Tutela delle condizioni di lavoro, misure nominate ed innominate

Tutela delle condizioni di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 cc. Quando si configura la responsabilità del datore di lavoro? Quando è legittimo l’inadempimento della prestazione lavorativa da parte del lavoratore che invochi la violazione dell’art. 2087 cc?
Al fine di stabilire se vi sia stato inadempimento degli obblighi di sicurezza da parte del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 cc, occorre distinguere tra violazione di misure cd “nominate” (quelle espressamente previste dalla legge e/o da regole tecniche per la sicurezza sul lavoro”) da quelle cd “innominate” (che devono essere ricavate dai riferimenti contenuti nell’art. 2087 cc, quali la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica).
Per il caso di misura innominata, occorre soppesare la misura della diligenza richiesta al datore di lavoro, potendosi pretendere da quest’ultimo solo il rispetto di “standards” normalmente osservati o richiesti in situazioni analoghe.
Ne discende che la condotta del lavoratore, che rifiuti la prestazione lavorativa da rendere, a suo dire, in un contesto di pericolosità ambientale, non è legittima, qualora risulti accertato il rispetto da parte del datore di lavoro di standards di sicurezza adeguati alla situazione.
Lo ha stabilito la Corte di Appello di Genova, con sentenza n, 89/2020 del 25/2/2020.
La fattispecie al vaglio della Corte di Appello di Genova
La vicenda prende avvio da due licenziamenti intimati ad un lavoratore da Trenitalia Spa, per avere il dipendente rifiutato di condurre un treno lungo la tratta assegnata senza la presenza a bordo di un secondo agente di condotta.
In particolare, il lavoratore aveva rifiutato la propria prestazione, in applicazione dell’art. 1460 cc, che consente nei contratti a prestazione corrispettive, quale il contratto di lavoro, di eccepire l’inadempimento della parte datoriale, consistente nella violazione degli obblighi di sicurezza sul luogo di lavoro, imposti dall’art. 2087 cc.
In primo e secondo grado la prospettazione del lavoratore era stata accolta, e Trenitalia Spa era stata obbligata a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro.
La Corte di Cassazione, adita dalla società, individuava nel ragionamento della Corte di Appello un errore, consistente nel non avere distinto tra violazione di misure nominate (previste dalla legge e/o da regole tecniche per la sicurezza) e misure innominate, cui si riferisce l’art. 2087 cc (la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica) quale norma di chiusura del sistema.
Nel caso, quale l’odierno, di prospettata violazione di misure innominate, un arretramento di tutela ai danni della salute del lavoratore (nel caso di specie, avere eliminato un secondo agente di condotta) non integra di per se un inadempimento ai sensi dell’art. 2087 cc, non essendo configurabile un obbligo assoluto di rispetto di ogni cautela possibile, diretto ad evitare al lavoratore qualsiasi danno, con la conseguenza che il datore di lavoro può decidere di ridurre il livello di sicurezza, entro i limiti di sicurezza normalmente praticati, senza con ciò violare la normativa in materia.
La Corte di Appello di Genova, in sede di rinvio, in applicazione dei principi stabiliti dalla Corte di Cassazione, ha riconosciuto che la applicazione da parte di Trenitalia Spa del nuovo modulo di equipaggio (un solo agente di condotta) ha rispettato gli standards di sicurezza normalmente esigibili in situazioni similari, con la conseguenza che il rifiuto di adempiere la prestazione da parte del lavoratore è stato ritenuto illegittimo.
La Corte di Appello, chiamata a statuire sulla legittimità del licenziamento, ha tuttavia ritenuto che il comportamento del lavoratore non giustificasse un licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa per la sproporzionalità tra la condotta tenuta e la reazione del datore di lavoro, pertanto, in applicazione dell’art. 18, comma 5 L. 300/1970, pure negando la reintegrazione del lavoratore, ha condannato Trenitalia Spa al pagamento in suo favore di una indennità risarcitoria pari a 22 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Articolo del: