Charlie Gard e la responsabilità genitoriale


Se si elimina l’architrave che unisce il diritto alla responsabilità, il principio della quality of life produce il corto circuito della libertà
Charlie Gard e la responsabilità genitoriale
Il concetto di potestà parentale è oggi superato dalla "responsabilità genitoriale", inserita nel D. Lgs 154/2013, in attuazione della Legge n. 219 del 2012, a seguito anche del Regolamento dell’Unione Europea, il c.d. Bruxelles II bis, che l’aveva già introdotta nell’art. 2 n. 7 definendola l’insieme dei i diritti e doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore, riguardanti la persona o i beni di un minore.
I poteri del genitore "rispondono", quindi, all’interesse del minore, il "migliore" interesse, secondo una traduzione dell’aggettivo best, più adeguata, rispetto a ‘prevalente’, al contesto di tutela del minore che deve affermarsi in un quadro di integrazione con gli altri soggetti parte delle comunità, famigliare e sociale, in cui egli stesso è inserito.
La responsabilità per il figlio poggia sull’architrave che unisce i diritti e i doveri nei confronti del figlio e, quando la "risposta" dei genitori risulti in contrasto con il miglior interesse del minore, l’ordinamento interviene sostituendosi ai genitori stessi o con riferimento al singolo atto da compiere o, nei casi più gravi, in via definitiva, mediante provvedimenti che escludono i genitori stessi dalla possibilità di compiere gli atti propri della responsabilità genitoriale.
Charlie Gard è un bambino inglese di dieci mesi, ricoverato, da quando aveva appena otto settimane, presso il Great Ormond Street Hospital di Londra, a causa di una rara malattia mitocondriale, per la quale non vi è, al momento, una terapia che possa guarirlo.
I Sigg.ri Gard, indiscutibilmente nella pienezza dei loro poteri inerenti alla cura del figlio chiedono di poterlo trasferire negli Stati Uniti per sottoporlo ad una terapia sperimentale, ricevendo, prima dall’ospedale, poi dall'autorità giudiziaria, un secco rifiuto motivato sulla base del best interest del minore.
Dagli Stati Uniti, uno dei medici proponenti il trattamento scriveche «la terapia sarà vantaggiosa. Nella migliore delle ipotesi la condizione di Charlie potrà stabilizzarsi, ma anche parzialmente migliorare o continuare a migliorare con la terapia a lungo termine come riscontrato nei pazienti con TK2. Idealmente, il trattamento migliorerà le crisi epilettiche e permetterà funzioni più normali del cervello. È chiaro che senza trattamento, la malattia di Charlie progredirà e sarà infine fatale». Salvo venga messa in discussione l’autenticità del parere reso dal medico statunitense (ma, con esso, dovrebbe farsi altrettanto con l’intera ricerca che negli Stati Uniti viene condotta su questa malattia), la decisione dei genitori di Charlie risulta non solo opportuna ma, anzi, doverosa, non potendo esistere, rispetto a malattie rare ed inguaribili, altre cure che non siano quelle sperimentali. Ma, a fronte di tutto questo, la COURT OF APPEAL (CIVIL DIVISION) on appeal from the hign court of Justice (Family Division) (The Hon Mr Justice Francis), 23 maggio 2017, risponde che «questa più recente affermazione non potrebbe fornire una base per rimettere in discussione il sofisticato processo di valutazione già svolto e che ha preso forma attraverso le discusse valutazioni di esperti e, soprattutto, l'esame e l'analisi incrociata dinanzi al giudice», con una motivazione alquanto sorprendente, visto che ogni terapia sperimentale vede contrapporsi le diverse e, talvolta opposte, opinioni di esperti che, nella previsione di una potenziale efficacia della terapia.

Eppure è pacifico che dalla terapia non sarebbe potuto derivare al bambino nessun danno: dovendosi escludere la «significant harm» ossia il "danno significativo" che solo avrebbe potuto motivare il diniego di autorizzazione della terapia sperimentale, il Giudice vira su alto argomento, motivando, stavolta, con il fatto che «to move Charlie to America and expose him to treatment over there would be likely to expose him to continued pain, suffering and distress (par. 114)» ossia «spostare Charlie in America ed esporlo al trattamento, probabilmente l'avrebbe esposto a continui dolori, sofferenze e sofferenze. (Paragrafo 114)». Il Giudice Londinese, disarticolando, nelle retrovie di un diritto positivo in forte crisi, il legame tra diritto dalla responsabilità, l’unico in grado di armonizzare tra loro le libertà individuali senza che il loro esercizio possa tradursi nella neutralizzazione della condizione del più debole e indifeso. Il tutto in funzione di un principio di qualità della vita, secondo il quale non sarebbe stato «nell'interesse di Charlie viaggiare in America per ricevere la terapia nucleosidica, che era puramente un processo sperimentale senza alcuna prospettiva reale per migliorare la condizione del bambino o la qualità della vita».

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di Giuseppe Mazzotta

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