Stalking familiare, si perde l’affidamento dei figli
Cassazione: il genitore che denigra l’altro genitore alla presenza dei figli perde il diritto all’affidamento congiunto

Purtoppo, spesso accade che in fase di separazione dei coniugi, o di affidamento dei figli, o addirittura prima (quando la coppia è in grave crisi) vi siano da parte di uno dei due partner atteggiamenti di violenza familiare verbale, se non addirittura fisica, nei confronti dell’altro partner.
Si chiama stalking ed è rubricato come reato nel nostro ordinamento penale. Se tale comportamento illecito avviene tra le mura di casa, si parla di stalking familiare.
Il reato di stalking (dall'inglese to stalk, letteralmente "fare la posta") è stato introdotto nel nostro ordinamento con l’approvazione del D.l. n. 11/2009 (convertito dalla Legge n. 38/2009) attraverso l'art.612-bis del codice penale che recita: "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita".
Al secondo comma della norma, inoltre, sono previste delle aggravanti nel caso in cui a compiere gli atti persecutori sia il coniuge o il convivente. Infatti "La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici".
Ma anche nei casi in cui il coniuge non arrivi a minacce o molestie fisiche, può considerarsi mobbing coniugale l’atteggiamento di uno dei partner che denigri ripetutamente l’altro partner con continui attacchi, accuse e imposizioni. Rientrano negli atteggiamenti di mobbing coniugale, ad esempio, gli apprezzamenti offensivi al partner in presenza di altre persone (anche amici o conoscenti), provocazioni ripetute, il rifiuto al dialogo o il totale disinteresse nei confronti del coniuge o convivente. Un particolare atteggiamento di mobbing che spesso avviene in sede di separazione, è la costante denigrazione dell’altro genitore di fronte ai figli. Rientrano in questo ambito tutti i comportamenti in cui uno dei due genitori scredita o accusa l’altro genitore nelle proprie conversazioni in presenza dei figli o, ancor più, quando si rivolge direttamente a loro.
Ci sono diverse pronunce di merito e di legittimità che condannano il mobbing (o stalking) familiare, soprattutto quando il comportamento illecito coinvolge anche i minori.
Tra queste sentenze in materia di rapporti tra coniugi separati e figli minori ve n’è una significativa della Corte Costituzionale (sentenza dell’8 marzo 2013, n. 5847), in cui gli Ermellini hanno sancito il principio in base al quale il genitore che scredita l’altro perde il diritto all’affidamento congiunto.
Nello specifico, il caso era quello di una madre che aveva visto deteriorarsi notevolmente i rapporti con i figli a causa delle continue affermazioni denigratorie nei suoi confronti da parte del padre. A confermare i timori della donna sono stati anche gli psichiatri che avevano osservato i minori.
A causa del comportamento negativo del padre, i figli, che durante i processi erano stati affidati all’uomo, sono stati poi affidati alla madre dalla Corte di Appello. La decisione, poi, è stata convalidata anche dalla Corte di Cassazione che, pur auspicando una ripresa dei rapporti familiari, hanno affidato i figli alla madre nell’interesse dei minori.
Il nostro studio è a vostra disposizione per approfondire la materia o per richiedere assistenza legale.
Si chiama stalking ed è rubricato come reato nel nostro ordinamento penale. Se tale comportamento illecito avviene tra le mura di casa, si parla di stalking familiare.
Il reato di stalking (dall'inglese to stalk, letteralmente "fare la posta") è stato introdotto nel nostro ordinamento con l’approvazione del D.l. n. 11/2009 (convertito dalla Legge n. 38/2009) attraverso l'art.612-bis del codice penale che recita: "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita".
Al secondo comma della norma, inoltre, sono previste delle aggravanti nel caso in cui a compiere gli atti persecutori sia il coniuge o il convivente. Infatti "La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici".
Ma anche nei casi in cui il coniuge non arrivi a minacce o molestie fisiche, può considerarsi mobbing coniugale l’atteggiamento di uno dei partner che denigri ripetutamente l’altro partner con continui attacchi, accuse e imposizioni. Rientrano negli atteggiamenti di mobbing coniugale, ad esempio, gli apprezzamenti offensivi al partner in presenza di altre persone (anche amici o conoscenti), provocazioni ripetute, il rifiuto al dialogo o il totale disinteresse nei confronti del coniuge o convivente. Un particolare atteggiamento di mobbing che spesso avviene in sede di separazione, è la costante denigrazione dell’altro genitore di fronte ai figli. Rientrano in questo ambito tutti i comportamenti in cui uno dei due genitori scredita o accusa l’altro genitore nelle proprie conversazioni in presenza dei figli o, ancor più, quando si rivolge direttamente a loro.
Ci sono diverse pronunce di merito e di legittimità che condannano il mobbing (o stalking) familiare, soprattutto quando il comportamento illecito coinvolge anche i minori.
Tra queste sentenze in materia di rapporti tra coniugi separati e figli minori ve n’è una significativa della Corte Costituzionale (sentenza dell’8 marzo 2013, n. 5847), in cui gli Ermellini hanno sancito il principio in base al quale il genitore che scredita l’altro perde il diritto all’affidamento congiunto.
Nello specifico, il caso era quello di una madre che aveva visto deteriorarsi notevolmente i rapporti con i figli a causa delle continue affermazioni denigratorie nei suoi confronti da parte del padre. A confermare i timori della donna sono stati anche gli psichiatri che avevano osservato i minori.
A causa del comportamento negativo del padre, i figli, che durante i processi erano stati affidati all’uomo, sono stati poi affidati alla madre dalla Corte di Appello. La decisione, poi, è stata convalidata anche dalla Corte di Cassazione che, pur auspicando una ripresa dei rapporti familiari, hanno affidato i figli alla madre nell’interesse dei minori.
Il nostro studio è a vostra disposizione per approfondire la materia o per richiedere assistenza legale.
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