Sei vittima di maltrattamenti? Ecco come la legge italiana ti tutela

Quando si è vittima di maltrattamenti?
La vittima del reato di maltrattamenti è un soggetto che fa parte della famiglia del maltrattante o con lui convivente, oppure una persona sottoposta all’autorità dell’autore del reato o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l’esercizio di una professione o di un’arte.
I maltrattamenti possono consistere in aggressioni di natura fisica, come ad esempio percosse o lesioni personali; oppure in aggressioni di tipo morale o psicologico come atti di vilipendio, disprezzo, sopruso, ingiurie o minacce, tali da rendere la vita della persona offesa dal reato particolarmente penosa ed insostenibile.
Di contro, non rientrano nella nozione di maltrattamenti gli sporadici litigi e gli episodi di violenza o di prevaricazione di natura fisica o morale del tutto occasionali, poiché il reato in esame si configura solo qualora tali condotte raggiungano un minimo di gravità e di costanza, nell’arco di un determinato periodo di tempo.
Invero, il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi sussiste ogni qualvolta l’atteggiamento abituale e vessatorio posto in essere attenti alla libertà e alla dignità umana, creando dolosamente sentimenti di paura, angoscia ed umiliazione nella vittima.
Pertanto, tale reato punisce una serie di comportamenti che, isolatamente considerati, potrebbero anche non essere punibili (come le umiliazioni o l’infedeltà) o non perseguibili (come le ingiurie, ad oggi depenalizzate) ma che acquistano rilevanza penale proprio per la loro reiterazione nel tempo, in grado di ledere l’integrità psico-fisica del soggetto passivo del reato.
Ciò non significa che il comportamento vessatorio debba essere continuo ed ininterrotto, poiché è possibile, secondo quanto ritenuto dalla giurisprudenza, che gli atti lesivi si alternino a periodi di normalità nei rapporti e l’intervallo tra una serie di episodi e l’altra non fa venire meno l’esistenza dell’illecito.
Quali pene prevede il codice penale per l’autore del reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi?
Il testo dell’art. 572 del codice penale, “Maltrattamenti contro familiari o conviventi”, è il risultato di significativi interventi legislativi succedutisi nel tempo.
Grazie alla Legge n. 172/2012 - con la quale è stata finalmente approvata in Italia la legge di ratifica alla Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali, firmata a Lanzarote il 25/10/2007 - abbiamo assistito alla modifica della rubrica dell’articolo (in precedenza “Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli”) e all’ampliamento dei possibili soggetti passivi del reato, inglobando anche alla persona comunque convivente con il soggetto agente.
Significative modifiche alla lettera della norma sono da attribuire alla Legge n. 69/2019, cd. Codice Rosso, che ha inasprito il quadro sanzionatorio, intervenendo sulla cornice edittale, sia con riferimento alla fattispecie base di cui al comma 1, sia prevedendo, al comma 2, nuove circostanze aggravanti, con l’obiettivo di disincentivare il dilagarsi dei fenomeni di violenza domestica.
In particolare, con riguardo all’ipotesi di cui al comma 1 dell’articolo, i maltrattamenti posti in essere verso uno dei soggetti passivi indicati dalla norma sono puniti con la reclusione da tre a sette anni.
Il comma 2, invece, specifica che la pena è aumentata fino alla metà se i maltrattamenti vengono realizzati in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità (secondo la definizione contenuta nell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104), oppure se le condotte vengono commesse con armi.
L’applicazione delle circostanze aggravanti di cui al comma 3, infine, si determina qualora le lesioni personali gravi o gravissime, nonché la morte del soggetto passivo, non siano volute dall’agente. In tal caso, se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni, pene così incrementate per effetto della Legge n. 172/2012, sopra citata.
Di contro, se le lesioni personali o la morte risultano volute dal soggetto attivo o, quantomeno, erano da lui concretamente prevedibili, come conseguenza del proprio agìto, concorrono con i maltrattamenti.
Invero, secondo costante giurisprudenza, le lesioni costituiscono aggravante del delitto di maltrattamenti quando sono conseguenza involontaria del fatto costituente tale reato; mentre se sono volontarie configurano autonomo reato in concorso materiale con il precedente.
Ancora la giurisprudenza ha chiarito che sussiste la circostanza aggravante della morte derivata dal fatto dei maltrattamenti, qualora il suicidio del soggetto passivo, benché non è espressamente voluto, sia da mettere in sicuro e diretto collegamento con i ripetuti e gravi episodi di maltrattamenti per effetto dei quali lo stato di prostrazione indotto nella vittima sia da identificarsi quale vero e proprio trauma fisico e morale che la determinarono a darsi la morte.
Diversamente, non è configurabile il reato aggravato dall’evento di cui all’art. 572 c.p. quando la morte del familiare, che sia fino a quel momento sottoposto a maltrattamenti, anziché essere conseguenza non voluta della condotta abituale di maltrattamenti, sia cagionata intenzionalmente. In tali circostanze non è neppure configurabile il nesso teleologico tra il reato di maltrattamenti e quello di omicidio volontario, rappresentando quest’ultimo un salto qualitativo rispetto ai comportamenti di prevaricazione e violenza in ambito familiare, posti in essere sino a quel momento nei confronti della vittima.
Ritornando alle modifiche introdotte dal cd. Codice Rosso, occorre osservare, da ultimo, come il Legislatore del 2019 ha previsto, al quarto comma, che il minore che assista ai maltrattamenti sia considerato persona offesa dal reato, sancendo la rilevanza penale della cd. violenza assistita, che consiste nel sottoporre il minore, permettendogli di osservare ed ascoltare, alla violenza verbale e fisica di un genitore sull’altro. Subire tale tipo di violenza può provocare ai minori gravi disturbi a livello cognitivo, emotivo, fisico e relazionale, compromettendone significativamente il benessere e lo sviluppo.
La condanna del genitore per il delitto in esame comporta, altresì, ai sensi dell’art. 569 del c.p., la perdita della responsabilità genitoriale.
Alcune statuizioni della Suprema Corte di Cassazione con riguardo al reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi.
- Lo straniero imputato di un delitto contro la persona o contro la famiglia (nella specie: maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, violazione degli obblighi di assistenza familiare) non può invocare la scriminante dell’esercizio di un diritto correlato a facoltà riconosciute dall’ordinamento dello Stato di provenienza, qualora tale diritto debba ritenersi oggettivamente incompatibile con le regole dell’ordinamento italiano, in cui l’agente ha scelto di vivere, attesa l’esigenza di valorizzare – in linea con l’art. 3 Cost. – la centralità della persona umana, quale principio in grado di armonizzare le culture individuali rispondenti a culture diverse, e di consentire quindi l’instaurazione di una società civile multietnica (Cass. Pen. Sez. III, 12 dicembre 2019 – 5 marzo 2020, n. 8986);
- La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per maltrattamenti ad un marito che vietava alla moglie di truccarsi, di vestirsi e di pettinarsi secondo il suo gusto, mortificando così la sua femminilità. La donna, inoltre, umiliata dalle ingiurie del marito veniva obbligata ad effettuare le faccende domestiche secondo quanto deciso dal marito, che attuava nei suoi confronti un comportamento autoritario, da padrone (Cassazione Penale, Sezione VI, Sentenza n. 30809/2004);
- Il delitto di maltrattamenti in famiglia non è integrato soltanto dalle percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla vittima, ma anche dagli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali, quali ad esempio la costrizione della moglie a sopportare la presenza di una concubina (Cassazione penale sez. VI, 30/05/2019, n. 35677);
- Il reato di maltrattamenti in famiglia è integrato dalla condotta dell’agente che sottopone la moglie ad atti di vessazione reiterata e tali da cagionarle sofferenza, prevaricazione ed umiliazioni, in quanto costituenti fonti di uno stato di disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di esistenza (Cassazione penale, sez. VI, 22/09/2016, n. 48224);
- II delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche in danno di persona ex convivente “ more uxorio”, quando si sia in presenza di un rapporto tendenzialmente stabile, sia pure naturale e di fatto, instaurato tra le due persone, con legami di reciproca assistenza e protezione (Cass. Pen. Sez. II, n. 8401/2016);
- L’art. 572 c.p. è applicabile non solo ai nuclei fondati sul matrimonio ma a qualunque relazione sentimentale che per la consuetudine dei rapporti creati implichi l’insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale (Cass. Pen. Sez. VI, n. 491/2017).
Forse non tutti sanno che …
Chi è vittima di violenza può rivolgersi gratuitamente ai Centri Antiviolenza dislocati su tutto il territorio nazionale.
Si tratta di associazioni femminili - composte da avvocate, psicologhe, sociologhe, assistenti sociali, criminologhe o operatrici volontarie - che si occupano di prevenzione e contrasto alla violenza di genere, fornendo sostegno e supporto solidale, di tipo sociologico, psicologico e legale a donne e minori vittime di abusi.
Di regola, successivamente alla chiamata di aiuto, segue una immediata presa in carico della vittima e, nei casi più gravi, l'eventuale ricovero presso case-rifugio ubicate in località segrete. Qui le donne, insieme ai loro bambini, possono abitare per il tempo necessario, finché il maltrattante non venga allontanato dalla loro casa al fine di non poter più nuocere.
Ove il caso lo richieda, i Centri Antiviolenza forniscono alle donne vittime di violenza supporto legale sia con riguardo ai procedimenti civili (separazioni, divorzi, affidamento dei minori, ordini di protezione) che penali.
Inoltre, il Centro Antiviolenza può costituirsi iure proprio parte civile nei procedimenti penali nei quali donne o minori sono vittime di violenza.
Tale legittimazione della stessa si rinviene nell’offesa all’interesse perseguito dal Centro Antiviolenza e posto dallo statuto quale ragione istituzionale della propria esistenza ed azione, con la conseguenza che ogni attentato a tale interesse si configura come lesione di un diritto soggettivo inerente la personalità o identità dell’associazione stessa.
I Centri Antiviolenza hanno l’obiettivo di aiutare le donne ad uscire dalla spirale delle violenza e a riprendere in mano la loro vita e ciò attraverso la costruzione di una rete di tutele che protegga ed accolga la vittima prima e dopo la violenza.
Alle donne vittime di violenza, grazie al lavoro dei Centri, viene garantito sostegno nell’attività di denuncia e supporto nel percorso di emancipazione ed autostima che la vittima dovrà intraprendere.
Grazie alle modifiche introdotte dalla Legge n. 119/2013 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere) è stata sancita la possibilità per la persona offesa dal reato di maltrattamenti di poter accedere al beneficio del gratuito patrocinio in deroga ai limiti di reddito (beneficio garantito per la persona offesa dei reati di cui agli artt. 572, 583-bis, 609-bis, 609-quater, 609-octies e 612-bis, nonché, ove commessi in danno di minori, dai reati di cui agli articoli 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-quinquies e 609-undecies c.p. - ai sensi dell’art. 76, comma 4-ter, Testo Unico Spese di Giustizia), proprio al fine di superare l’ulteriore barriera economica che in passato ha spinto molte vittime a non denunciare i propri aguzzini.
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