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Verifiche fiscali e locali ad uso promiscuo


La natura di locale ad uso promiscuo non è esclusa nè dall’autonomo identificativo catastale né dall’utilizzo esclusivo
Verifiche fiscali e locali ad uso promiscuo

La Commissione Tributaria Regionale di Potenza, con la Sentenze n. 76/02/2019 e n. 84/02/2019, entrambe del 12.02.2019, affronta il tema della qualificazione dei “locali ad uso promiscuo” e della (ir)rilevanza del silenzio del contribuente nel corso della verifica.

La questione sottoposta al Collegio Potentino trova abbrivio da una verifica della Guardia di Finanza, intrapresa mediante accesso nei locali, adibiti a studio, in cui è esercitata attività libero-professionale.

Nella fattispecie concreta in esame, i locali presso cui è effettuato l’accesso da parte dei verificatori rappresentano il piano terra di una villetta monofamiliare ove, ai piani superiori, risiede il medesimo contribuente con la propria famiglia. La peculiarità della questione attiene alla individuazione catastale dei locali (autonoma per ciascun piano) nonché all’utilizzo sostanziale dei medesimi (completamente distinti sostanzialmente).

Tale autonomia (sostanziale e catastale) ha portato i verificatori ad assumere l’insussistenza della natura promiscua dei locali ed a non richiedere l’autorizzazione del Pubblico Ministero per l’accesso. Il contribuente lamenta la detta carenza, assumendo la qualificazione dei locali (ove esercita l’attività professionale) ad uso promiscuo per la sussistenza di vie di comunicazioni con i locali residenziali.

Segnatamente, difatti, si rileva come l’art. 52, comma 1, D.p.r. 633/1972, richiamato dall’art. 33, comma 1, del D.p.r. 600/1973, impone l’acquisizione della autorizzazione del Procuratore della Repubblica in sede di accesso in locali adibiti ad uso promiscuo di residenza ed attività professionale del contribuente.

Al fine di un corretto inquadramento della fattispecie in esame, il Collegio Potentino effettua una ampia disamina del concetto di locali adibiti ad “uso promiscuo” per come affermatasi in seno alla Suprema Corte.

In tal senso, locale ad uso promiscuo è da intendersi la porzione immobiliare ove il contribuente abbia adibito la propria attività professionale ed imprenditoriale e, contestualmente, la propria residenza anagrafica. L’estensione del concetto di utilizzo promiscuo ove non evidenzia difficoltà interpretative qualora la residenza e l’attività imprenditoriale/professionale siano coincidenti nei medesimi ambienti della porzione immobiliare, individuata catastalmente come singola unità immobiliare, al contrario comporta una analitica specificazione interpretativa qualora gli ambienti adibiti ad abitazione ed all’esercizio dell’attività imprenditoriale/professionale siano individuati come due autonome unità immobiliari, aventi, pertanto, autonoma identità catastale.

La giurisprudenza della Suprema Corte ha risolto tale problematica ermeneutica ritenendo che la nozione di “locali”, di cui all’art. 52 D.p.r. 633/1972, debba essere intesa non unicamente in riferimento ad una singola unità catastale ma anche in riferimento a plurime unità catastali che, in forza della conformazione dell’immobile, permettano l’accesso e la comunicazione da un locale all’altro.

In tal senso si richiama l’insegnamento della Suprema Corte di cui alla Sentenza n. 16570 del 28 luglio 2011 (ud. del 17 maggio 2011), Sez. tributaria – Pres. Pivetti, Rel. Terrusi: “3. - L’accertamento in fatto, di cui all’impugnata sentenza, evidenzia in modo chiaro e testuale - con affermazione sul punto non contrastata dall’amministrazione finanziaria - che nella specie ebbe a trattarsi di locali adibiti a uso promiscuo in considerazione della comprovata esistenza di punti comunicanti tra l’opificio e l’abitazione della famiglia S. La relativa destinazione invero sussiste - in base alla giurisprudenza di questa Corte - non soltanto nell’ipotesi in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita  familiare e per l’attività professionale, come invece asserito dall’amministrazione medesima; ma ogni qual volta l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento dei documenti propri dell’attività commerciale  nei locali abitativi. In simile eventualità è comunque necessaria l’autorizzazione all’accesso da parte del procuratore della Repubblica, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 1, ancorché non essendo richiesta, all’uopo, la presenza di gravi indizi di violazioni di norme del medesimo d.p.r. secondo quanto invece stabilito dal comma 2, della disposizione de  qua  allo specifico fine di reperire, in locali diversi da quelli destinati all’attività d’impresa, libri, registri, documenti e scritture”.

In senso maggiormente idoneo ad esplicare la ininfluenza della autonoma individuazione catastale e la contestuale ininfluenza della sussistenza di porte di chiusura intese a delimitare i locali, si richiama la Sentenza n. 4140 del 20 febbraio 2013 (ud. 22 novembre 2012) – della Cassazione Civile, Sez. V - Pres. MERONE Antonio - Est. TERRUSI Francesco:

“4. - L'accertamento in fatto, di cui all'impugnata sentenza, evidenzia testualmente -  con  affermazione  sui  punto non contrastata dall'amministrazione finanziaria - che nella specie i locali adibiti, ad abitazione e quelli  adibiti a opificio erano distinti ma adiacenti, e che tra  gli uni e gli altri vi erano porte di comunicazione. Tanto legittima l'inferenza circa l'uso promiscuo dei locali complessivamente considerati, posto che questa corte ha affermato che si ha, appunto, destinazione a uso  promiscuo, agli effetti del  D.P.R.  n. 633 del 1972, art.   52, non soltanto nell'ipotesi in cui i  medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l'attività professionale, ma ogni qual volta  l'agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento dei documenti propri dell'attività commerciale  nei locali abitativi (v. da ultimo Cass. n. 16570/2011). In simile eventualità è comunque  necessaria l'autorizzazione all'accesso da parte del procuratore  della  Repubblica, ai sensi del D.P.R.  n.  633  del  1972,  art.  52,  comma  1, (sebbene   non   essendo richiesta  anche la presenza di gravi indizi di violazioni  di  norme   del medesimo  D.P.R. secondo quanto invece  stabilito   dal   comma 2, della disposizione de qua allo specifico fine di reperire, in locali diversi da quelli destinati  all'attività d'impresa, libri, registri, documenti e scritture). L'autorizzazione all'accesso da parte  dell'a.g., in quanto diretta a tutelare    l'inviolabilità    del domicilio privato, e quindi, indirettamente, lo  spazio  di  libertà  del  contribuente,   rileva   alla stregua  di  condicio  sine qua non per la legittimità  dell'atto  e   delle relative conseguenti acquisizioni (per riferimenti,  Cass. n. 6903/2011). Giacchè il principio di    inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita  si  applica anche  in  materia  tributaria, in considerazione   della garanzia difensiva accordata, in generale, dall'art. 24 Cost. (v. Cass. n. 8181/2007; n. 19689/2004)”.

Conseguentemente in applicazione del principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte, i locali ad uso promiscuo debbono essere individuati non in forza della identità catastale, ma in forza dell’esistenza di vie di comunicazione interne da un locale all’altro che, pur in presenza di porte di chiusura dei locali, rendano agevole la comunicazione tra gli stessi locali.

L’affermazione dei giudici di merito assume un particolare rilievo ove ribadisce che la promiscuità sussista pur ove non vi siano dubbi dell’utilizzo esclusivamente professionale dei locali in cui è effettuato l’accesso. In vero, la promiscuità risiede nella conformazione del fabbricato ove il contribuente esercita la propria attività professionale, ove, pur se i locali siano autonomamente individuati in catasto e chiusi da porte esterne, sussista “l'agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento dei documenti propri dell'attività commerciale  nei locali abitativi (v. da ultimo Cass. n. 16570/2011)”.

La sussistenza di un’agevole comunicabilità tra i locali è stata argomentata dai giudici territoriali nella individuazione del fabbricato (ritratta da perizia di parte) come villa monofamiliare che, percepita dai verificatori, non avrebbe potuto ammettere dubbio sulla natura promiscua dei locali.

Il pronunciamento assume un particolare interesse, inoltre, in relazione alla espressa affermazione della patologia dell’avviso di accertamento conseguente alla illegittimità degli atti istruttori nonché sulla non rilevanza del silenzio del contribuente in ordine alla qualificazione dei locali in sede di verifica.

Su tale ultimo punto, decidendo sulla espressa eccezione sollevata dall’Amministrazione Finanziaria, il collegio Potentino rileva che il silenzio serbato sul punto in sede di verifica non assume natura di assenso ed autorizzazione alla verifica in quanto l’autorizzazione è diretta a tutelare un diritto di natura costituzionale del contribuente che non può assumersi come rinunciato implicitamente: inoltre, l’affermazione del principio di collaborazione e buona fede tra contribuente ed Amministrazione Finanziaria non è utilizzabile per stigmatizzare il comportamento silente del contribuente in quanto la percezione, in via autonoma, della natura dei locali rappresenta un obbligo dei verificatori diretto alla attuazione del principio del neminem ledere nella mancata lesione del diritto alla inviolabilità del domicilio.

Assunta, pertanto, la qualificazione dei locali ove è effettuata la verifica quali locali adibiti ad uso promiscuo, risultava necessaria, ai sensi del comma 1 dell’art. 52 D.p.r. 622/1972 richiamato dall’art. 33 D.p.r. 600/1973, l’autorizzazione all’accesso rilasciata dal Procuratore della Repubblica. Rilevata documentalmente l’assenza della prescritta autorizzazione, tale carenza determina l’invalidità derivata dell’atto impositivo impugnato. In riferimento alle conseguenze patologiche dell’atto impositivo, in conseguenza della illegittima attività di accesso in presenza di atti istruttori illegittimi, si afferma la sussistenza di un generale principio di invalidità derivata idoneo a determinare la caducazione dell’atto impositivo in conseguenza di atti presupposti illegittimi, richiamando l’efficacia nomofilattica, dalla Sentenza n. 16424 del 21 novembre 2002 (ud. del 17 ottobre 2002) della Corte Cass., SS.UU. civ. - Pres. Finocchiaro, Rel. Graziadei.

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