essere quest’ultimo un soggetto diverso; la menzione dell’effettivo produttore assume quindi carattere di indicazione facoltativa e come tale può essere omessa.
E’ pur vero che la responsabilità del soggetto che commercializza il prodotto si limita alla correttezza delle informazioni riportate in etichetta, essendo quella relativa alle caratteristiche intrinseche dell’alimento solo in capo a chi le produce; del resto ciò è confermato dalle numerose interpretazioni esplicative della normativa ed è comunque comprensibile anche da un punto di vista logico.
Il dato di fatto oggettivo però è che il consumatore medio che non è tenuto a conoscere tale distinzione giuridica e che legga in etichetta il nome del commercializzatore, ritenga a buon diritto che esso coincida con quello dell’effettivo produttore ricevendo un’informazione distorta, non chiara ed in contrasto con i principi di correttezza e trasparenza che il legislatore comunitario si propone.
Si potrebbe affermare, non senza intento provocatorio, che tale inversione di tendenza rispetto alla previgente legislazione in materia costituisca una "legalizzazione" dell’art. 515 c.p. (frode nell’esercizio del commercio).
Tale norma, come noto, punisce il comportamento di chi nell’esercizio di un’attività commerciale consegna all’acquirente una cosa mobile che per origine, provenienza, qualità o quantità, sia diversa da quella pattuita.
E’ inevitabile infatti che la sola menzione in etichetta del nome o della ragione sociale di chi mette in commercio il prodotto alimentare, sorta l’effetto di indurre l’acquirente a ritenere che tale menzione corrisponda anche a quella dell’effettivo produttore, determinando la consegna di un prodotto inevitabilmente ritenuto almeno di origine e provenienza diverse da quelle pattuite.
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