Se non supera i 4 anni la pena va sempre sospesa
Per la Consulta l’ordine di esecuzione va sospeso anche se la pena superi i 3 anni e sia inferiore ai 4
Con la Sentenza 2 marzo 2018, n. 41 la Consulta ha stabilito che è possibile ottenere l'affidamento in prova ai servizi sociali qualora la pena da scontare, anche come residuo di maggior pena, non superi i 4 anni, mentre l'art. 656 del codice di rito prevede che solo nel caso in cui la pena da eseguire sia inferiore a tre anni il pubblico ministero emetta, contestualmente all'ordine di esecuzione, l'ordine di sospensione onde consentire al condannato di presentare istanza per accedere alle misure alternative alla detenzione.
Il caso è quello di un soggetto condannato an una pena superiore a 3 anni ma inferiore a 4, e per il quale l’ordine di esecuzione emesso dalla Procura non era stato sospeso. Il condannato si è così rivolto al giudice competente per ottenere una dichiarazione di inefficacia del provvedimento, e che dunque ha sollevato questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 3 e 27 Cost. in quanto l’omesso adeguamento del limite quantitativo di pena previsto dall'art. 656 comma 5 c.p.p. a quello indicato ai fini dell’affidamento in prova "allargato" (originato dalla legge svuota carceri) ha determinato un disallineamento sistematico, venendosi a creare discriminazione tra coloro che, dovendo espiare una pena detentiva non superiore a tre anni, usufruiscono della sospensione dell’ordine di esecuzione in vista dell’accesso all’affidamento in prova ordinario, e coloro che, destinati ad espiare una pena detentiva compresa tra tre anni e un giorno e quattro anni, non possono accedere all’istituto alternativo.
La Corte Costituzionale ha così dichiarato l’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui si prevede che il pubblico ministero sospenda l’esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a tre anni, anziché a quattro anni.
La stessa Consulta ha infatti evidenziato infatti come la genesi e lo sviluppo dell’istituto delineato dall’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. abbiano disvelato che "immanente al sistema, e tratto di imprescindibile coerenza intrinseca di esso", sia sempre stato "un tendenziale parallelismo tra il limite di pena indicato dall'art. 656 ai fini della sospensione dell’ordine di esecuzione e il limite di pena previsto ai fini dell’accesso alla misura alternativa alla detenzione" tant'è che con con la legge 27 maggio 1998, n. 165, l’art. 656 cod. proc. pen. è stato modificato per introdurre l’automatica sospensione dell’esecuzione della pena detentiva, entro un limite pari a quello previsto per godere della misura alternativa, proprio con lo scopo di evitare che la carcerazione venisse temporaneamente disposta nei confronti di chi avrebbe poi potuto godere di una misura pensata per favorire la risocializzazione extramuraria; mentre, con successivi interventi normativi, si è provveduto a far corrispondere all’incremento della soglia di accesso alla misura alternativa una pari elevazione del limite stabilito ai fini della sospensione.
Mancando di elevare il termine previsto per sospendere l’ordine di esecuzione della pena detentiva, così da renderlo corrispondente al termine di concessione dell’affidamento in prova allargato, il legislatore non è incorso in un mero difetto di coordinamento, ma ha leso l’art. 3 Cost. Si è infatti derogato al principio del parallelismo senza adeguata ragione giustificatrice, dando luogo a un trattamento normativo differenziato di situazioni da reputarsi uguali, quanto alla finalità intrinseca alla sospensione dell’ordine di esecuzione della pena detentiva e alle garanzie apprestate in ordine alle modalità di incisione della libertà personale del condannato.
Il caso è quello di un soggetto condannato an una pena superiore a 3 anni ma inferiore a 4, e per il quale l’ordine di esecuzione emesso dalla Procura non era stato sospeso. Il condannato si è così rivolto al giudice competente per ottenere una dichiarazione di inefficacia del provvedimento, e che dunque ha sollevato questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 3 e 27 Cost. in quanto l’omesso adeguamento del limite quantitativo di pena previsto dall'art. 656 comma 5 c.p.p. a quello indicato ai fini dell’affidamento in prova "allargato" (originato dalla legge svuota carceri) ha determinato un disallineamento sistematico, venendosi a creare discriminazione tra coloro che, dovendo espiare una pena detentiva non superiore a tre anni, usufruiscono della sospensione dell’ordine di esecuzione in vista dell’accesso all’affidamento in prova ordinario, e coloro che, destinati ad espiare una pena detentiva compresa tra tre anni e un giorno e quattro anni, non possono accedere all’istituto alternativo.
La Corte Costituzionale ha così dichiarato l’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui si prevede che il pubblico ministero sospenda l’esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a tre anni, anziché a quattro anni.
La stessa Consulta ha infatti evidenziato infatti come la genesi e lo sviluppo dell’istituto delineato dall’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. abbiano disvelato che "immanente al sistema, e tratto di imprescindibile coerenza intrinseca di esso", sia sempre stato "un tendenziale parallelismo tra il limite di pena indicato dall'art. 656 ai fini della sospensione dell’ordine di esecuzione e il limite di pena previsto ai fini dell’accesso alla misura alternativa alla detenzione" tant'è che con con la legge 27 maggio 1998, n. 165, l’art. 656 cod. proc. pen. è stato modificato per introdurre l’automatica sospensione dell’esecuzione della pena detentiva, entro un limite pari a quello previsto per godere della misura alternativa, proprio con lo scopo di evitare che la carcerazione venisse temporaneamente disposta nei confronti di chi avrebbe poi potuto godere di una misura pensata per favorire la risocializzazione extramuraria; mentre, con successivi interventi normativi, si è provveduto a far corrispondere all’incremento della soglia di accesso alla misura alternativa una pari elevazione del limite stabilito ai fini della sospensione.
Mancando di elevare il termine previsto per sospendere l’ordine di esecuzione della pena detentiva, così da renderlo corrispondente al termine di concessione dell’affidamento in prova allargato, il legislatore non è incorso in un mero difetto di coordinamento, ma ha leso l’art. 3 Cost. Si è infatti derogato al principio del parallelismo senza adeguata ragione giustificatrice, dando luogo a un trattamento normativo differenziato di situazioni da reputarsi uguali, quanto alla finalità intrinseca alla sospensione dell’ordine di esecuzione della pena detentiva e alle garanzie apprestate in ordine alle modalità di incisione della libertà personale del condannato.
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