Road to the "OLD NORMAL"?


Il percorso verso tassi di interesse neutrali sarà lungo e tortuoso
Road to the "OLD NORMAL"?
Era il 2010 quando l’allora AD di PIMCO EL-Erian utilizzò, fra i primi, il termine di "new normal" per descrivere il periodo economico e finanziario che sarebbe succeduto alla grande recessione globale iniziata nel 2008.

In effetti dal 2009 la fantasia delle Banche Centrali mondiali ha generato strumenti (QE, tassi negativi sui depositi, persino acquisto di ETF azionari) e rotto tabù che fino ad allora erano considerati inviolabili dalla teoria economica.

Il lungo periodo di repressione finanziaria e di abbondante liquidità (The New Normal) ha, nel tempo, ottenuto buona parte degli scopi per cui era stato teorizzato ed applicato. L’unico obiettivo mancato è stato, finora, quello alla base delle politiche monetarie accomodanti, la ripresa dell’inflazione, convitato di pietra degli ultimi anni.

Neanche un livello di disoccupazione del 4,1% negli USA (il Paese più avanti nel ciclo economico), ha rivitalizzato l’inflazione, mandando in crisi i teorici della curva di Phillips, che ipotizzano uno stretto legame fra un’inflazione crescente e le pressioni salariali determinate da un basso livello di disoccupazione.

Gli economisti imputano la mancanza di inflazione a fenomeni strutturali di lungo periodo (ancora da provare) quale la deflazione strisciante prodotta dallo sviluppo dell’e-commerce e dalla tecnologia, abbinata ad un basso tasso di produttività.

Sta di fatto che, negli ultimi anni, i beneficiari in assoluto della politica monetaria, sono stati i mercati, che hanno evitato il collasso ed inanellato performance iperboliche. Il 2017 verrà addirittura ricordato come il secondo anno, dal 1900, con il miglior indice di Sharpe (extra rendimento di mercato, corretto per il rischio) del mercato azionario americano.

Il 2018, secondo le attuali previsioni economiche, dovrebbe essere, finalmente, un anno record anche per la crescita economica globale (quasi il 4%), diffusa in ogni parte del globo ed il primo anno in cui potrebbe ridursi il divario tra economia reale ed economia finanziaria.

Come spiegare allora le turbolenze dei mercati dell’ultima settimana? Possono considerarsi il segnale che si era creata una nuova bolla finanziaria?

I prezzi a cui erano arrivati i mercati azionari, soprattutto quelli americani, necessitavano almeno una correzione, considerando anche l’aumento nell’ultimo anno i tassi di interesse dei titoli di Stato USA, pian pianino lievitati a valori che, in assoluto, non possono considerarsi alti (2,20% circa il tasso a 2 anni e 2,90% circa il tasso a dieci anni), ma rimangono i livelli più alti dal 2008, per il 2 anni, e dal 2014 per il 10 anni.

Il risveglio è stato brusco e la conseguente ripresa della volatilità esplosiva, con picco del + 300% in una settimana.

La cosa più rilevante, però, sono stati in "non messaggi" delle Banche Centrali che, di fatto, hanno snobbato l’evento. Mentre nel recente passato, quando si erano verificati eventi particolarmente avversi sui mercati, i messaggi che venivano veicolati erano di tranquillità, in questa occasione i commenti sono stati improntati alla neutralità, rendendo evidente che la protezione della Banche Centrali non c’è più e che potrebbe essere riconsiderata solo a seguito di effetti avversi sull’economia reale.
I mercati, gli operatori e gli investitori dovranno, probabilmente, reimparare e ri-prezzare "il rischio" di mercato.
Se il rischio costerà di più, le classi di investimento più esposte saranno considerate care e, per un po’ di tempo, vendute con relativo calo dei prezzi, alla ricerca di un nuovo equilibrio.
Se l’economia reale non deraglierà, potremo considerare definitivamente superato il peggior periodo economico dal 1929.
Un prezzo da pagare per un ritorno all’Old Normal che farebbe bene a tutti.

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di Andrea Maramotti

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