Pergotenda: non va rimossa se realizzata prima delle nuove distanze imposte

La pergotenda non va demolita quando non rispetta le distanze minime previste dalla costruzione limitrofa se tali distanze sono state decise da un regolamento comunale emesso in data successiva alla realizzazione della pergotenda.
Ad affermarlo è stato il Tar Emilia-Romagna nella recente sentenza n. 590 del 1° ottobre 2020.
Il caso
Il caso che il tribunale amministrativo di Bologna si è trovato a dirimere è quello di un uomo che ha proposto ricorso contro il provvedimento comunale che disponeva la rimozione della sua pergotenda, definita abusiva, e il ripristino dello stato dei luoghi.
La struttura ombreggiante, realizzata in legno con copertura leggera retrattile con elementi di sostegno verticali, è di 1,20 x 2 metri (e altezza variabile tra 2 e 2,20 metri) ed è utilizzata come spazio lavanderia.
Nella sentenza si definisce il manufatto come “un arredo funzionale alla migliore fruizione temporanea dello spazio esterno dell’unità alla quale accede e, quindi, è riconducibile agli interventi manutentivi liberi ai sensi dell'art. 6 comma 1 del DPR 380/2001”. In conseguenza di ciò, non serve il permesso di costruire per la realizzazione di una pergotenda.
Anche il Comune chiamato in causa ha riconosciuto la natura di pergotenda del manufatto realizzato (dunque realizzabile in edilizia libera), ma ha contestato il mancato rispetto della distanza minima di 1,5 metri dal confine, senza che vi fosse un preventivo accordo con il vicino. Per questo ha chiesto la demolizione dell’opera e il ripristino dei luoghi.
Di contro, l’uomo ha sottolineato il fatto che il mancato rispetto delle distanze minime contestato è generato da un regolamento comunale del 2019, anno in cui la pergotenda era già stata realizzata. Dunque, la struttura era preesistente alla normativa sopravvenuta.
La decisione del Tar Emilia-Romagna
Nella sentenza si ricorda preliminarmente che il regolamento edilizio è redatto in autonomia dai Comuni, ma entro le regole contenute nell’art. 4 del D.P.R. 380/2001 e ha natura giuridica di fonte normativa secondaria (cioè non può essere in contrasto con normative gerarchicamente superiori).
Per questo, il regolamento è subordinato “alla regola generale del divieto di retroattività della legge (art. 11 preleggi al c.c.)”.
Dunque, “se dopo la concessione edilizia sopravvengono nuove norme sulle distanze tra edifici, il costruttore deve conformarsi allo “jus superveniens” (cioè alla nuova normativa sopravvenuta, ndr), salvo che la costruzione sia già iniziata, perché in tal caso, se la nuova disciplina è più restrittiva della precedente, non può esplicare efficacia retroattiva su situazioni già consolidatesi (Corte di Cassazione, sez. II civile – 26/7/2013 n. 18119)”.
Il locale lavanderia non è un vano tecnico
Altro spunto di interesse della sentenza del Tar Emilia-Romagna è anche la definizione che viene data di “vano tecnico”. Nel caso in questione, la struttura viene utilizzata come lavanderia, ma per il tribunale amministrativo tale spazio non può essere definito come “volume tecnico” poiché “secondo la prevalente giurisprudenza amministrativa, tale classificazione è appropriata per il volume non impiegabile né adattabile ad uso abitativo e comunque privo di qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché strettamente necessario per contenere – senza possibili alternative e comunque per una consistenza del tutto contenuta – gli impianti tecnologici serventi una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali della medesima e non collocabili, per qualsiasi ragione, all'interno dell'edificio (Consiglio di Stato, sez. IV – 7/7/2020 n. 4358 e il precedente ivi citato)”.
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