Un contributo in tema di usura bancaria
Spesso, quando si parla di usura bancaria si incontrano visioni estremistiche che passano da coloro che sostengono, in modo più o meno interessato, l’esistenza, in ogni caso, di usura e/o anatocismo e coloro che, al contrario, in maniera altrettanto netta (e più o meno interessata) negano che la banca applichi interessi che si pongono al di sopra del tasso usurario ovvero che l’istituto di credito operi mediante pratiche anatocistiche.
A parere di chi scrive l’approccio, al di là degli interessi che si rappresentano in causa, dev’essere aderente allo spirito della legge e, pertanto, il punto dal quale partire è proprio l’analisi delle disposizioni che disciplinano la materia e l’interpretazione delle stesse.
In questo primo contributo, pertanto, lo scrivente tenterà di dare una lettura delle disposizioni e di fornire una visione conforme agli orientamenti più recenti in materia, pur nella consapevolezza che si tratta di una materia (e questo dovrebbe essere fatto bene presente a chi si approccia a questo genere di vertenza per bisogno o per mero studio) nella quale i contrasti giurisprudenziali sono ancora aspri anche alla luce degli importanti interessi economici in gioco.
Nei prossimi articoli, ci si dedicherà all’analisi delle pratiche illegittime che alcune banche, a volte, utilizzano cagionando il superamento del tasso soglia.
L’art. 1815 c.c. statuisce che: "Salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante. Per la determinazione degli interessi si osservano le disposizioni dell'articolo 1284.
Se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi".
L’art. 644 c.p. statuisce, d’altra parte, che: "Chiunque, fuori dei casi previsti dall'articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da lire sei milioni a lire trenta milioni.
Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma, procura a taluno una somma di denaro od altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario.
La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari.
Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all'opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria.
Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito".
L'articolo 1815, comma 2, c.c. esprime un principio giuridico valido per tutte le obbligazioni pecuniarie ed, a seguito della revisione legislativa operata dall'articolo 4 della legge 7 marzo 1996, n. 108 e dalla legge 28 febbraio 2001, n. 24 - di conversione del decreto legge 29 dicembre 2000, n. 394 - esso prevede la conversione forzosa del mutuo usurario in mutuo gratuito, in ossequio all'esigenza di maggiore tutela del debitore e ad una visione unitaria della fattispecie, connotata dall'abbandono del presupposto soggettivo dello stato di bisogno del debitore, a favore del limite oggettivo costituito dalla soglia di cui all'articolo 2, comma 4, della citata legge n. 108 del 1996 (tasso medio risultante dall'ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, relativa alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà).
La sanzione, così stabilita, dell'abbattimento del tasso di interesse, si applica a qualunque somma dovuta a titolo di interesse legale o convenzionale, agli interessi corrispettivi ed anche a quelli moratori, con la sola esclusione del caso in cui i rapporti contrattuali, che hanno dato luogo alla applicazione degli interessi, siano già esauriti alla data dell'entrata in vigore della legge 108/1996.
Detto principio è il risultato di un’evoluzione giurisprudenziale che ha preso forma a seguito della sentenza interpretativa della Corte Costituzione n. 29 del 2002 che, pronunciandosi sulla legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, d.l. 394 del 2000 (Interpretazione autentica della legge 7 marzo 1996, n. 108, recante disposizioni in materia di usura) ha chiarito che: "... il riferimento, contenuto nell’art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 394 del 2000, agli interessi "a qualunque titolo convenuti" rende plausibile - senza necessità di specifica motivazione - l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori....".
Da quanto sopra, discende il principio, recentemente, ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione in base al quale "... Ai fini dell'applicazione dell'art. 644 c.p., e dell'art. 1815 c.c., co. 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori. Infatti il riferimento, contenuto nel D.L. n. 394 del 2000, art. 1, co. 1, agli interessi a qualunque titolo convenuti rende plausibile - senza necessità di specifica motivazione - tale assunto..." (cfr. Corte di Cassazione civile, sez. I, sentenza 09.01.2013, n. 350).
Il sopraenunciato principio ha trovato applicazione anche nella giurisprudenza delle Corti di merito, sebbene, come si accennava sopra, i contrasti fra i tecnici del diritto e non solo siano, sul punto, ancora aspri. Al riguardo, è d’uopo menzionare la decisione pronunciata dal Giudice di Pace Domodossola, sentenza 02.05.2014 n° 88, con la quale, in conformità all’interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione ,con la sopracitata, nota sentenza n. 350/2013, il Giudice di pace ha ritenuto che, ai fini della verifica del rispetto del tasso soglia, sia necessario considerare, cumulativamente, gli interessi corrispettivi e quelli moratori al momento della loro pattuizione. In pratica, il Giudice di pace ha applicato l’art. 1815, comma II, c.c. in conseguenza del principio enunciato, in funzione nomofilattica, dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 350 del 2013 che costituisce un importante passo nell’ambito della tutela del soggetto ritenuto, con giusta ragione, il soggetto più debole nell’ambito di rapporti contrattuali intercorrenti con gli istituti bancari.
Sul punto, è, però, pacifico che sussistano due orientamenti.
Il primo ritiene di seguire pedissequamente le "Istruzioni della Banca di Italia" considerate norme tecniche, applicabili anche in contrasto sia alla lettera dell’art. 644 c.p. sia all’interpretazione costituzionalmente orientata che ne è stata fornita, successivamente alla riforma. Detto orientamento, pertanto, ritiene che ai fini del calcolo del superamento del tasso soglia si debba tenere conto solo di quanto indicato nelle Istruzioni suddette e secondo i criteri da esse indicati.
Il secondo orientamento che, condivisibilmente (e sotto diverse forme), ritiene che le Istruzioni della Banca di Italia non siano fonti del diritto (per tutte cfr. Tribunale Palermo, 11.02.2014) ed, in ottemperanza a quanto stabilito dalla Suprema Corte, con la sentenza 350 del 2013, sostiene che, ai fini del calcolo del superamento del tasso soglia, si debbano considerare tutte le commissioni, le spese e gli interessi, a qualsivoglia titolo concordati fra le parti (per tutte cfr. Tribunale di Venezia 27.11.2014). Si tratta di un orientamento condivisibile perché aderente all’interpretazione letterale dall’art. 644 c.p. Si noti, poi, che la Cassazione penale è unanime nel ritenere, ormai da tempo, che le Istruzioni della Banca d’Italia non vadano applicate (non essendo fonti del diritto) e che nel calcolo del tasso soglia vadano considerati tutti gli elementi indicati nella disposizione penale che sanziona il reato di usura (per tutte cfr. Cassazione pen. 7 maggio 2014 n. 18778). Detta interpretazione è altresì condivisibile, a parere di chi scrive, perché tiene conto di tutte le reali remunerazioni che la banca percepisce al di là del nomen iuris della clausola.
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