Assegno divorzile e Cassazione 11504 del 2017

Un’unione civile potrebbe essere assolutamente valida e conforme alla legge anche laddove le Parti, concordemente, vi apponessero un termine. Cosa che non è evidentemente possibile nel matrimonio. Differenza, questa, non chiarissima nella nota sentenza Cass. civ. Sez. I, 10-05-2017, n. 11504, sulla quale è utile tornare, adesso che si sono placati gli echi della cronaca delle ultime settimane, onde verificare come essa andrà a regime, per così dire, ossia come condizionerà l’andamento della giurisprudenza, partendo dalla logica della sua motivazione, sulla base della quale il Giudice di merito, di volta in volta, adotterà la propria decisione.
E il criterio adottato dalla Suprema Corte per far luce sul contenuto dell’indipendenza economica, alla cui mancanza, è subordinato il diritto all’assegno divorzile, viene identificato nel «vigente art. 337 - septies, primo comma cod. Civ. - ma era già previsto dall'art. 155 - quinquies, comma 1, inserito dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 1, comma 2, - il quale, recante "Disposizioni in favore dei figli maggiorenni"» precisamente «nel primo periodo: "Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico" [Cass., 11504/2017]». Un richiamo giustificato dalla Corte sulla base di un’asserita «analogia legis (art. 12, comma 2, primo periodo, delle disposizioni sulla legge in generale) tra tale disciplina e quella dell'assegno di divorzio, in assenza di uno specifico contenuto normativo della nozione di "adeguatezza dei mezzi", a norma della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, trattandosi in entrambi i casi, mutatis mutandis, di prestazioni economiche regolate nell'ambito del diritto di famiglia e dei relativi rapporti [Cass., 11504/2017]». Ma non vi è nessuna analogia tra le due situazioni, stante il fatto che, mentre i figli maggiorenni, in esito agli obblighi di assistenza morale e materiale gravanti sui genitori, sono proiettati a lasciare questi ultimi e, anzi, ove necessario, a soccorrerli laddove avessero essi stessi necessità economiche (e non per retaggio storico, visto che l’art. 315 bis del codice civile, che prevede che «Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa» è stato aggiunto dall'art. 1, comma 8, L. 10 dicembre 2012, n. 219), nel caso del matrimonio è esattamente il contrario, visto che l’adempimento degli stessi obblighi di assistenza morale e materiale inducono proprio nella direzione opposta ossia a confidare nella permanenza del legame, anche sotto quei profili. Semmai ciò non può dirsi per le unioni civili, alle quali, come detto, potrebbe porsi un termine di efficacia, alla scadenza del quale non sembra potersi ipotizzare, secondo quanto previsto dal legislatore, analogo obbligo di solidarietà.
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