TFR in azienda o in un fondo pensione: cosa è meglio?


Un confronto sulle due possibilità di scelta del lavoratore per poter scegliere con sicurezza
TFR in azienda o in un fondo pensione: cosa è meglio?

 

Le casse dell’Inps languono. E non da oggi. Per questo il nostro legislatore ha emanato il Decreto Legislativo del 5 dicembre 2005 con il quale è stato deciso che il TFR può essere destinato anche a forme di previdenza complementare in luogo di lasciarlo in azienda

Conviene? La risposta è certamente affermativa per diverse ragioni, sia di convenienza finanziaria sia fiscale. Vediamo perché.

 

Cos’è e a quanto ammonta il TFR

Il TFR (acronimo di Trattamento di Fine Rapporto) è un fondo costituito dalle quote dovute annualmente dal datore di lavoro ai dipendenti che vengono poi corrisposte quando finisce il rapporto di lavoro, salvo anticipazioni.

Da un punto di vista contabile, il TFR è un debito che un’impresa registra nel passivo dello stato patrimoniale ed è costituito dal totale del debito dovuto nei confronti del personale. Nel conto economico, invece, viene registrata annualmente solo la quota accantonata per l’anno in corso che va ad incrementare l’ammontare del fondo TFR iscritto nello stato patrimoniale.

Il calcolo del Trattamento di Fine Rapporto è indicato nell’articolo 2120 del Codice civile, al primo comma: per ogni dipendente, il datore di lavoro deve accantonare annualmente una somma pari alla retribuzione annua lorda (comprensiva di eventuali compensi e indennità) divisa per il coefficiente 13,5. Per periodi lavorativi inferiori a un anno si considera una mensilità intera solo se il dipendente ha lavorato per più di 15 giorni in un mese.

Il fondo, inoltre, viene rivalutato annualmente dell’1,5% in misura fissa e del 75% del tasso di inflazione registrato dall’Istat.

Come detto, il TFR viene erogato al dipendente una volta terminato il rapporto di lavoro. Il dipendente, però, può richiedere un’anticipazione a tre condizioni (indicate dall’art. 2120 c.c.):
1.    che siano passati otto anni dall’assunzione
2.    che si richieda al massimo il 70% della quota spettante a titolo di TFR
3.    che sia richiesta una sola volta nel corso del rapporto lavorativo

Altri paletti all’erogazione dell’anticipazione sono indicati dal comma 8 dell’articolo citato. In altre parole, il dipendente può richiedere un’anticipazione solo per i seguenti casi indicati dalla legge:
“a) eventuali spese sanitarie per terapie o interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche; 
b) acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli, documentato con atto notarile"
.

Anche sul fronte datoriale ci sono dei limiti all’erogazione dell’anticipazione del TFR
Il comma 7 dell’art. 2120 c.c. indica i due seguenti limiti:
1.    il TFR può essere concesso nel limite annuo del 10% dei lavoratori aventi diritto all’anticipazione
2.    il TFR può essere concesso al massimo al 4% del numero totale dei dipendenti 

 

Cosa accade se si lascia il TFR in azienda

Quando una persona viene assunta, entro i 6 mesi successivi dalla stipula del contratto deve scegliere se lasciare il TFR in azienda o devolverlo alla previdenza complementare.

Oggi questa opzione è un’alternativa alla previdenza complementare, ma prima del 1° gennaio 2017 era una scelta obbligata.

Se si sceglie di lasciare il trattamento di fine rapporto in azienda, le quote accantonate confluiscono in fondi differenti in base alla grandezza dell’impresa.

Infatti:
•    se l’azienda ha meno di 50 occupati il TFR resta effettivamente in azienda e viene contabilizzato come sopra spiegato in bilancio d’esercizio
•    se l’azienda ha più di 50 occupati il TFR non resta nei fatti al datore di lavoro perché viene trasferito a “FondInps”, il fondo pensioni dell’Istituto nazionale della previdenza sociale, a meno che non sia indicato un altro fondo previdenziale nei contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali; in caso di presenza di più fondi indicati nei contratti, il TFR viene trasferito nel fondo a cui ha aderito la maggioranza dei dipendenti

Sulla scelta di lasciare il TFR in azienda, quindi, va sottolineato il fatto che se l’impresa ha più di 50 dipendenti, la quota non resterebbe comunque al datore di lavoro e il fondo previdenziale sarebbe quello dell’Inps, oppure un altro che magari potrebbe non risultare il più favorevole rispetto ad altre forme di previdenza complementare.

Se, invece, l’azienda ha meno di 50 dipendenti il TFR resterebbe effettivamente in azienda e allora bisognerebbe interrogarsi sulla solidità dell’impresa.

La scelta di lasciare il trattamento di fine rapporto in azienda potrebbe essere quella di “aiutare” il proprio datore di lavoro, garantendo liquidità. Purtroppo, con il COVID-19 molte attività hanno affrontato problemi di liquidità importanti e in alcuni casi sono fallite.

Si è sicuri, al giorno d’oggi, di lasciare il TFR al proprio datore di lavoro? Si è sicuri che l’azienda per la quale si lavora continuerà la sua attività fino ad arrivare al momento della pensione?

Recuperare il proprio TFR se l’azienda chiude o fallisce non è cosa semplice, che implica l’intervento di un legale e un tempo indeterminato per recuperare quanto dovuto.


Cosa accade se si destina il TFR in un fondo pensione

Il D.lgs. 252/2005 ha compiuto un cambio di passo rispetto al passato e sarebbe auspicabile che lo si facesse anche in termini di opportunità finanziaria.

Accanto alla previdenza statale, il decreto citato ha voluto potenziare la previdenza complementare, considerata a tutti gli effetti il “secondo pilastro della previdenza”.

E a ben ragione, dato che i vantaggi sono notevoli.

Chi non vuole lasciare il TFR in azienda può optare per destinare la propria quota annuale maturata in uno dei fondi di previdenza complementare.

La scelta, prescrive il D.lgs. 252/2005, è libera e volontaria.

In questo caso, sempre entro i sei mesi dall’assunzione, il dipendente può esprimere la preferenza ed affidare il proprio TFR a un fondo pensione.

I vantaggi di questa scelta sono evidenti, sia da un punto di vista del rendimento che da un punto di vista fiscale, come vedremo nei paragrafi successivi.


Cosa accade se il dipendente non sceglie tra TFR in azienda o in un fondo pensione?

Nel caso in cui il dipendente non scegliesse come destinare il proprio TFR entro i sei mesi dall’assunzione, scatterebbe la regola del silenzio-assenso.

Dunque, il TFR resterebbe in azienda (nel caso di impresa con meno di 50 dipendenti) oppure nel fondo pensione Inps o fondi indicati dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali (nel caso di impresa con più di 50 dipendenti).

Ma il fatto non aver compiuto una scelta entro i 6 mesi, non preclude la possibilità di poterla fare in un momento successivo. Infatti, trascorso tale periodo, il lavoratore può comunque:
•    scegliere di lasciare il TFR in azienda (e non cambierebbe nulla)
•    destinare il TFR alla previdenza complementare (in questo caso la parte già maturata resterebbe in azienda e la parte futura sul fondo prescelto)

 

Cosa accade se il dipendente volesse modificare la sua scelta?

Se il dipendente avesse già compiuto una scelta, ma volesse modificarla, i casi sono due:
1.    se si è già optato per lasciare il TFR in azienda entro i primi 6 mesi dall’assunzione, si può comunque in un secondo momento destinare le proprie quote a un fondo pensione
2.    se si è già scelto di destinare il proprio TFR a un fondo pensione, non è possibile farlo riconfluire in azienda oppure in un altro fondo. Per questo la scelta su quale forma di previdenza complementare aderire è molto importante e va valutata attentamente, preferibilmente con un consulente finanziario che conosce i prodotti presenti sul mercato.

 

Perché i vantaggi del fondo pensione sono maggiori rispetto al TFR in azienda 

I vantaggi della previdenza complementare rispetto al TFR in azienda sono notevoli sia a livello di rendimento annuale che da un punto di vista fiscale.

Vediamo nello specifico perché.


Maggiori rendimenti sulla quota TFR

La remunerazione del TFR in azienda è pressoché invariabile nel tempo ed è composta, come detto, dalla sola rivalutazione annuale dell’1,5% e da quella del 75% dell’indice Istat annuale.

È un rendimento minimo che potrebbe non abbattere la perdita di potere d’acquisto

La remunerazione del TFR in un fondo pensione è variabile e dipende dall’andamento finanziario del fondo stesso, che in genere è sempre positivo. La remunerazione del capitale accantonato, dunque, nel lungo periodo sarebbe di gran lunga maggiore rispetto a quella ottenuta se li lasciasse il TFR in azienda. 

Generalmente i fondi pensione aperti hanno a disposizione degli aderenti più comparti fra cui scegliere con diverse caratteristiche di rischio/rendimento, per poter soddisfare le esigenze degli investitori/aderenti.

Nel caso si avesse timore di una perdita di capitale a causa di ribassi nei mercati finanziari, bisognerebbe sapere che nel lungo periodo la volatilità dei mercati si attenua proprio perché è necessario valutare la tendenza di rendimento negli anni (in genere in crescita).

Inoltre, grazie all’aiuto di un consulente finanziario esperto, potrebbero essere scelti comparti pensioni complementari a bassa volatilità o addirittura garantite.

Quindi, optando per un fondo pensione complementare si otterrebbero rendimenti maggiori rispetto a quelli ottenibili se si lasciasse il TFR in azienda.

 

Maggiori vantaggi fiscali del fondo pensione

Un altro vantaggio del fondo pensione complementare è il miglior trattamento fiscale, che si traduce in maggiori soldi nelle tasche del lavoratore.

Se il TFR venisse lasciato in azienda, una volta corrisposto al dipendente, il capitale maturato sarebbe soggetto a tassazione separata, applicando l’aliquota Irpef in base allo scaglione di reddito corrispondente, compresa tra il 15% e il 43%. Inoltre, ogni anno il TFR è tassato al 17% sulle plusvalenze.

Qualora si destinasse il TFR ad una pensione integrativa complementare, una volta che il TFR verrà corrisposto al dipendente, l’aliquota di tassazione sarà del 15% che diminuisce dello 0,3% per ogni anno di iscrizione al fondo complementare successivo al 15esimo, fino ad arrivare a un’aliquota minima di tassazione del 9%.

Per quanto riguarda la tassazione prevista sugli interessi attivi e sulle plusvalenze annuali è del 20% (di certo meno del 26% prevista per altri strumenti finanziari come azioni e obbligazioni). Se, però, all’interno del fondo prescelto ci sono strumenti finanziari di emissione statale (per cui l’aliquota di tassazione scende al 12,5%), allora l’aliquota realmente applicata sarebbe anche inferiore al 20%

In sintesi, conti alla mano, il TRF maturato e corrisposto sarebbe tassato di meno se destinato alla previdenza complementare

Se si considerano anche i maggiori rendimenti annuali, ecco che la previdenza complementare risulta essere la scelta più razionale e più redditizia.

Se vuoi avere maggiori informazioni su come destinare il tuo TFR contattami. Sarò lieta di darti tutte le informazioni che ti servono per scegliere con sicurezza.
 

Articolo del:


di Emanuela Musci

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