Trattamento fiscale dell'assegno di mantenimento


E' più conveniente corrispondere l'assegno una tantum o l'assegno mensile? Queste e molte altre le questioni su cui rispondere...
Trattamento fiscale dell'assegno di mantenimento
Per affrontare la tematica della tassazione dell’assegno di mantenimento è opportuno effettuare una breve distinzione delle principali classi di "deduzioni" che interessano lo specifico caso dei procedimenti di separazione e di divorzio.

Ricordiamo che ci sono gli oneri deducibili, previsti in via generale dall’art. 10 D.P.R. n. 917/1986, i quali presentano la caratteristica di essere posti a decurtazione diretta del reddito imponibile; tra gli oneri deducibili sono riconducibili gli assegni di mantenimento corrisposti al coniuge, i contributi previdenziali obbligatori per legge, le erogazioni liberali, la rendita dell’abitazione principale ecc..; le detrazioni d’imposta per oneri previste ed indicate in generale nella categoria prevista all’art 15 D.P.R. n. 917/1986, tra le quali rientrano le spese mediche, gli interessi passivi sui mutui della casa, gli oneri per l’assicurazione sugli infortuni ecc... Dette spese presentano la caratteristica di essere poste a decurtazione diretta dell’imposta dovuta e calcolata sul reddito imponibile. Abbiamo infine le detrazioni per carichi di famiglia, che, come dice la parola stessa, assorbono i costi sopportati per determinati oneri sostenuti per i carichi di famiglia. Tale tipologia di detrazione, prevista e regolamentata dall’art. 12 D.P.R. n. 917/1986, ha subìto diverse modifiche nel corso degli anni essendo prevista, prima come detrazione d’imposta, poi come onere deducibile ed infine nuovamente come detrazione d’imposta. Con la nuova formulazione, contenuta nella legge n. 296/2006, entrata in vigore il primo gennaio 2007, la detrazione d’imposta viene suddivisa nella misura del 50% tra i coniugi, salvo diverso accordo, con attribuzione della detrazione nella misura pari al 100% al genitore che ha il reddito più elevato. La citata norma, in caso di separazione, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio tra i coniugi, ha previsto che la detrazione, in mancanza di specifico accordo, spetti al genitore affidatario. In caso di affidamento congiunto la detrazione è ripartita, in mancanza di accordo, nella misura del 50% tra i genitori. Ove il genitore affidatario ovvero, in caso di affido congiunto, uno dei genitori affidatari non possa usufruire in tutto o in parte della detrazione per limiti di reddito, quest’ultima è assegnata per intero al secondo genitore. Il genitore, salvo diverso accordo tra le parti, è tenuto a riversare all’altro genitore affidatario un importo pari all’intera detrazione ovvero, in caso di affido congiunto, pari al 50% della detrazione medesima.

Fatta questa doverosa premessa, torniamo alla tematica che affronteremo in questa sede, cioè del regime di tassazione e di deducibilità dell’assegno di mantenimento.

Abbiamo già anticipato che l’assegno di mantenimento che va corrisposto al coniuge (in seguito a separazione, divorzio, annullamento, scioglimento del matrimonio) rientra nella categoria degli "oneri deducibili" dal reddito complessivo del coniuge a cui carico sono posti; la deducibilità si applica anche nel caso in cui il coniuge è tenuto ad erogare gli alimenti, in alternativa all’assegno di mantenimento, così come nel caso di erogazione dell’assegno di mantenimento provvisorio disposto con provvedimento del Presidente del Tribunale.

La condizione essenziale ed imprescindibile che pone la normativa fiscale affinchè gli assegni periodici possano essere dedotti dal reddito del soggetto erogante è che il loro ammontare deve essere determinato da un provvedimento dell’autorità giudiziaria.

Ne consegue che sono esclusi da ogni possibile deduzione gli assegni periodici stabiliti liberamente tra le parti nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, qualora questa non sia poi recepita da un successivo provvedimento dell’autorità giudiziaria. In buona sostanza, l’assegno di mantenimento corrisposto all’ex coniuge sarà deducibile da parte del soggetto erogante, ricorrendo le seguenti condizioni:

a) che l’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento sia disposto da un preciso provvedimento del Tribunale, non essendo evidentemente deducibili somme corrisposte a titolo volontario;

b) che l’assegno sia effettivamente corrisposto ai fini della deduzione fiscale; infatti occorre prendere in considerazione gli assegni effettivamente versati in ciascun periodo d’imposta seguendo il cosiddetto "principio di cassa".

Si segnala inoltre che qualora l’ex coniuge sia residente all’estero, l’Agenzia delle Entrate ha confermato la deducibilità dell’assegno periodico a questi corrisposto anche se risulta residente fuori dal territorio nazionale.

Cosa succede invece con riferimento all’assegno di mantenimento da erogare in favore dei figli?

Per quanto riguarda la quota di assegno destinata al mantenimento dei figli, l’art. 3 comma 2 lettera b) del d.p.r. n. 917/1986 stabilisce che: sono esclusi dal reddito del coniuge percipiente gli assegni periodici destinati al mantenimento dei figli nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria. Con riferimento alla posizione del genitore erogante, l’art. 10 statuisce che la parte di assegno destinata al mantenimento dei figli non costituisce importo deducibile dal reddito del soggetto medesimo e che nel caso in cui il Tribunale non abbia indicato l’ammontare della suddetta quota, la stessa si presume determinata nella misura del 50% dell’assegno complessivo.

In buona sostanza dunque, l’assegno di mantenimento destinato al mantenimento dei figli gode di piena "neutralità fiscale": non costituisce cioè reddito per il coniuge percipiente e non costituisce onere deducibile dal reddito per il coniuge erogante.

Analizziamo ora casi specifici

Ci si è chiesti, ad esempio, quale disciplina occorresse applicare nell’ipotesi in cui il coniuge percipiente l’assegno di mantenimento, riceva degli arretrati (per mancati precedenti pagamenti o revisione dell’assegno con effetti retroattivi) se si applica cioè, il regime agevolato della "tassazione separata" come previsto per gli emolumenti arretrati per prestazioni da lavoro dipendente. Al riguardo è bere evidenziare che il Ministero delle Finanze, intervenuto con una nota del 1997, ha precisato che tali somme non godono del regime agevolato della tassazione separata e vanno quindi assoggettate alla tassazione ordinaria.

Altra questione è sorta sul trattamento fiscale riservato in caso di pagamento di spese di alloggio corrisposte periodicamente in favore del coniuge separato o divorziato. In materia è intervenuta la sentenza della Cassazione n. 13029/2013 la quale ha concesso la deducibilità delle "spese afferenti l’immobile di abitazione della moglie e del figlio", che il contribuente era chiamato a fronteggiare in virtù di un provvedimento emesso in sede di separazione giudiziale. In tale sentenza è stato stabilito che : "le spese per assicurare al coniuge la disponibilità di un alloggio costituiscono un contributo per il di lui mantenimento ai sensi dell’art. 156 c.c., in quanto la disponibilità di un’abitazione costituisce elemento essenziale per la vita di un soggetto. Ha altresì evidenziato che tale contributo per la casa "è periodico, determinato dal giudice sia pur per relationem" a quanto risulta da elementi certi e conoscibili". Tenuto conto di quanto sopra affermato, si può dunque dedurre che gli importi stabiliti a titolo di spese per il canone di locazione e spese condominiali, qualora siano disposte dal Giudice quantificabili e corrisposti periodicamente all’ex coniuge, abbiano tutti i requisiti per essere considerati alla stregua dell’assegno periodico di mantenimento e quindi: - siano deducibili dal reddito complessivo del coniuge erogante e tassabili in capo al coniuge che usufruisce dell’alloggio. Per quanto attiene la quantificazione del contributo, l’importo dello stesso, visto che difficilmente potrà essere quantificato dal Giudice, potrà essere determinato per relationem qualora per esempio il provvedimento preveda l’obbligo di versamento del canone di locazione e/o delle spese condominiali relative all’immobile a disposizione dell’ex coniuge. In tal caso la documentazione attestante il sostenimento dell’onere dovrà essere costituita oltre che dal provvedimento dell’autorità giudiziaria, dal contratto di affitto o dalla documentazione da cui risulti l’importo delle spese condominiali, nonché dalla documentazione comprovante l’avvenuto versamento.

È utile esaminare inoltre quale sia il corretto trattamento fiscale nel caso del pagamento delle rate del mutuo relative all’abitazione di proprietà comune da parte di un coniuge in favore dell’altro in sostituzione della corresponsione dell’assegno di mantenimento. Ovvero, se il coniuge onerato, così operando, possa comunque considerare deducibili dal proprio reddito le rate di mutuo pagate al terzo. L’Agenzia delle Entrate, inizialmente, con la circolare n. 50 /E/2002, ha previsto che il beneficio della deduzione dovrà essere negato in quanto "le somme destinate alle rate del mutuo che non vengono corrisposte al coniuge stesso, bensì direttamente all’istituto mutuante, non sembrano collegate ai medesimi presupposti dell’assegno di mantenimento". Successivamente sembra avere cambiato posizione, difatti con la risoluzione n.157/E/2009 ha ammesso la deducibilità delle somme corrisposte all’ex coniuge non con un versamento di denaro ma attraverso compensazione di crediti e quindi, in assenza di materiale esborso di denaro. Anche in tal caso, secondo l’Agenzia delle Entrate si realizzerebbe la situazione di cui all’art. 10 d.p.r. n. 917/1986 in base alla quale gli assegni periodici di mantenimento sono "deducibili" nella misura in cui risultino da un provvedimento dell’autorità giudiziaria e siano sostenuti dal contribuente anche se ciò è avvenuto con il meccanismo della compensazione. In ogni caso, più recentemente, è intervenuta la Corte di Cassazione sull’argomento che, con la sentenza n.6794 del 2 aprile 2015 si è espressa a favore della piena deducibilità di tali importi (rate del mutuo pagate in favore dell’ex coniuge evidenziando che: "è legittimamente fungibile come modalità di adempimento dell’obbligo alimentare solitamente attuata a mezzo di diretta corresponsione dell’assegno di mantenimento all’ex coniuge, quella consistente nell’accollo delle rate di mutuo gravanti sull’ex coniuge che, in tal modo ne resta sollevato. Anche le somme utilizzate per il pagamento delle rate del mutuo quindi, sono deducibili dal reddito complessivo del contribuente, alla stessa stregua dei versamenti in denaro a titolo di assegni periodici di mantenimento giudizialmente imposti a seguito di separazione o divorzio, sempre nel limite della somma stabilita dal giudice." In definitiva, anche con tale modalità particolare di corresponsione dell’assegno periodico, sotto forma cioè di pagamento delle rate del mutuo dell’altro ex coniuge, spetta la relativa deduzione delle somme versate fino a concorrenza dell’importo giudizialmente stabilito.

Un ultimo un aspetto degno di nota è quello relativo al trattamento fiscale riservato all’attribuzione dell’assegno "una tantum". Dopo alterne vicende dovute al fatto che nulla veniva specificato nella normativa (art. 10 d.p.r. 917/1986 ) circa il trattamento fiscale riservato all’assegno una tantum la Corte Costituzionale, con due ordinanze, rispettivamente la n. 383/2001 e 113/2007, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità sollevata sul richiamato art.10 assumendo che la deducibilità degli oneri dal reddito complessivo del contribuente non è generale ed illimitata, ma circoscritta a quegli oneri specificamente ed espressamente individuati dal legislatore nell’ambito di una valutazione discrezionale che tenga conto del necessario collegamento con la produzione del reddito, con il gettito generale dei tributi e, con l’esigenza di evitare evasioni di imposta, con il solo limite del rispetto del generale principio di ragionevolezza. Ha osservato, inoltre, che la corresponsione in un’ unica soluzione, disciplina in maniera definitiva i rapporti patrimoniali tra i coniugi, manifestando così la sua natura di attribuzione patrimoniale, mentre la corresponsione periodica dell’assegno, essendo rivedibile nel tempo e, quindi, maggiormente correlata alla situazione economica del coniuge più debole, avrebbe natura reddituale. Ne conseguirebbe secondo la Corte che il legislatore, non senza ragione, abbia previsto una diversa regolamentazione tributaria per le due forme di adempimento esaminate. Un altro motivo a fondamento della decisione attiene al fatto che l’eventuale riconoscimento della deducibilità dell’assegno divorzile comporterebbe anche la conseguente affermazione della tassabilità in capo al beneficiario con una interpretazione estensiva della norma di cui all’art. 50 d.p.r. n. 917/1986 e, quindi, una ulteriore invasione di campo in una materia riservata al legislatore. Pertanto, in ragione delle motivazioni sopra richiamate, si è definitivamente affermata la irrilevanza fiscale dell’assegno una tantum sancendo che non può esser in alcun modo considerato deducibile da parte di del coniuge erogante e non può essere considerato reddito tassabile in capo al soggetto percipiente.

La neutralità fiscale si ritiene permanga indipendentemente dalle modalità di pagamento, cioè anche nella ipotesi in cui sia prevista la corresponsione di un importo complessivo ma con il versamento "frazionato" in un numero definito di rate, qualora la corresponsione del predetto importo escluda la possibilità di una successiva domanda di contenuto economico. In tal caso invero, si è detto che la corresponsione dell’importo mediante rateizzazione costituisce solo una diversa modalità di liquidazione dell’importo pattuito che conserva comunque la caratteristica di dare risoluzione definitiva ad ogni rapporto tra i coniugi.

Articolo del:


di Ginetta Bono

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