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Non è licenziabile il dipendente maleducato


Illegittimo il licenziamento del lavoratore che ha comportamenti maleducati con i colleghi o accusa l'azienda di mobbing
Non è licenziabile il dipendente maleducato

Non è passibile di licenziamento il lavoratore che abbia dei modi litigiosi e maleducati nei rapporti con i colleghi e che accusi il datore di lavoro di pratiche vessatorie.
E’ quanto ha statuito la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione con la recente sentenza del 20.09.2016 n.18418.
In particolare, nel caso affrontato dalla Suprema Corte, il licenziamento è stato intimato sul presupposto che il lavoratore avesse tenuto un comportamento maleducato con il personale che lui stesso aveva il compito di formare e avesse inoltre rifiutato di rinegoziare il superminimo con l’impresa, contestando a quest’ultima di essere stato esposto a pratiche di demansionamento.
Nella specie la sentenza ha accertato la sostanziale non illiceità dei fatti addebitati in quanto l’avere avuto un comportamento maleducato o l’avere rivolto all’azienda accuse di mobbing o di demansionamento sono condotte del tutto neutre sul piano disciplinare , ovvero che non possono condurre alla irrogazione di provvedimenti disciplinari, non derivandone la lesione irrimediabile del vincolo fiduciario e non assumendo i connotati di un inadempimento contrattuale da parte del prestatore di lavoro.
Peraltro la Corte di Cassazione ha anche statuito che l’irrilevanza disciplinare del fatto contestato, anche se effettivamente accaduto, comporta l’applicazione della tutela "forte" ovvero la reintegrazione nel posto di lavoro e non semplicemente quella "debole" e meramente indennitaria.
Invero, non può escludersi la reintegrazione sul posto di lavoro per il solo fatto che si è realizzato il comportamento contestato, poichè è altresì necessario verificare se il fatto sia o meno illecito.
La sentenza impugnata risulta in linea con quanto già affermato in materia (Cass. 13.10.2015 n. 20540), e cioè che l'insussistenza del fatto contestato, di cui all'art. 18 st. lav. (come modificato dall'art. 1, comma 42, della L. n. 92 del 2012) comprende l'ipotesi del fatto sussistente, ma privo del carattere di illiceità, sicché in tale ipotesi si applica la tutela reintegratoria, senza che rilevi la diversa questione della proporzionalità tra sanzione espulsiva e fatto di modesta illiceità.
Questo perché in tema di licenziamento disciplinare, ai fini dell’applicabilità della tutela reintegratoria prevista dall’articolo 18 della legge 300/1970, nel testo modificato dalla legge 92/2012, all’ipotesi del fatto contestato insussistente va equiparata quella del fatto che, benché materialmente prodottosi, è privo di una intrinseca rilevanza giuridica.
Aggiunge la Corte, in questo senso, che la completa irrilevanza giuridica del fatto posto alla base dell’azione disciplinare sfociata nell’irrogazione di un provvedimento espulsivo deve essere posta sullo stesso piano dell’insussistenza materiale della condotta ascritta al lavoratore.
Conclude la Cassazione, alla luce di questa ricostruzione, che non può essere relegato a una valutazione di proporzionalità qualunque comportamento accertato ma privo, in concreto, di una sua consistenza antigiuridica, in quanto tale argomentazione porterebbe ad ammettere che ricade nella sola tutela indennitaria un licenziamento basato su fatti che, quantunque esistenti, sono privi di qualsivoglia rilievo disciplinare.
La sentenza, per la specificità del tema affrontato, è destinata a produrre effetti anche in relazione al nuovo regime sanzionatorio dei licenziamenti intimati in relazione al contratto di lavoro a tutele crescenti introdotto dal recente Jobs act.

Avv. Sigmar Frattarelli

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