Risparmio e investimento, italiani popolo di risparmiatori ma...
Da sempre noi italiani ci troviamo addosso una doppia etichetta: come privati siamo risparmiatori e mediamente ricchi, come nazione siamo molto indebitati. Qualche malalingua all’estero dice molta ricchezza è stata sottratta dai privati allo Stato tramite evasione, collusione e altri comportamenti non del tutto leciti.
La ricchezza si è creata negli anni grazie allo spirito imprenditoriale, con la diffusione di tantissime realtà industriale piccole e medie che hanno raggiunto sovente dei livelli di eccellenza nei propri settori. Accanto a questo c’è sempre stato il risparmio, più o meno grande, delle famiglie.
Risparmio che si è indirizzato verso quelle forme che più risultavano comprensibili. Il mattone per primo, ma poi per anni (soprattutto in quelli dove l’inflazione galoppava) il risparmio “sicuro”: conti correnti bancari che remuneravano un discreto interesse, titoli di stato (ancora oggi ci sono tanti nostalgici dei BOT con rendimenti a doppia cifra) e poi le obbligazioni bancarie. Per fare tutto ciò non serviva la consulenza patrimoniale o finanziaria. Il mattone è salito per anni (e ancora nella mente delle persone resta un investimento redditizio), lo Stato paga e non fallisce e così le banche (basta portare l’obbligazione a scadenza); ovviamente, nessuno si è preso la briga di verificare quale fosse il risultato al netto dell’inflazione. In questi stessi anni si sarebbe dovuto spiegare ai risparmiatori la differenza tra risparmio e investimento e fornire un minimo di alfabetizzazione finanziaria.
Così quando i rendimenti sono scesi, il mattone è diventato meno appetibile, banche tradizionali, poste ed altri soggetti hanno proposto investimenti in risparmio gestito. La cosa non sarebbe stata sbagliata: il risparmio gestito (basato sulla diversificazione e la gestione professionale) evita tanti errori del fai da te.
Purtroppo la formazione non mancava solo ai risparmiatori, ma anche a molti operatori delle banche (senza considerare le spinte commerciali che venivano dall’alto) e questi strumenti sono stati venduti senza chiedere alle persone informazioni sull’obiettivo, sull’orizzonte temporale etc... spingendo la vendita sulla base dei risultati passati.
Molti risparmiatori si sono scottati, soprattutto perché erano impreparati alle oscillazioni tipiche dei mercati. E se scatta la paura e l’ansia il risultato è: vendere nei momenti di calo, convinti di poter ricomprare a prezzi migliori dopo che il mercato avrà smesso di scendere. E magari si continua ad accumulare sui conti correnti, cercando quella banca che mi possa dare un tasso decente (senza tenere presente che il sistema bancario qualche problemino lo ha avuto).
Cosa potrebbe essere diverso se ci si rivolge ad un consulente? Per prima cosa il consulente fa domande, cerca di capire quello che abbiamo, la situazione lavorativa, se abbiamo dei debiti, se siamo assicurati (spesso si accumulano cifre anche grosse sui conti perché “non si sa mai”), se abbiamo una professione che potrebbe avere ripercussioni sul nostro patrimonio.
Ci chiede dei nostri progetti del nostro futuro e cerca di spiegare quali possono essere i vantaggi e i rischi di ogni singola forma di investimento. E se facciamo una scelta condivisa, il consulente resta al fianco del cliente (non come succede negli sportelli bancari dove cambiano in continuazione i referenti), monitora gli investimenti, lo assiste nei momenti in cui tutto va come deve essere, ma soprattutto quando ci sono nubi all’orizzonte per evitare che il nostro istinto “animale “ci spinga a scappare dall’investimento, quando forse sarebbe più opportuno fare il contrario. Un consulente si aggiorna continuamente, deve essere informato di mercati finanziari, di tassazione, di previdenza, di leggi, di economia. È una formazione continua, senza sosta, fondamentale per poter dare un duraturo supporto ai clienti in un contesto economico finanziario in rapida evoluzione.
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