Hai un capo "insopportabile"? Ecco 8 consigli per gestirlo
Ci sono tre modi per gestire una situazione con il proprio capo:
1. subirla passivamente (è la soluzione peggiore, il rischio di stare poco bene psicologicamente e fisicamente, con sintomi psicosomatici, è davvero molto alto);
2. mettersi subito a cercare un nuovo lavoro, rispondendo agli annunci o tramite noi headhunter (ci sta, è solo un peccato se si è legati alla propria azienda, e il problema è il capo che ci siamo ritrovati tra capo e collo);
3. cercare di migliorare il rapporto col capo difficile.
Ecco i consigli di Roberto D’Incau, Founder&CEO Lang&Partners Younique Human Solutions per gestire un capo “impossibile”:
1. Cerca di capire se davvero hai a che fare con un boss pessimo o se invece sei troppo duro con lei/lui, magari perché sotto sotto avresti voluto essere al suo posto e l’azienda, invece, te l’ha messo sopra, deludendoti
2. Mettiti nei panni del tuo boss, capendo il suo punto di vista: è davvero un cattivo capo, o è semplicemente molto sotto pressione per i risultati che deve portare, e non sente che i suoi riporti diretti lo supportano adeguatamente: a volte, specie se si è in azienda da tanto tempo, si tende a rimpiangere il capo precedente, a ricordarne solo i pregi e non i difetti, mentre si vedono solo i difetti dell’attuale
3. Ok, il capo ti stressa, ma il tuo ruolo in azienda va avanti indipendentemente da lui: se il tuo output è ineccepibile, se non ti fai abbattere dal caratteraccio del boss, il leadership team dell’azienda comunque apprezzerà quello che fai, e questo rafforzerà il tuo peso specifico. A volte, i capi impossibili non durano tanto, tutto sta a resistere uno o due anni…
4. Hai un capo che fa del micromanagement e che controlla la durata delle tue pause pranzo, ogni riga dei report che tu scrivi, come gestisci ogni singola voce del budget che ti è affidato? Hai ragione, hai un capo poco strategico e che non sa delegare, ma ti consiglio di fare buon viso a cattivo gioco, di rassicurarlo nella sua ansia di controllo assecondandolo perlomeno per il primo anno; vedrai che poi automaticamente si fiderà via via sempre di più, e le cose tra voi andranno meglio
5. Metti dei paletti: bisogna fargli capire chiaramente, con cortesia ma anche con fermezza, che non si è disposti a subire la sua maleducazione o l’aggressività; ci sono persone che “prendono fuoco” facilmente, perché hanno una scarsa capacità di gestire emozioni e impulsi. Bisogna agire non nel momento del conflitto, ma il giorno dopo dicendogli “non ti sembra di avere esagerato ieri con la tua reazione”: questo fa riflettere, e fa capire che c’è un limite invalicabile, quello dell’educazione e del rispetto.
6. Assecondalo nelle sue manie: ogni capo ha le sue piccole manie, c’è chi ha l’ossessione delle scrivanie ordinate, chi della puntualità, chi del rispetto dell’orario della pausa pranzo, chi non ama lo smart work a causa della sua ansia di controllo. Assecondare il capo in questo, ad esempio evitando di arrivare sempre alle 9:30 se per lui è importante che tutti i collaboratori siano in ufficio già alle 9, significa, con un piccolo sforzo, venirgli incontro e rassicurarlo sul fatto che si condivide la sua filosofia lavorativa.
7. Capisci se sei di fronte a un capo dal carattere difficile o a una persona che necessita di cure psicologiche: a me è successo, anni fa, fuggii a gambe levate, ci tenevo troppo al mio benessere psicofisico per lavorare con un capo psicolabile. In questo caso, soprattutto se si lavora in un grande gruppo, è bene parlare con l’HR e condividere il proprio punto di vista, per essere spostati in un altro gruppo di lavoro: si potrebbe trattare di un capo con sindrome di burnout, oggi finalmente considerata come una vera e propria malattia professionale.
8. Last but not least, evita accuratamente per il futuro di andare a lavorare con un capo dal carattere impossibile: conosco un executive che, forse inconsciamente, ha scelto di lavorare con enne capi (imprenditori) notoriamente dal carattere pessimo. L’ultima volta, recentemente, è venuto da me lamentandosi dell’ultima scelta fatta, lavorare per un imprenditore notoriamente dalla personalità, diciamo, difficile. Il mio commento? Errare è umano, ma perseverare è diabolico!
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