Salute e idoneità alle mansioni di lavoro


Il Testo Unico su Sicurezza e Salute nel Lavoro. Doveri del Datore di Lavoro. Il Medico Competente. Inidoneità. Licenziamento o Repéchage
Salute e idoneità alle mansioni di lavoro
Il Testo Unico sulla Salute e la Sicurezza del Lavoro

La legge non fa carico e non consente al dipendente di offrir prova della sua idoneità alle mansioni con certificazione del medico da lui stesso incaricato, pur se di esperienza e di qualificazione apprezzabile.
E' il datore di lavoro, che, ex art. 3 del dlgs. 8 aprile 2008, n. 81, nomina il medico competente alla sorveglianza sanitaria aziendale tra quelli muniti dei requisiti ex art. 38 ed iscritti nell'apposito elenco del Ministero del lavoro ed è sempre il datore di lavoro che deve "nell'affidare i compiti ai lavoratori, tenere conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute ed alla sicurezza" (art. Dlg art.18).
Il datore di lavoro ex art. 17 del decreto, valuta i rischi per la salute derivanti dall'attività dell'azienda e fornire tutte le informazioni necessarie sugli ambienti e sulle modalità di lavorazione al medico competente.
Il datore di lavoro deve inviare i lavoratori a visita dal medico competente ed esigere da quest'ultimo l'adempimento ai doveri del decreto (Dlg art.18.1.g).
Il giudizio del medico competente, (scelto, si badi, dal datore di lavoro) ha poi luogo sulla base delle informazioni fornite dallo stesso datore di lavoro circa la natura dei rischi, l'organizzazione del lavoro, la descrizione degli impianti produttivi e quant'altro di cui all'art. 18.2. Il lavoratore deve solo collaborare all'esatto adempimento della sicurezza sua e del suo posto di lavoro secondo il piano predisposto però dal datore di lavoro (art. 20).
Il medico competente è sempre tenuto a consegnare la documentazione sanitaria del dipendente al datore di lavoro mentre la consegna al lavoratore è puramente eventuale: solo su sua richiesta o alla fine del rapporto di lavoro (art. 25).
Inabilità: repéchage o licenziamento
L'accertamento medico di inabilità assoluta e permanente al lavoro, non impugnato in sede amministrativa comporta una risoluzione automatica e immediata del rapporto di lavoro, che non può essere impugnata e verificata in sede giudiziaria, o è invece un licenziamento soggetto a tutte le relative tutele di legge?
E' un licenziamento: tutti i rapporti di lavoro subordinato, privati o pubblici privatizzati prevedono, in linea generale, il licenziamento come forma tipica di recesso sia nel caso dell'impiego privato come in quello dell'impiego publico privatizzato. Per quanto riguarda quest'ultimo Il decreto legislativo n. 165/2001, art. 55 octies prevede che l'Amministrazione esamini la plausibilità dell'accertamento medico, valutando se le conclusioni siano motivate adeguatamente o siano necessari ulteriori indagini integrative. In ogni caso il parere della commissione medica non è vincolante per il magistrato (Cass. n. 19774/2016) che procede all'accertamento della legittimità del licenziamento, in forza dei principi costituzionali di tutela processuale, controllando l'attendibilità degli esami sanitari effettuati, anche in caso di mancato ricorso amministrativo da parte del lavoratore contro il parere della Commissione.
Va peraltro ricordato che qualora il giudice di primo grado abbia, anche implicitamente, affermato la propria giurisdizione, qualora il datore di lavoro, e comunque l'interessato, non abbiano fatto riserva di impugnazione, non potranno poi in appello coltivare tale contestazione per il formarsi sul punto di giudicato implicito (Cass. Sez. Unite Ordinanza 2067/2011).
In particolare il Giudice può tener conto del parere del medico curante diverso da quello della commissione medica e procedere anche ad esame dei luoghi di lavoro per la verifica dell'idoneità alle mansioni (Cass. n. 23068/2013).
Il datore di lavoro quindi, nel procedere al licenziamento, assume il rischio di impresa di un giudizio contrario a quello della commissione medica circa l'idoneità del lavoratore e la legittimità del licenziamento (si veda a questo proposito anche Corte cost. Sent. n. 420/1998). Né sussiste alcuna differenza tra inabilità assoluta e quella relativa ai fini dell'applicabilità dell'art. 18, co. 7 legge n. 300/1970 in forza della L. n. 92/2012, che riformulando l'articolo in questione ha eliminato ogni distinzione in proposito.
Nel caso di inabilità parziale l'azienda è tenuta al repechage del dipendente, di adibirlo cioè a mansioni adatte alla sua condizione di salute o, viceversa di mostrare di non aver interesse alle residue capacità lavorative del lavoratore (si veda ex multis: Cass. n. 14757/2017). Tuttavia anche nel caso di sopravvenuta inabilità assoluta il licenziamento non è automatico. Incombe infatti al datore di lavoro dimostrare che la prognosi dello stato morboso del dipendente ha durata indefinibile, giacché l'incapacità temporanea sospende solo il rapporto, ma non lo interrompe (Cass. n. 12489/2015; Cass. n. 18020/2017).
Nel caso di specie della sentenza Cass. n. 12489/2015 il licenziamento era stato intimato a seguito di giudizio di totale inabilità di un organo pubblico: la Commissione medica ospedaliera, ma i giudici di merito avevano invece ritenuto diversamente sulla base di relazione tecnica trascritta nella sentenza.
La Corte di legittimità ha confermato il potere del giudice territoriale di decidere liberamente anche servendosi di accertamenti medici d'ufficio e comunque anche in casi di inabilità totale alle mansioni precedentemente svolte sussiste l'obbligo di adibire il dipendente a mansioni diverse purché adatte allo stato di salute, salvo dimostrarne l'impossibilità o il rifiuto dello stesso.
Nel caso invece di Cass. n. 18020/2017 si trattava di inidoneità permanente al volo di una hostess ed anche in quel caso è stato ritenuto che l'azienda avrebbe dovuto procedere a verifica sulla possibilità di adibire la lavoratrice a mansioni confacenti.

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di Pietro Bognetti

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