Il danno da “stress lavoro correlato”


Lo stress determinato dall'attività lavorativa viene denominato “stress lavoro correlato”
Il danno da “stress lavoro correlato”
Secondo la definizione riportata all’Art. 3 dell’Accordo Europeo dell’8 Ottobre 2004 (recepito dall’Accordo Interconfederale del 9 Giugno 2008), è una situazione di prolungata tensione che può determinare un peggioramento dello stato di salute, anche con ricadute patologiche gravi.
Il fenomeno, come precisato anche dal citato Accordo Europeo, può riguardare ogni lavoratore, indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda, dal settore di attività o dalla tipologia di contratto.
Il diritto del lavoratore al risarcimento del danno da stress lavoro correlato sorge in presenza di tre presupposti:
- la condotta censurabile del datore di lavoro;
- un danno medicalmente accertabile;
- il nesso di causalità tra la condotta censurabile e il danno.
Quanto alla condotta datoriale che può dar luogo al diritto risarcitorio, occorre considerare che l’Art. 2087 Cod. Civ. stabilisce l’obbligo del datore di lavoro di "adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro".
L’attuale quadro normativo, inoltre, ha individuato lo stress lavoro correlato come uno dei rischi oggetto di necessaria valutazione e gestione da parte dell’azienda, secondo i contenuti fissati con il Decreto Legislativo n. 81/2008, che disciplina, nell’ambito dell’organizzazione aziendale, la materia della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
A mente di tale disciplina, il datore di lavoro è tenuto:
- alla valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza, compreso lo stress lavoro correlato;
- alla "programmazione della prevenzione mirando ad un complesso che integri in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive dell’azienda nonché l’influenza dei fattori dell’ambiente e dell’organizzazione del lavoro" (Art. 15 lett. b);
- al "rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, in particolare al fine di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo" (Art. 15 lett. d).
Alla luce di quanto sopra, pertanto, il datore di lavoro non solo deve astenersi da iniziative, comportamenti o scelte che possano ledere il lavoratore, egli è altresì obbligato - attraverso una oculata organizzazione del lavoro - ad attivarsi per la protezione dell’integrità fisica e psichica del dipendente.
A titolo esemplificativo, sotto il profilo in esame, possono essere censurabili le seguenti condotte datoriali:
- imporre un ritmo di lavoro superiore alla normale esigibilità, anche prefissando scadenze a breve termine;
- esercitare costanti pressioni per la rapida conclusione di un compito, assillando il lavoratore o minacciando conseguenze sanzionatorie;
- sollecitare e stimolare rivalità tra colleghi;
- non rispettare i riposi giornalieri o settimanali del lavoratore;
- organizzare il lavoro lasciando aree produttive con organico sottodimensionato;
- organizzare il lavoro allocando le risorse umane in modo irrazionale, senza considerare le qualità e le propensioni dei singoli;
- distribuire i carichi di lavoro in modo iniquo;
- creare ambiguità di ruoli e mansioni.
In tutti questi casi, il lavoratore, cercando di fronteggiare le illegittime richieste provenienti dal contesto lavorativo, esaurisce le proprie energie psico-fisiche, anche con gravi ripercussioni in termini di danno alla salute.

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di Avv.to Angelo De Nina

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