Sesso online: tutela dei minori (e non solo) nell’utilizzo dei social


Le risposte normative e giurisprudenziali in tema di cyberbullismo, molestie, violenze sessuali virtuali e lesione della libertà sessuale nell’utilizzo dei social
Sesso online: tutela dei minori (e non solo) nell’utilizzo dei social

Facebook, Istagram, Tik Tok, Messenger e Whatsapp. Ma anche Snapchat, Musical.ly, GroupMe. E poi ThisCrush e Sarahah.

Questi i nomi dei social più utilizzati dagli adolescenti e non solo da loro. Funzionalità differenti, finalità palesi o recondite ben chiare ai più giovani utilizzatori di smartphone, tablet e di ogni altro device. Parliamo di bambini di 9-10-11 anni. Pre-adolescenti che nella rete trovano il modo di superare i vincoli fisici delle distanze e quelli emotivi della timidezza o della inesperienza, appagando il bisogno di scoperta e conoscenza. Anche sessuale.

A farla da padrone tra i giovanissimi negli ultimi tempi, i social che consentono di creare video in cui si balla o si canta o semplicemente si doppia una base musicale, una pièce televisiva o teatrale. E poi via. Tutto online. Vi è anche la possibilità di trasmette live la propria performance e condividerla sugli altri social, creando una connessione infinita di condivisioni. Affidando all’etere la dimostrazione delle proprie capacità.

Io ci sono. E so fare questo.

Io ci sono ed OSO FARE QUESTO.

Molto spesso dopo 24h tutto si cancella. Ma nel frattempo il video circola, si diffonde attraverso altri canali e diventa irraggiungibile.

E se voglio fermare questa diffusione? Il diritto all’oblio si scontra con le illimitate potenzialità del web. Con i vuoti normativi che la legislazione d‘urgenza cerca di colmare senza operare una organizzazione sistemica della materia, come in un puzzle al quale manca sempre qualche pezzetto.


Dall’altra parte chi c’è?

Adolescenti, adulti, anziani. Conosciuti e sconosciuti. Fruitori goliardici o sistemici del social. Ma ci sono anche persone che del mezzo fanno un uso consapevole benché illecito.

Ci sono gli haters. Gli odiatori, quelli che approfittano dell’anonimato per esprimere commenti violenti e volgari. Alcuni di questi social sono strutturati in modo tale da dare seri problemi di cyberbullismo, se utilizzati in maniera scorretta. Nati con l’intento di fornire feedback sui colleghi di lavoro in maniera anonima, sono stati presto utilizzati impropriamente come strumento di sfogo di aggressività e frustrazioni o per appagare un insano impulso di deridere il prossimo, al riparo dal confronto de visu, che costringerebbe al riscontro con “l’effetto che fa”.


Se non posso vederti soffrire, allora non è reale

E invece reale lo è, con tutte le ben note conseguenze in termini psicologici, ma anche con risvolti legali imprevedibili. Non solo la rimozione ed oscuramento di tutti i contenuti pubblicati e di qualsiasi altro dato personale del minore, ma anche la contestazione del grave reato di istigazione o aiuto al suicidio ex art. 580 c.p.

Ci sono anche soggetti che utilizzano impropriamente i social come fossero strumenti alternativi di accesso alla pornografia e alla pedopornografia. Facendo leva sull’utilizzo di un linguaggio comune, giovanile, ricco di emoticons, mirano alla creazione di un legame affettivo con l’utente, al fine di indurlo all’innamoramento, che spiana la strada a richieste più o meno esplicite di natura sessuale.


Il sesso virtuale è reato?

No. E Si. Dipende.

La realtà virtuale in tema di libertà sessuale segue le stesse logiche sottese alla realtà fenomenica. I presidii normativi a tutela della minore età, della libera dazione del consenso, della NON prevaricazione del consenso espresso, esercitano la loro naturale funzione di argine anche in riferimento alla sessualità virtuale.


Gli atti sessuali virtuali sono equiparati a quelli reali?

A questa domanda la Corte di Cassazione ha risposto con una sentenza che ha decisamente superato il limite della mancanza di “corporeità” del sesso online, elemento indefettibile (o ritenuto tale) per la ascrizione di un atto al concetto giuridico di “atto sessuale”.

Secondo la S.C. (sentenza n. 41951/2019) integra il reato di violenza sessuale e non quello ben meno grave di molestie di cui all’art. 660 c.p. la condotta di chi, per soddisfare o eccitare il proprio istinto sessuale, mediante comunicazioni telematiche che non comportino contatto fisico con la vittima, induca la stessa al compimento di atti che comunque ne coinvolgano la corporeità sessuale e siano idonei a violarne la libertà personale e non (solo) la mera tranquillità.

Nel caso de quo la Corte ha confermato la sentenza, emessa all’esito del giudizio di appello, di condanna del ricorrente per violenza sessuale e non per molestie per aver indotto, con plurime comunicazioni telematiche, una minore degli anni 14 a compiere giochi erotici e avere rapporti sessuali virtuali.

 

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di Avv. Francesca Pengo

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