Separazione consensuale: come funziona, tempi e costi


Ecco quali sono le procedure per separarsi consensualmente e cosa accade se avviene una convivenza dopo la separazione consensuale
Separazione consensuale: come funziona, tempi e costi

Quando una coppia decide di interrompere il proprio rapporto, la separazione può avvenire con l’accordo di entrambi oppure, in caso di disaccordo, può essere richiesta da uno solo dei coniugi. Nel primo caso si avrà una separazione consensuale, dove i coniugi si accordano sull’affidamento dei figli (se presenti) e sulle condizioni patrimoniali ed economiche da rispettare.

Nel secondo caso si ha una separazione giudiziale, dove sarà il giudice a stabilire le condizioni della separazione in base alla situazione familiare ed economica dei coniugi. La separazione giudiziale è un istituto giuridico a cui si deve fare necessariamente ricorso quando uno dei due coniugi non intente separarsi oppure quando vi è disaccordo sulle condizioni della separazione.

Di contro, la separazione consensuale è la scelta migliore, anche in termini di tempi e costi, per interrompere il rapporto di coppia e che può essere realizzata con procedure differenti.

 

 


Separazione consensuale: cos’è

La separazione consensuale è un istituto giuridico previsto nel nostro ordinamento che consente alle coppie di separarsi attraverso procedure più rapide e snelle rispetto a quelle della separazione giudiziale. Condizione sine qua non per intraprendere la separazione consensuale è l’accordo tra i coniugi sulle condizioni inerenti l’affidamento dei figli, il mantenimento e la divisione del patrimonio mobiliare e immobiliare.

Da un punto di vista giuridico, la separazione fa venire meno il dovere della coabitazione, anche se in alcuni casi, soprattutto in presenza di figli o di difficoltà economiche, si sceglie di vivere come “separati in casa”.

Ma per quanto riguarda gli effetti civili del matrimonio, va sottolineato che la separazione li sospende temporaneamente, ma non li annulla. Per il loro definitivo scioglimento, occorre ottenere la sentenza di divorzio.

Le procedure per ottenere la separazione consensuale sono:

1.    Separazione con ricorso in Tribunale;

2.    Separazione tramite negoziazione assistita;

3.    Separazione in Comune.

Si ricorda che esiste anche la procedura per la separazione giudiziale, ma tale iter si prevede quando vi è disaccordo tra i coniugi. Inoltre, altro aspetto da tener presente è che, in caso di separazione consensuale, non è possibile richiedere l’addebito a carico dell’altro coniuge poiché si presuppone un accordo alla base.

 


Separazione consensuale con ricorso in Tribunale

La separazione consensuale con ricorso in Tribunale si ha quando la coppia, o uno dei due componenti, deposita un ricorso di separazione presso la Cancelleria del Tribunale competente in base alla residenza o domicilio di uno dei due coniugi.

Il ricorso deve essere indirizzato necessariamente al Presidente del Tribunale, corredato dell’accordo stipulato dalla coppia e di tutti gli altri documenti necessari che attestino la situazione familiare e reddituale (tra cui copia integrale dell’atto di matrimonio e le ultime tre dichiarazioni dei redditi). Per redigere l’accordo, i coniugi possono essere assistiti da un unico avvocato, oppure da un legale per parte.

Entro cinque giorni dalla ricezione del ricorso, il Presidente del Tribunale fissa la data della prima udienza a cui i coniugi devono partecipare obbligatoriamente poiché il Presidente ha l’obbligo di fare un tentativo di conciliazione sentendo le parti. Se i coniugi non intendono più separarsi, sarà redatto un apposito verbale con il quale la procedura sarà chiusa.

Viceversa, se i coniugi ribadiscono la loro intenzione di separarsi, dovranno sottoscrivere dinanzi al Presidente del Tribunale l’accordo raggiunto che sarà inviato al Collegio che, in Camera di Consiglio, emetterà il Decreto di Omologazione nel caso in cui l’accordo sia ritenuto idoneo.

Invece, soprattutto in presenza di figli, “quando l'accordo dei coniugi relativamente all'affidamento e al mantenimento dei figli è in contrasto con l'interesse di questi il giudice riconvoca i coniugi indicando ad essi le modificazioni da adottare nell'interesse dei figli e, in caso di inidonea soluzione, può rifiutare allo stato l'omologazione” (art. 158 c.c.).

 

 

Separazione consensuale con negoziazione assistita

La separazione consensuale tramite negoziazione assistita è un istituto giuridico diventato possibile dopo l’introduzione nel nostro ordinamento del D.L. n. 132/2014, convertito nella l. n. 162/2014, che disciplina la convenzione di negoziazione assistita da parte degli avvocati al fine “di raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio (…) di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio”.

Se, invece, non si raggiunge l’accordo, i coniugi dovranno avviare la procedura di separazione giudiziale.

La separazione con negoziazione assistita è una procedura stragiudiziale che vede coinvolti la coppia e i rispettivi avvocati (in questo caso non è possibile avvalersi di un unico legale per entrambi i coniugi) e alla quale è riconosciuta la stessa tutela giuridica della separazione tramite ricorso in Tribunale (o anche quella giudiziale).

La separazione consensuale con negoziazione assistita, o “separazione breve”, prevede una serie di incontri limitati e ravvicinati a cui partecipano le parti e i rispettivi avvocati al fine di redigere un accordo sulle condizioni della separazione.

L’accordo stragiudiziale deve essere redatto in forma scritta a pena di nullità, deve essere sottoscritto dalle parti e autenticato dai rispettivi avvocati.

Nell’ipotesi in cui l’accordo preveda il trasferimento della proprietà di beni immobili o diritti reali su essi, o ancora siano compiuti atti soggetti a trascrizione previsti dall’art. 2643 c.c., è necessaria anche l’autenticazione da parte di un pubblico ufficiale autorizzato.

Entro il termine di 10 giorni dalla sottoscrizione dell’accordo, i rispettivi avvocati dovranno trasmetterlo al Procuratore della Repubblica del Tribunale competente, il quale, in caso di presenza di figli minorenni, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave (ex art. 3, comma 3, Legge 104/92) o economicamente non autosufficienti dovrà concedere il nulla osta se non ravvisa irregolarità o pregiudizi per i minori. In caso contrario, entro cinque giorni, il procuratore deve trasmettere il documento al Presidente del Tribunale che, entro i successivi trenta giorni, deve fissare la data della comparizione dei coniugi.

L’ultimo passaggio, ottenuto il nulla osta, prevede che gli avvocati trasmettano copia autenticata dell’accordo stragiudiziale, entro 10 giorni, all'ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto.

Si ricorda che l’accordo produce gli stessi effetti dei “provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio”; dunque, non è necessario richiedere al Tribunale il Decreto di omologazione.

 

 

Separazione consensuale in Comune

Infine, la separazione consensuale in Comune è possibile anche senza l’ausilio degli avvocati, ma a patto che:

•    La coppia non abbia figli minorenni, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave (ex art. 3, comma 3, Legge 104/92) o economicamente non autosufficienti;

•    Non vi siano trasferimenti economici; sul punto è stato specificato, però, che non vengono considerati gli eventuali accordi sull’assegno di mantenimento).

La procedura, in questo caso, è semplice e quasi a costo zero: i coniugi devono semplicemente recarsi presso l’ufficio di stato civile del Comune di residenza dei coniugi o del Comune presso il quale è stato officiato il matrimonio e richiedere di avviare la procedura di separazione.

Muniti di documenti di identità e di una dichiarazione sostitutiva di certificazione, le parti si presentano dinanzi al Sindaco o all'Ufficiale di stato civile che redige l’accordo di separazione in base alle condizioni proposte dalle parti.

A tale primo incontro, ne segue un secondo, a distanza di almeno 30 giorni di tempo, periodo in cui i coniugi potrebbero avere un ripensamento sulla rottura del rapporto.
In tale secondo e ultimo incontro, infatti, i coniugi dovranno confermare la volontà di separarsi affinché l’accordo raggiunto sia efficace. In caso contrario, l’accordo perde efficacia e la separazione non viene effettuata.

 

 

Separazione consensuale: tempi

Innanzitutto va detto che la separazione consensuale, indipendentemente dalla procedura avviata, ha dei tempi (e costi!) più ridotti della separazione giudiziale i cui tempi dipendono da notevoli fattori, tra cui l’ostilità reciproca dei coniugi e le eventuali azioni legali intraprese.

Detto ciò, la separazione consensuale ha dei tempi piuttosto brevi e solitamente, non trascorrono più di tre/quattro mesi. Nel caso della separazione in Comune, una volta fissato il primo incontro con il Sindaco o con l'Ufficiale di stato civile, passano poco più di 30 giorni.

Grazie, poi, alla cosiddetta legge sul “divorzio breve” (L. 11/05/2015, n. 55), sono stati ridotti anche i tempi entro i quali è possibile ottenere la successiva sentenza di divorzio.

Infatti, pur fermo restando il requisito della separazione ininterrotta, è possibile richiedere lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili del matrimonio dopo soli 6 mesi dalla separazione consensuale. Nel caso di separazione giudiziale, però, i tempi sono leggermente più lunghi, devono trascorrere 12 mesi.

E’ da tenere presente che il periodo di 6 mesi inizia a decorrere:

•    dall’udienza presidenziale nel caso di separazione ricorrendo al Tribunale;

•    dall’accordo stragiudiziale nel caso di separazione tramite negoziazione assistita;

•    dall’acquisto di efficacia dell’accordo ne caso di separazione in Comune.

 


Separazione consensuale: costi

I costi della separazione consensuale sono legati sostanzialmente all’onorario percepito dall’avvocato e negoziato con il cliente. In linea di massima, però, si può dire che il costo della separazione ricorrendo al Tribunale è leggermente maggiore rispetto a quello della procedura della negoziazione assistita.

Nel primo caso, infatti, al costo dell’onorario professionale si devono aggiungere i costi della giustizia.

Inoltre, la separazione consensuale con negoziazione assistita è esente dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa, così come sono esenti da tributi anche le iscrizioni di ipoteca effettuate a garanzia delle obbligazioni assunte dal coniuge nella separazione.

Nel caso di separazione in Comune, oltre alle spese legate alla produzione dei documenti richiesti, occorrerà pagare 16 euro per la marca da bollo.

 


Separazione tra conviventi: è possibile?

Una delle problematiche che possono sorgere nell’ambito della separazione è quella in cui i due coniugi, pur volendo interrompere la loro relazione, continuino a vivere sotto lo stesso tetto. In pratica, vivono “separati in casa”.

E’ una situazione limite che, però, può verificarsi per diverse ragioni. Una tra queste è dovuta alla presenza di figli minorenni. La coppia, pur volendo separarsi, decide di coabitare in modo da non far subire un evento traumatico ai figli o per poter continuare a vivere con loro, gestendo in modo più semplice gli impegni familiari.

Un’altra ragione può essere economica. Soprattutto in questo momento di crisi economica generalizzata dovuta all’emergenza Covid-19, i due ex coniugi potrebbero decidere di vivere sotto lo stesso tetto per ridurre l’esborso mensile delle spese. La perdita del lavoro o la riduzione dello stipendio potrebbe spingere l’ex coniuge non più residente nella casa coniugale e, magari onerato anche dell’assegno di mantenimento, di ritornare, con il consenso dell’altro coniuge, ad abitare di nuovo insieme, seppur separati. Ugualmente, anche la parte assegnataria della casa coniugale potrebbe essere sgravata da parte delle spese legate all’immobile in caso di crisi finanziaria.

In questi casi, è possibile separarsi? O ancora, nel caso di due ex coniugi già separati, è possibile tornare a vivere insieme da separati senza interrompere i termini per poter richiedere il divorzio?

A livello generale, la risposta sembrerebbe affermativa in entrambe le situazioni.

Nel caso si conviva ancora mentre si chiede la separazione, non ci sarebbero particolari problemi anche perché finché non si ottiene il decreto di omologazione o non si stipuli un accordo stragiudiziale, la casa coniugale non è ufficialmente assegnata.

Più complicato appare, invece, il caso in cui dopo un periodo di separazione (anche “fisica”) si ritorni a vivere insieme. Però, anche in tale situazione la separazione non dovrebbe essere sospesa.

Se da una parte è vero che la coabitazione interrompe i termini della separazione, d’altra parte è pur vero che la convivenza è meramente pratica e non c’è alcun coinvolgimento sentimentale da parte di entrambi.

Infatti, affinché ci sia la sospensione della separazione deve esserci tra la coppia comunione legale e spirituale. In altre parole è necessario che i due ex coniugi ricomincino a dormire assieme e non in stanze separate, oppure provvedere ai bisogni dell’altro. Ma se la convivenza prevede semplicemente la coabitazione senza che vi sia una riconciliazione sentimentale, si potrebbe procedere comunque alla richiesta di divorzio decorsi i 6 mesi di tempo (come indicati sopra).

Però, c’è un però…il rischio che potrebbe insorgere è quello che uno dei due coniugi, in sede di divorzio, si opponga dichiarando che la convivenza sia stata frutto di una riconciliazione (soprattutto se le due parti hanno ricominciato ad essere residenti nella stessa abitazione). Se così fosse, il richiedente divorzio dovrebbe provare che la convivenza si sia limitata ad una mera coabitazione senza comunione legale e spirituale. Prova difficile da dimostrare…


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