Causa inutile? L’avvocato deve risarcire
Tribunale di Treviso: l’avvocato negligente deve risarcire il proprio cliente, anche in caso di causa vinta
La causa che avete intentato si è conclusa formalmente con una vittoria, ma in pratica vi è costata soltanto tempo, soldi e stress?
Se prima di intraprendere l’azione giudiziaria il vostro avvocato non vi ha illustrato a priori le possibili conseguenze (positive e/o negative) né la probabile inutilità di una battaglia giudiziaria, allora è responsabile dei danni dovuti proprio all’inutilità della causa stessa, pur se vinta.
Questo è l’attuale orientamento della giurisprudenza che è stato ripreso dalla recente sentenza del Tribunale di Treviso, sez. I Civile (sentenza 12 marzo 2018, n. 527).
Un esempio può far capire meglio di cosa si tratta: immaginiamo il caso di un condominio che intenta la causa contro l’amministratore per ammanchi dai conti correnti condominiali. Immaginiamo, ora, che l’assemblea condominiale opti, consigliata dall’avvocato nominato, di citare in giudizio l’amministratore dello stabile, allo scopo di riottenere il denaro sottratto dalle casse condominiali.
E infine, immaginiamo che la causa sia vinta dall’assemblea condominiale, ma che non sia comunque riuscita ad ottenere il risarcimento dei danni, né l’ammontare dovuto e sottratto dall’amministratore poiché quest’ultimo non ha beni intestati e versa in condizioni economiche critiche.
Se le cose andassero così, oltre al danno di una causa vinta solamente sulla carta (ma del tutto inutile da un punto di vista pratico ai fini del concreto risarcimento) si aggiungerebbe la beffa di dover sborsare anche i soldi per pagare la parcella dell’avvocato il quale, prima di consigliare l’azione giudiziale, avrebbe potuto fare una ricerca sulla solvibilità dell’amministratore.
Questo è soltanto un esempio, ma purtroppo, nella realtà, spesso i cittadini si imbarcano, su convincimento dei propri avvocati, in cause dai risultati insoddisfacenti...non tanto per la sentenza del giudice, quanto per l’improduttività che ne consegue.
Proprio per questo, i giudici del Tribunale di Treviso hanno ribadito come l’avvocato che solleciti i propri clienti a proseguire una causa lunga e dispendiosa senza informarli adeguatamente sui possibili risvolti negativi, è tenuto a risarcirli per il tempo e per il denaro speso. Ciò anche se la causa è stata formalmente vinta, poiché in pratica la vittoria è risultata inutile.
La ratio di tale orientamento è che l’avvocato, quale professionista, pur trattandosi di obbligazioni di mezzi e non di risultato, ha l’obbligo di adottare il criterio della diligenza professionale del buon padre di famiglia nello svolgimento della sua attività.
Nella sentenza, infatti, si legge: "Un approccio processuale di questo tipo non può che integrare una condotta professionale negligente, che determina responsabilità professionale in capo all’avvocato (Cass. civ. n. 10068/1996), il quale ha intrapreso un giudizio che non si sarebbe nemmeno dovuto intentare perché foriero, ab origine, di soccombenza. A ciò si aggiungano le manifeste perplessità del ricorrente nel proseguire un giudizio rivelatosi più lungo e dispendioso del previsto e il desiderio di abbandonare ogni attività processuale, desiderio rimasto inattuato solo grazie alla pronta dissuasione operata dall’avv. (omissis...), che ha invece sollecitato il cliente a proseguire il percorso intrapreso, paventandone il felice esito".
Infine, va considerato che anche il codice deontologico forense è stato recentemente modificato in nome di una migliore informativa al cliente. Il novellato art. 27, comma 3, del Codice deontologico Forense (Dovere di informazione), recita: "L’avvocato, all’atto del conferimento dell’incarico, deve informare chiaramente la parte assistita della possibilità di avvalersi del procedimento di negoziazione assistita e, per iscritto, della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione; deve altresì informarla dei percorsi alternativi al contenzioso giudiziario, pure previsti dalla legge" (le parti in grassetto sono le parole aggiunte alla norma).
Anche in questo caso, la ratio della norma è quella di sottolineare come l’avvocato debba consigliare il proprio assistito circa le azioni da intraprendere che siano più vantaggiose per quest’ultimo e che possano inglobare anche strade alternative stragiudiziali.
Se prima di intraprendere l’azione giudiziaria il vostro avvocato non vi ha illustrato a priori le possibili conseguenze (positive e/o negative) né la probabile inutilità di una battaglia giudiziaria, allora è responsabile dei danni dovuti proprio all’inutilità della causa stessa, pur se vinta.
Questo è l’attuale orientamento della giurisprudenza che è stato ripreso dalla recente sentenza del Tribunale di Treviso, sez. I Civile (sentenza 12 marzo 2018, n. 527).
Un esempio può far capire meglio di cosa si tratta: immaginiamo il caso di un condominio che intenta la causa contro l’amministratore per ammanchi dai conti correnti condominiali. Immaginiamo, ora, che l’assemblea condominiale opti, consigliata dall’avvocato nominato, di citare in giudizio l’amministratore dello stabile, allo scopo di riottenere il denaro sottratto dalle casse condominiali.
E infine, immaginiamo che la causa sia vinta dall’assemblea condominiale, ma che non sia comunque riuscita ad ottenere il risarcimento dei danni, né l’ammontare dovuto e sottratto dall’amministratore poiché quest’ultimo non ha beni intestati e versa in condizioni economiche critiche.
Se le cose andassero così, oltre al danno di una causa vinta solamente sulla carta (ma del tutto inutile da un punto di vista pratico ai fini del concreto risarcimento) si aggiungerebbe la beffa di dover sborsare anche i soldi per pagare la parcella dell’avvocato il quale, prima di consigliare l’azione giudiziale, avrebbe potuto fare una ricerca sulla solvibilità dell’amministratore.
Questo è soltanto un esempio, ma purtroppo, nella realtà, spesso i cittadini si imbarcano, su convincimento dei propri avvocati, in cause dai risultati insoddisfacenti...non tanto per la sentenza del giudice, quanto per l’improduttività che ne consegue.
Proprio per questo, i giudici del Tribunale di Treviso hanno ribadito come l’avvocato che solleciti i propri clienti a proseguire una causa lunga e dispendiosa senza informarli adeguatamente sui possibili risvolti negativi, è tenuto a risarcirli per il tempo e per il denaro speso. Ciò anche se la causa è stata formalmente vinta, poiché in pratica la vittoria è risultata inutile.
La ratio di tale orientamento è che l’avvocato, quale professionista, pur trattandosi di obbligazioni di mezzi e non di risultato, ha l’obbligo di adottare il criterio della diligenza professionale del buon padre di famiglia nello svolgimento della sua attività.
Nella sentenza, infatti, si legge: "Un approccio processuale di questo tipo non può che integrare una condotta professionale negligente, che determina responsabilità professionale in capo all’avvocato (Cass. civ. n. 10068/1996), il quale ha intrapreso un giudizio che non si sarebbe nemmeno dovuto intentare perché foriero, ab origine, di soccombenza. A ciò si aggiungano le manifeste perplessità del ricorrente nel proseguire un giudizio rivelatosi più lungo e dispendioso del previsto e il desiderio di abbandonare ogni attività processuale, desiderio rimasto inattuato solo grazie alla pronta dissuasione operata dall’avv. (omissis...), che ha invece sollecitato il cliente a proseguire il percorso intrapreso, paventandone il felice esito".
Infine, va considerato che anche il codice deontologico forense è stato recentemente modificato in nome di una migliore informativa al cliente. Il novellato art. 27, comma 3, del Codice deontologico Forense (Dovere di informazione), recita: "L’avvocato, all’atto del conferimento dell’incarico, deve informare chiaramente la parte assistita della possibilità di avvalersi del procedimento di negoziazione assistita e, per iscritto, della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione; deve altresì informarla dei percorsi alternativi al contenzioso giudiziario, pure previsti dalla legge" (le parti in grassetto sono le parole aggiunte alla norma).
Anche in questo caso, la ratio della norma è quella di sottolineare come l’avvocato debba consigliare il proprio assistito circa le azioni da intraprendere che siano più vantaggiose per quest’ultimo e che possano inglobare anche strade alternative stragiudiziali.
Articolo del: