Sempre assoggettato ad Iva il compenso riscosso
La Corte di Cassazione ha stabilito che il compenso riscosso è imponibile ai fini IVA anche se incassato dopo la cessazione dell'attività
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 8059 del 21/4/2016, hanno stabilito che il compenso riscosso per una prestazione professionale è imponibile ai fini IVA anche se incassato dopo la cessazione dell’attività.
L’Amministrazione finanziaria aveva contestato il mancato assoggettamento ad IVA dei compensi incassati da un professionista successivamente alla cessazione dell’attività e alla chiusura della partita IVA; il contribuente aveva trattato i compensi come corrispettivi fuori campo IVA per mancanza del presupposto soggettivo.
Le Commissioni tributarie di merito annullavano l’atto impositivo e i giudici di legittimità rimettevano la questione alle Sezioni Unite sul presupposto che l’art. 6 comma 3 del DPR 633/72 pone una presunzione assoluta di corrispondenza tra la data della percezione del corrispettivo e quella di esecuzione della prestazione di servizi.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione rilevano che nella normativa comunitaria in tema di IVA si distinguono tre momenti diversi:
- il fatto generatore dell’imposta che determina il sorgere dell’obbligazione tributaria e dell’imponibilità ai fini IVA;
- l’esigibilità dell’imposta, vale a dire il momento a partire dal quale l’imposta può essere pretesa dall’Erario;
- il pagamento.
In base alla norma comunitaria, l’imponibilità ai fini IVA non risulta connessa al pagamento del corrispettivo, ma alla materiale esecuzione della prestazione.
Pertanto, secondo le Sezioni Unite, l’art. 6 comma 3 del DPR 633/72 deve essere interpretato nel senso che il pagamento del corrispettivo non coincide con il fatto generatore dell’imposta, ma con la condizione di esigibilità e con il termine ultimo per adempiere all’obbligo di fatturazione.
Non rileva la circostanza che il pagamento del corrispettivo sia avvenuto successivamente alla cessazione dell’attività e alla cessazione della partita IVA da parte del professionista, in quanto rilevano i presupposti esistenti nel momento in cui la prestazione è stata materialmente eseguita.
L’Amministrazione finanziaria aveva contestato il mancato assoggettamento ad IVA dei compensi incassati da un professionista successivamente alla cessazione dell’attività e alla chiusura della partita IVA; il contribuente aveva trattato i compensi come corrispettivi fuori campo IVA per mancanza del presupposto soggettivo.
Le Commissioni tributarie di merito annullavano l’atto impositivo e i giudici di legittimità rimettevano la questione alle Sezioni Unite sul presupposto che l’art. 6 comma 3 del DPR 633/72 pone una presunzione assoluta di corrispondenza tra la data della percezione del corrispettivo e quella di esecuzione della prestazione di servizi.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione rilevano che nella normativa comunitaria in tema di IVA si distinguono tre momenti diversi:
- il fatto generatore dell’imposta che determina il sorgere dell’obbligazione tributaria e dell’imponibilità ai fini IVA;
- l’esigibilità dell’imposta, vale a dire il momento a partire dal quale l’imposta può essere pretesa dall’Erario;
- il pagamento.
In base alla norma comunitaria, l’imponibilità ai fini IVA non risulta connessa al pagamento del corrispettivo, ma alla materiale esecuzione della prestazione.
Pertanto, secondo le Sezioni Unite, l’art. 6 comma 3 del DPR 633/72 deve essere interpretato nel senso che il pagamento del corrispettivo non coincide con il fatto generatore dell’imposta, ma con la condizione di esigibilità e con il termine ultimo per adempiere all’obbligo di fatturazione.
Non rileva la circostanza che il pagamento del corrispettivo sia avvenuto successivamente alla cessazione dell’attività e alla cessazione della partita IVA da parte del professionista, in quanto rilevano i presupposti esistenti nel momento in cui la prestazione è stata materialmente eseguita.
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