Violenza passiva per i figli
E` configurabile il delitto di maltrattamento in famiglia allorchè la conflittualità tra i genitori coinvolga indirettamente i figli
La Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, nella sentenza n. 18833 del 2/5/2018 ha ritenuto configurabile il delitto di maltrattamento in famiglia, come previsto e punito nell’art. 572 c.p., allorchè la conflittualità tra i genitori coinvolga indirettamente i figli.
Nel caso esaminato la condotta maltrattante non si era tradotta in comportamenti, fisici e/o psicologici, vessatori verso la vittima in maniera diretta, ma era caratterizzata dall’aver costretto la vittima ad essere spettatore passivo di condotte violente ed offensive nei confronti di un’altra persona.
Più in particolare, il caso esaminato aveva ad oggetto la condotta dei genitori nei confronti dei loro figli minori "per averli costretti a presenziare alle reiterate manifestazioni di reciproche conflittualità realizzate nell’ambito del rapporto di convivenza (....) mediante ripetuti episodi di aggressività fisica e psicologica, con condotte vessatorie e continui litigi, minacce e danneggiamenti di suppellettili, loro violente liti.".
Per la Corte, il reato di maltrattamenti è un reato contro la famiglia, o più precisamente contro l’assistenza familiare, e mira a tutelare la famiglia, e le persone facenti parte della famiglia, da comportamenti vessatori e violenti, idonei a minare l’incolumità fisica e psichica.
Dunque l’ambito di tutela si estende a tutti i soggetti che sono parte della sfera familiare e che, in quanto tali, possono patire un pregiudizio alla integrità psico-fisica proprio a causa dei comportamenti aggressivi adottati in tale contesto.
L’espressione "maltratta" adoperata nell’articolo 572 c.p., è quanto mai ampia, tale da ricomprendere non solo "le percosse, le lesioni, le ingiurie, le minacce, le privazioni e le umiliazioni imposte alla vittima, ma anche gli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali...potendo il reato essere difatti integrato anche mediante il compimento di atti che, di per sé, non costituiscono reato".
Da quanto affermato discende che la condotta punita dalla citata norma può essere realizzata sia con una azione che con una omissione; può configurarsi in un clima "generalmente instaurato all’interno di una comunità in conseguenza di atti di sopraffazione, indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere del soggetto attivo".
Alla formazione del reato concorrono peraltro la reiterazione nel tempo delle condotte vessatorie e l’idoneità offensiva dell’atto criminoso, ovvero la sua capacità di provocare uno stato di sofferenza psicofisica nella vittima.
La Cassazione ricorda che per costante e consolidato orientamento si può pervenire alla dichiarazione di decadenza della potestà genitoriale nel caso di maltrattamenti inflitti da un coniuge all’altro alla presenza dei figli: tali condotte infatti comportano "inevitabili ripercussioni negative sull’equilibrio psicofisico della prole e sulla serenità dell’ambiente familiare e...denotano mancanza di quel minimo di disponibilità affettiva e pedagogica richiesta in chi esercita la potestà parentale".
La cosiddetta violenza assistita si configura ogni qualvolta un minore sia costretto, suo malgrado, ad assistere, quale mero testimone, a manifestazioni di violenza, fisica o morale, subendo in tal modo ripercussioni negative sul processo di crescita morale e sociale.
Sottolinea la Corte che per la scienza psicologica è ormai principio consolidato che "i feti ancora nel grembo materno, siano in grado di percepire quanto avvenga nell’ambiente in cui si sviluppano e, dunque, di comprendere e di assorbire gli avvenimenti violenti che ivi si svolgano, in particolare le violenze subite dalla madre, con ferite psicologiche indelebili ed inevitabili riverberi negativi per lo sviluppo della loro personalità".
Nel caso esaminato la condotta maltrattante non si era tradotta in comportamenti, fisici e/o psicologici, vessatori verso la vittima in maniera diretta, ma era caratterizzata dall’aver costretto la vittima ad essere spettatore passivo di condotte violente ed offensive nei confronti di un’altra persona.
Più in particolare, il caso esaminato aveva ad oggetto la condotta dei genitori nei confronti dei loro figli minori "per averli costretti a presenziare alle reiterate manifestazioni di reciproche conflittualità realizzate nell’ambito del rapporto di convivenza (....) mediante ripetuti episodi di aggressività fisica e psicologica, con condotte vessatorie e continui litigi, minacce e danneggiamenti di suppellettili, loro violente liti.".
Per la Corte, il reato di maltrattamenti è un reato contro la famiglia, o più precisamente contro l’assistenza familiare, e mira a tutelare la famiglia, e le persone facenti parte della famiglia, da comportamenti vessatori e violenti, idonei a minare l’incolumità fisica e psichica.
Dunque l’ambito di tutela si estende a tutti i soggetti che sono parte della sfera familiare e che, in quanto tali, possono patire un pregiudizio alla integrità psico-fisica proprio a causa dei comportamenti aggressivi adottati in tale contesto.
L’espressione "maltratta" adoperata nell’articolo 572 c.p., è quanto mai ampia, tale da ricomprendere non solo "le percosse, le lesioni, le ingiurie, le minacce, le privazioni e le umiliazioni imposte alla vittima, ma anche gli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali...potendo il reato essere difatti integrato anche mediante il compimento di atti che, di per sé, non costituiscono reato".
Da quanto affermato discende che la condotta punita dalla citata norma può essere realizzata sia con una azione che con una omissione; può configurarsi in un clima "generalmente instaurato all’interno di una comunità in conseguenza di atti di sopraffazione, indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere del soggetto attivo".
Alla formazione del reato concorrono peraltro la reiterazione nel tempo delle condotte vessatorie e l’idoneità offensiva dell’atto criminoso, ovvero la sua capacità di provocare uno stato di sofferenza psicofisica nella vittima.
La Cassazione ricorda che per costante e consolidato orientamento si può pervenire alla dichiarazione di decadenza della potestà genitoriale nel caso di maltrattamenti inflitti da un coniuge all’altro alla presenza dei figli: tali condotte infatti comportano "inevitabili ripercussioni negative sull’equilibrio psicofisico della prole e sulla serenità dell’ambiente familiare e...denotano mancanza di quel minimo di disponibilità affettiva e pedagogica richiesta in chi esercita la potestà parentale".
La cosiddetta violenza assistita si configura ogni qualvolta un minore sia costretto, suo malgrado, ad assistere, quale mero testimone, a manifestazioni di violenza, fisica o morale, subendo in tal modo ripercussioni negative sul processo di crescita morale e sociale.
Sottolinea la Corte che per la scienza psicologica è ormai principio consolidato che "i feti ancora nel grembo materno, siano in grado di percepire quanto avvenga nell’ambiente in cui si sviluppano e, dunque, di comprendere e di assorbire gli avvenimenti violenti che ivi si svolgano, in particolare le violenze subite dalla madre, con ferite psicologiche indelebili ed inevitabili riverberi negativi per lo sviluppo della loro personalità".
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