Soglie di punibilità per reati tributari


La Corte di Giustizia fa chiarezza sulla compatibilità delle norme italiane ed europee nel diritto tributario
Soglie di punibilità per reati tributari
Con la sentenza depositata lo scorso 2 maggio (sent. 2 maggio 2018, causa C 574/15), la Grande Sezione della Corte di Giustizia Europea affronta nuovamente la questione di compatibilità tra diritto Europeo e diritto penale italiano, con particolare riferimento ai reati tributari e alle soglie di punibilità.

Allo scopo di rendere più agevole la comprensione del tema, saranno opportuni alcuni cenni preliminari relativi al caso concreto che si è trovato a dirimere il Tribunale di Varese.
L’amministratore unico di una società italiana era accusato di avere omesso di versare, entro i termini di legge, l’imposta sul valore aggiunto (IVA) per un importo di 175.272 euro risultante dalla dichiarazione annuale dei redditi della società per l’esercizio fiscale 2012.

Ora, con il D.Lgs 10 marzo 2000, n. 74, il legislatore ha delineato la disciplina penale dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, riformando e semplificando le norme precedenti. Con il D.Lgs 74/2000 è stata anche eliminata la punibilità per fatti prodromici o preliminari all’evasione fiscale, limitatamente a quelli direttamente correlati all’evasione stessa. In sostanza, ad essere punito non è il tentativo, ma solo l’evasione effettivamente compiuta.
Lo stesso D.Lgs 10 marzo 2000, n. 74 è stato successivamente novellato con il D.Lgs 158/2015 e, tra le modifiche introdotte, rilevanti sono quelle che riguardano le cosiddette soglie di punibilità, ovvero quei limiti che, ove superati, comportano violazione del precetto penale.

Nello specifico delitto di omesso versamento dell’Iva, il D.Lgs 10 marzo 2000, n. 74 prevedeva inizialmente una soglia di 50 mila euro, successivamente innalzata, con le modifiche apportate dal successivo D.Lgs 158/2015, a 250 mila euro (agli artt. 10-bis e 10-ter del novellato D.Lgs 74/2000), mentre soglie differenti erano state previste per l’omissione di versamenti delle ritenute (150 mila euro) e indebita compensazione (50 mila euro).

In base alla vigente normativa penale italiana in materia tributaria, l’imprenditore avrebbe dovuto rispondere solo alla giustizia amministrativa e non anche a quella penale, dato che l’ammontare dell’omissione dell’Iva (175.272 euro) era inferiore alla soglia di punibilità di 250 mila euro. Inoltre, l’imputato avrebbe potuto beneficiare anche della causa di non punibilità legata al fatto che la società e l’amministrazione tributaria avevano convenuto un pagamento rateizzato dell’IVA dovuta (aumentato della multa e degli interessi di mora).

E, tuttavia, le novellate soglie di punibilità non risultano compatibili con il diritto europeo e nello specifico con l’art. 4, par. 3 TUE, con l’art. 325, parr. 1 e 2 TFUE, con la direttiva IVA (direttiva 2006/112/CE) e con la Convenzione TIF (Convenzione elaborata in base all’articolo K.3 del Trattato sull’Unione europea relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee).

Dunque, il Tribunale di Varese ha avanzato alla Corte di Giustizia Europea dubbi di compatibilità delle norme penali italiane e quelle europee in ambito di diritto tributario e nello specifico sulle soglie di punibilità per omesso versamento dell’Iva e sull’introduzione di soglie differenti precedentemente armonizzate. In sostanza, il Giudice italiano ha sollevato il dubbio che la differenza tra soglie di punibilità non fosse compatibile con i dettami europei e che generasse, inoltre, una maggiore tutela degli interessi finanziari nazionali rispetto a quelli dell'Unione europea. Per tale motivo, il Tribunale di Varese ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte tre questioni pregiudiziali al riguardo.

La Corte di Giustizia Europea ha dissolto i dubbi dei giudici del Tribunale lombardo specificando che la differenza di soglie non è incompatibile con la direttiva 2006/112/, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, in combinato disposto con l'articolo 4, paragrafo 3, TUE, e l'articolo 325, paragrafo 1, TFUE, che "devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che prevede che l'omesso versamento, entro i termini prescritti dalla legge, dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) risultante dalla dichiarazione annuale per un determinato esercizio integri un reato punito con una pena privativa della libertà unicamente qualora l'importo IVA non versato superi una soglia di rilevanza penale pari a EUR 250 000, mentre è invece prevista una soglia di rilevanza penale pari a EUR 150 000 per il reato di omesso versamento delle ritenute alla fonte relative all'imposta sui redditi".

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di Avv. Riccardo Brigazzi

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