Ricongiungimento familiare dei conviventi nel pubblico impiego: vale anche per le convivenze


La convivenza more uxorio rileva, nel pubblico impiego, ai fini del trasferimento del dipendente per ricongiungimento familiare
Ricongiungimento familiare dei conviventi nel pubblico impiego: vale anche per le convivenze

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, con la sentenza n. 3896 pubblicata il 17 giugno 2020, ha preso posizione rispetto alla parificazione del rapporto matrimoniale alle unioni civili e alla convivenza more uxorio per quanto riguarda la richiesta del pubblico dipendente di essere trasferito da una sede all’altra per ragioni di ricongiungimento familiare.

Secondo il Giudice amministrativo, infatti, “l’equiparazione al matrimonio e all’unione civile della stabile convivenza di fatto, attestata da certificazioni anagrafiche, appare coerente con la giurisprudenza della Corte Costituzionale, la quale, ferma restando la discrezionalità del Parlamento nell’individuare le forme di garanzia e di riconoscimento delle unioni affettive diverse da quella matrimoniale, si è riservata la possibilità di intervenire a tutela di specifiche situazioni con il controllo di ragionevolezza, come infatti più colte è avvenuto per le convivenze more uxorio”.

IL CASO – Il ricorrente aveva chiesto il trasferimento da una caserma ad un’altra ai fini del ricongiungimento con la propria compagna convivente more uxorio; il comando competente aveva dichiarato inammissibile la domanda, non sussistendo tra gli interessati un rapporto di coniugio.

Il militare aveva impugnato la decisione dinanzi al Tar per la Calabria, che accoglieva il ricorso con sentenza in forma semplificata.

Il Tribunale ha osservato che la P.A. non aveva contestato l’effettività della convivenza, né aveva opposto ostacoli di ordine organizzativo all’accoglimento dell’istanza.  Nel merito osservava che il diritto all’unità familiare, ex art. 2 Cost., dovrebbe intendersi nella sua accezione più ampia, secondo un’interpretazione derivante anche dalla Carta di Nizza e dalla Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo.

Il Ministero della Difesa interponeva appello avverso la sentenza di primo grado proponendo tre motivi di doglianza.

In primis sottolineava che il provvedimento, adottato in forma semplificata, non aveva dato rilievo alle ulteriori cause impeditive del trasferimento, quale, ad esempio, le esigenze di servizio; in second’ordine, la legge n. 76/2016, che disciplina la convivenza di fatto, secondo l’interpretazione del Ministero, avrebbe inteso equiparare i conviventi ai coniugi solo per specifici aspetti, da considerarsi tassativamente elencati nella norma e non sarebbe, quindi, applicabile al caso di specie; da ultimo riteneva che la circolare interna all’Arma dei Carabinieri (a cui apparteneva il militare) in materia di trasferimento per ricongiungimento familiare equiparerebbe le sole unioni civili al rapporto matrimoniale, escludendo, quindi, la convivenza more uxorio seppure dimostrata dai certificati di residenza.

Si costituiva in giudizio il dipendente sostenendo che il TAR aveva applicato un’interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina applicabile al caso specifico.

LA DECISIONE – Il Consiglio di Stato, partendo dal presupposto che l’indagine doveva concentrarsi sul confronto tra la normativa nazionale e la normativa interna dell’Arma di Carabinieri, ha stabilito che quest’ultima non può legittimamente discriminare, ai fini del ricongiungimento, tra le diverse tipologie di legame familiare.

La motivazione è stata ricondotta all’art. 8, par. 1, della Convenzione EDU, la quale include, nella nozione di “vita privata e familiare”, non solo le relazioni consacrate nel matrimonio, ma anche le unioni di fatto nonché, in generale, i legami esistenti tra i componenti del gruppo designato come famiglia naturale.

Inoltre, sempre secondo il Consiglio di Stato, pur nel rispetto del bilanciamento di interessi tra il diritto del singolo al ricongiungimento familiare e le prerogative statali di gestione dei flussi migratori, non si può escludere che l’esigenza di tutela dell’unità della famiglia, a cui è improntato l’istituto del ricongiungimento familiare, è nettamente prevalente alle difformi previsioni della normativa interna dell’Arma dei Carabinieri.

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di Avv. Luana Momesso

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