SPORT E LAVORO SUBORDINATO: LA DISCIPLINA DEI LAVORATORI SPORTIVI
SPORT E LAVORO SUBORDINATO: LA DISCIPLINA DEI LAVORATORI SPORTIVI
Nel precedente articolo abbiamo parlato del lavoro sportivo in generale e del lavoro sportivo in ambito più specifico ovvero professionistico e dilettantistico.
Oggi invece proverò a fornire alcuni elementi essenziali e comuni alla disciplina dei rapporti di lavoro sportivo subordinato.
Le norme comune ai due settori, professionistico e dilettantistico, riguardano il lavoro subordinato che viene regolato dall’art.26 del D.lgs 36/2021 così come modificato dal d.l. n.96/2025 divenuto oggi Legge con il provvedimento n.119/2025.
In particolare la norma in parola introduce alcune novità riguardanti:
1. La scadenza massima contrattuale che passa da 5 anni a 8 anni.
La norma recentemente novellata, prevede che il contratto di lavoro subordinato sportivo possa avere una durata massima di 8 anni.
Questo significa che la durata contrattuale del rapporto di lavoro tra società e lavoratore dipendente potrà essere esteso fino a 8 anni a differenza della vecchia norma che prevedeva un periodo di durata massima di 5 anni.
La novità è stata introdotta con decreto legge 96/2025 del 30 giugno 2025 che ha modificato l’art.26 co2 del D.lgs 36/2021 sostituendo la parola “cinque” con “otto”.
Questo cambiamento normativo mira a fornire maggiore stabilità e flessibilità per le società sportive, in particolare in vista dei grandi eventi sportivi che l'Italia ospiterà nei prossimi anni.
Inoltre, è ammessa la successione di contratti a tempo determinato tra le stesse parti e la cessione del contratto da una società o associazione sportiva a un'altra, purché vi consenta l'altra parte e siano osservate le modalità fissate dalle Federazioni Sportive Nazionali, dalle Discipline Sportive Associate e dagli Enti di Promozione Sportiva.
Queste disposizioni sono state introdotte per adattare la normativa alle specificità del settore sportivo, consentendo una maggiore flessibilità nella gestione dei rapporti di lavoro
2. Costituzione di un Fondo TFR
Obbligo di costituzione secondo l’art. 26 del d.lgs. 36/2021 di un fondo TFR che prevede per i rapporti di lavoro subordinato sportivo il diritto a percepire il TFR (acronimo di trattamento di fine rapporto) come per tutti i lavoratori subordinati nei vari settori produttivi del paese.
La società sportiva è quindi obbligata a costituire un fondo TFR per i propri lavoratori subordinati, accantonando annualmente la quota spettante.
La norma trova una disciplina generale all’art.2120 codice civile a meno che non sia prevista un'altra forma di buonuscita da parte del datore di lavoro o delle Federazioni Sportive Nazionali, Discipline Sportive Associate o Enti di Promozione Sportiva.
Le Federazioni hanno sempre la facoltà di costituire un proprio fondo per il TFR, altrimenti il datore di lavoro è obbligato ad accantonare le quote maturate
Le modalità di calcolo dell’accantonamento
- La quota accantonata è pari alla percentuale prevista dalla normativa generale sul TFR (circa il 6,91% della retribuzione annuale lorda, con arrotondamenti annuali).
- Tale accantonamento è contabilizzato nel fondo TFR dell’ente sportivo fino al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
Operativamente parlando il fondo può essere:
- interno all’ente sportivo (contabilizzato come accantonamento nei bilanci), oppure
- trasferito a forme pensionistiche complementari o INPS, se previsto dalla volontà delle parti o da accordi collettivi.
Il risultato finale perseguito dalla istituzione di tale Fondo è volto a garantire il diritto economico al lavoratore sportivo a percepire una somma alla fine del proprio rapporto di lavoro, sia per professionisti che per collaborazioni subordinate nel settore dilettantistico.
Uniformare le tutele economiche del lavoro sportivo alle regole generali del diritto del lavoro, pur con le deroghe organizzative del settore, è stato sicuramente un ottimo contributo per una maggior dignità del lavoro nello sport.
3. Utilizzo di una clausola compromissoria per gestire un arbitrato in caso di controversia
La clausola compromissoria nei contratti sportivi è una disposizione con cui le parti (atleti, società, federazioni, tesserati, ecc.) si impegnano a devolvere eventuali controversie non alla giustizia ordinaria, ma agli organi di giustizia sportiva o, in alcuni casi, ad arbitri designati secondo le regole dell’ordinamento sportivo.
Da questo punto di vista chi si tessera è “obbligato” ad accettare di sottoporre ogni propria controversia ad una giurisdizione speciale ovvero quella sportiva.
Per questo che una volta tesserati in una Federazione Sportiva “Ufficiale” ci si impegna a sottostare ad un vincolo che però non deve essere interpretato in termini assoluti.
Normalmente quando si litiga tra lavoratori sportivi e società sportive, le controversie possono essere regolate da due tipi di clausole molto simile ma con piccole sfumature.
La prima che menzioniamo è la clausola compromissoria.
Essa è una pattuizione inserita in un contratto con cui le parti stabiliscono in anticipo che eventuali controversie future derivanti da quel contratto non saranno decise dal giudice ordinario, ma da un collegio arbitrale.
Quindi in questo caso la sua funzione è preventiva ovvero scatta nel momento in cui nascerà la lite.
Esempio: in un contratto tra un calciatore e una società, si stabilisce che ogni controversia sarà decisa dal Collegio Arbitrale della FIGC.
La seconda tipologia, invece, si riferisce alla clausola arbitrale (o compromesso arbitrale) ovvero un accordo successivo alla nascita della lite in cui le parti già in conflitto scelgono di affidare la controversia a uno o più arbitri, anziché al giudice statale.
In questo caso la sua funzione è curativa ovvero interviene dopo che la lite è sorta.
Esempio: una società sportiva e un allenatore già in causa per risoluzione del contratto decidono, invece di andare in tribunale, di rivolgersi a un arbitro scelto da entrambe.
È importante chiarire che la Legge consente che i contratti sportivi possono contenere un valido meccanismo di devoluzione delle liti ad un arbitro ovvero un giudice esterno riconosciuto in un formale Tribunale o in alternativa ad un professionista, o gruppo di professionisti esterni, istituito in un organismo chiamato arbitrale che giudica come un vero e proprio giudice.
Tale dispositivo giuridico permette di discutere i problemi tra lavoratore sportivo e datore di lavoro (società sportiva) attraverso delle modalità alternative ai Tribunali Ordinari.
Questo serve a mantenere l’autonomia dell’ordinamento sportivo, evitando che ogni conflitto finisca davanti ai tribunali ordinari.
La clausola non è obbligatoria ma scelta liberamente tra le parti in modo facoltativo e viene normalmente inserita con lo spirito di risolvere le questioni attraverso decisioni più rapide e coerenti con le specificità dello Sport.
L’unico limite imposto ex art.26 co.5 D.lgs 36/2021 corrisponde ai requisiti di:
- Indicazione di nomina dell’Arbitro
- Numero dei membri del collegio arbitrale
- Modalità di nomina degli arbitri
Inoltre ad oggi conosciamo due tipologie di clausola compromissoria:
- Clausola compromissoria arbitrale che rinvia la lite ad arbitri scelti secondo le regole federali o del CONI (es. Collegio di Garanzia dello Sport).
- Clausola compromissoria endo-federale che impone di rivolgersi prima agli organi di giustizia interna alla federazione, prima di arrivare ad arbitri o giudici esterni.
Vale la pena di considerare in questa sede un esempio importante di organismo giudicante arbitrale che corrisponde al Tribunale Arbitrale dello Sport con sede attualmente a Losanna in Svizzera.
Il Tribunale Arbitrale dello Sport (TAS o CAS – Court of Arbitration for Sport), è un organo arbitrale indipendente che si occupa delle controversie legate allo sport non a livello Nazionale ma a livello Internazionale.
Decide controversie di natura contrattuale (es. tra atleti, club, procuratori, sponsor, federazioni) e disciplinare (es. doping, squalifiche, ammissione a competizioni).
Inoltre può intervenire sia come arbitrato ordinario, sia come arbitrato d’appello contro le decisioni di federazioni sportive internazionali.
Non ci dimentichiamo che l’utilizzo di tale clausola non può impedire il ricorso al giudice statale per materie che esulano dall’ordinamento sportivo (es. rapporti di lavoro subordinato, previdenza, infortuni).
Un esempio pratico potrebbe essere dato da un contratto tra calciatore e una società sportiva che rimandare al Collegio Arbitrale della FIGC eventuali controversie relative all’interpretazione del contratto, invece che davanti al tribunale civile.
Tuttavia, per le questioni come contributi previdenziali o licenziamenti discriminatori, resterà attualmente la competenza del giudice ordinario.
Se da un lato la clausola compromissoria ha il vantaggio di dare una via alternativa alla giustizia ordinaria, ad oggi non adeguatamente preparata ai temi specifici dello sport e in sofferenza per l’irragionevole durata delle proprie decisioni, dall’altro lato l’arbitrato risulta una procedura più costosa e in alcuni casi accessibile solo per una ristretta cerchia di lavoratori sportivi più facoltosi.
4. Divieto di patto di non concorrenza futura
L’art.26 co.6 del D.lgs 36/2021 stabilisce che il contratto sportivo “non può contenere clausole di non concorrenza o, comunque, limitative della libertà professionale dello sportivo per il periodo successivo alla cessazione del contratto stesso nè può essere integrato, durante lo svolgimento del rapporto, con tali pattuizioni.”
Il tema è molto interessante ed è già contenuto in un principio generale che nel diritto del lavoro comune è indicato all’art. 2125 c.c. che ammette il patto di non concorrenza sottoponendolo a limiti rigidi come la forma scritta, durata massima, corrispettivo economico proporzionato.
Nei contratti sportivi, invece, la regola è più restrittiva: si vieta, in linea generale, di imporre all’atleta vincoli che limitino la sua libertà professionale dopo la cessazione del rapporto.
Infatti nei contratti sportivi, i lavoratori come l’atleta, alla scadenza del contratto, devono essere liberi di tesserarsi con altra società.
Sono vietate clausole che lo obblighino a non giocare o a non firmare con concorrenti dopo la cessazione del rapporto.
Questo divieto discende dal principio di tutela della libertà professionale e dal diritto costituzionale al lavoro (art. 4 e 35 Cost.).
A mio modo di vedere possono esserci accordi “di preferenza” o “di opzione” (es. diritto di rinnovo, diritto di prelazione), ma solo se limitati e proporzionati, e comunque non possono comprimere la libertà futura in modo eccessivo.
Anche le indennità previste dal Fifa transfert regulation potrebbero rientrare in un eventuale accordo comune tra le parti purchè non trasformino il lavoratore sportivo in un “vincolato a vita” ovvero siano temporanee e proporzionate.
Il divieto generale quindi posto per tutelare la libertà della propria professione e, contestualmente, il diritto al lavoro
NORME NON APPLICABILI
Oltre alle norme fin qui analizzate, esistono anche norme non applicabili al contratto di lavoro sportivo subordinato.
Infatti l'articolo 26 stabilisce che ai contratti di lavoro subordinato sportivo non si applicano le norme contenute negli articoli 4, 5 e 18 della Legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei Lavoratori).
In particolare, ciò implica che:
- Articolo 4: non si applica il divieto di controllo a distanza dell'attività lavorativa, consentendo forme di monitoraggio specifiche per le esigenze del settore sportivo.
- Articolo 5: non si applica il divieto di accertamenti sanitari sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente;
- Articolo 18: non si applicano le disposizioni relative alle procedure di licenziamento e reintegro del lavoro, stabilendo un regime differenziato per il settore sportivo.
A queste norme statutarie si aggiungono anche norme che riguardano i licenziamenti individuali per giusta causa e giustificato motivo, la comunicazione scritta e l’onere della prova oltre alle norme sui licenziamenti collettivi nonché le norme a tutela delle mansioni ex art.2103 c.c.
Queste deroghe sono state introdotte per adattare la normativa alle specificità del mondo sportivo, riconoscendo la necessità di una maggiore flessibilità nella gestione dei rapporti di lavoro in questo ambito.
Appare invece applicabile la norma all’art.2119 codice civile ovvero il recesso per giusta causa, che permette a ciascuna delle parti (datore di lavoro o lavoratore) di interrompere un contratto di lavoro senza preavviso o alla scadenza, qualora si verifichi una causa grave che impedisca la prosecuzione, anche temporanea, del rapporto di lavoro.
Quindi nello Sport i così detti “licenziamenti per giusta causa”, sono sottoposti alla regola generale prevista dall’art.2119 codice civile in cui la giusta causa si realizza quando la condotta di una parte è talmente grave da minare irrimediabilmente il rapporto di fiducia, come nel caso di furto, grave inadempimento, o comportamenti illegali o scorretti, ossia il fatto sia talmente grave da non consentire la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto di lavoro.
Dunque questa fattispecie tipica si propone come misura giuridica valida per tutti i lavoratori, compresi gli sportivi.
Per dare un quadro sintetico possiamo dire che la risoluzione anticipata del contratto sportivo è ammessa nei casi previsti per:
- giusta causa (art. 2119 c.c. applicabile);
- accordo tra le parti;
- specifiche cause regolamentate dalle federazioni sportive e dagli accordi collettivi.
Per esempio: gravi violazioni disciplinari (doping, assenze ingiustificate, condotte contrarie al codice etico della società o della federazione) e, in casi estremi, in relazione a condanne penali.
Se prendiamo in esame il Calcio come esempio nello Sport, i casi più comuni e statisticamente più significativi, possono riguardare le liti tra calciatori e società sportive per stipendi arretrati non pagati dalle società sportive che costituiscono veri e propri casi di risoluzione anticipata contrattuale per giusta causa.
Per i calciatori professionisti la regola è che le controversie sul contratto non vanno davanti al Tribunale Ordinario, ma a organi sportivi specializzati, salvo casi particolari.
In Italia per esempio la procedura si articola normalmente rivolgendo la propria domanda alla:
- Commissione Vertenze Economiche (CVE) della FIGC che è l’organo che decide sulle controversie tra calciatori, allenatori e società in materia di rapporti di lavoro.
- Collegio Arbitrale presso la FIGC, solo in alcuni casi ovvero in quei casi in cui le parti hanno deciso di optare per l’arbitrato sportivo.
- Collegio di Garanzia dello Sport (CONI) quando si decide di impugnare le decisioni della CVE della FIGC
Solo in casi estremi (ad esempio, per crediti non soddisfatti dopo il percorso sportivo, o se ci sono violazioni di diritti fondamentali) il calciatore può rivolgersi alla giustizia ordinaria del lavoro.
A livello internazionale (per giocatori stranieri o con società estere), invece la domanda viene rivolta con una procedura rinviata al:
- FIFA Dispute Resolution Chamber (DRC) che è la Camera di Risoluzione delle Controversie FIFA, competente nei casi internazionali (es. calciatore straniero con club italiano, o viceversa).
- TAS/CAS di Losanna (Tribunale Arbitrale dello Sport), nell’eventualità i ricorsi siano contro le decisioni della DRC.
In conclusione abbiamo visto come nel lavoro sportivo il vincolo di subordinazione contrattuale si configura come disciplina in comune sia per il professionismo sia per il dilettantismo, e come in entrambi i casi la normativa di cui al D.lgs n.36/2021 e successive modificazioni ha introdotto rilevanti novità.
Ed invece, molte norme a tutela del lavoro subordinato rimangono non applicabili ad un settore come lo Sport altamente specifico rispetto ad altri settori produttivi ed economici.
Ma altre norme possono essere utilizzate. Per questo motivo che ogni caso dovrà essere studiato e valutato in modo concreto e differente.
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