Clausole vessatorie
Rischi dei cosiddetti contratti per adesione
Le clausole vessatorie sono quelle clausole che apportano notevole vantaggio ad una parte contrattuale a svantaggio dell’altra; per questo motivo la legge prevede forti limiti all’inserimento di tali disposizioni nei contratti. Inizialmente, la normativa codicistica degli artt. 1341 e 1342 c.c. prevedeva, a favore della parte svantaggiata dall’apposizione delle predette clausole, una tutela generale solo in materia di contratti predisposti unilateralmente dal contraente "forte" inserite nei moduli standard di contratto o nelle condizioni generali di contratto da esso predisposte. Detta normativa richiedeva l’apposizione, da parte del contraente che non aveva predisposto la clausola, di una seconda firma di approvazione delle clausole cd. vessatorie, in modo che su di esse fosse richiamata la sua attenzione.
Successivamente questa disciplina veniva integrata, ampliando la tutela del consumatore, con l’emanazione di due importanti atti legislativi: il d.lgs. n. 50 del 1992 (relativamente ai contratti negoziati fuori dai locali commerciali), conseguente all’emanazione da parte dell’UE della direttiva 85/57, ratificata dalla legge comunitaria n. 428 del 1990, e la legge n. 52/1996, emanata in attuazione della direttiva 1993/13/CE (sulle clausole vessatorie nei contratti stipulati con i consumatori), che novellava il codice civile, inserendo un nuovo capo, il Capo XIV del Libro Quarto del codice civile, artt. 1469-bis e ss., contenente una disciplina più rigorosa a salvaguardia dei contratti tra consumatore e professionista.
Recentemente la materia è stata ancora modificata, con l’entrata in vigore del cd. codice del consumo (d.lgs. n. 206 del 6 settembre 2005), che ha, tra l’altro, modificato e parzialmente abrogato il capo inserito nel Codice nel 1996.
Attualmente le clausole vessatorie sono disciplinate dal codice del consumo, che assicura la tutela del consumatore in maniera più efficace: alcune clausole, infatti, a prescindere dalla buona fede del venditore al momento della conclusione del contratto, sono automaticamente considerate nulle, cioè come se non fossero mai state apposte nel contratto.
Il codice del consumo, all’art. 3, definisce "consumatore" la persona che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta e come "professionista" la persona fisica o giuridica, pubblica o privata, che agisce nell’ambito della sua attività imprenditoriale o professionale. La norma equipara professionista ed imprenditore, in quanto entrambi svolgono abitualmente un’attività professionale che determina una dimestichezza nella sua attività tale da porli in condizione di approfittare dell’inesperienza contrattuale della controparte.
Il legislatore ha previsto una serie di ipotesi in cui viene riportato il contenuto di clausole molto diffuse sul mercato e che ritiene vessatorie. Nella normativa, all’art. 33, comma 1, è previsto che nel contratto stipulato tra consumatore e professionista si considerino vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinino a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
Sul piano pratico, infatti, la presenza di una clausola vessatoria che rientri nel campo di applicazione degli artt. 1341 e ss. c.c. soggiacerà alla disciplina codicistica, ben potendo, laddove inerisca sul piano soggettivo all'ambito previsto dal Codice del Consumo, trovare applicazione la disciplina, più incisiva, ivi contenuta (la quale, peraltro, per quanto non previsto dallo stesso, rinvia espressamente alle disposizioni del codice civile, ex art. 38, come novellato dal d.lgs. n. 221/2007).
Ad ogni modo, tra le due discipline sussistono elementi comuni e differenziali che meritano di essere sottolineati.
La prima distinzione rileva sul piano "sanzionatorio": mentre le clausole tassativamente elencate nell'art. 1341 c.c. e quelle aggiunte nei contratti conclusi mediante moduli o formulari ex art. 1342 c.c. sono inefficaci, salvo specifica approvazione per iscritto (Cass. n. 11361/2010), quelle espressamente indicate dagli artt. 33 e ss. CdC sono da considerarsi nulle (a prescindere da qualsiasi sottoscrizione).
Altra differenza è rintracciabile in ordine al profilo della rilevabilità ex officio, testualmente prevista dall'art. 36, 3° comma, CdC e preclusa nella disciplina codicistica (Cass. n. 11213/1991).
L'art. 35 del d.lgs. n. 206/2005 detta, inoltre, il c.d. "principio della trasparenza" delle clausole che devono essere formulate in modo chiaro e comprensibile, mentre non è rintracciabile una tale disposizione negli artt. 1341 e 1342 c.c.
Elemento comune ad ambedue le discipline è la "trattativa individuale" considerata idonea ad escludere il carattere vessatorio delle clausole, in ragione del venir meno dell'unilateralità della predisposizione contrattuale, come espressamente indicato dall'art. 34, comma 4, del codice del consumo e desumibile dai principi civilistici.
Tuttavia, se ciò vale in via generale, non sempre la contrattazione specifica elimina la vessatorietà: l'art. 36 CdC esclude, infatti, in ogni caso, l'efficacia delle clausole nelle tre ipotesi nello stesso elencate, quantunque oggetto di trattativa tra le parti.
Infine, rilevano i rimedi concessi ai consumatori solamente in materia di clausole abusive ex artt. 33 e seguenti CdC, i quali, oltre all'azione di accertamento della nullità, hanno a disposizione anche la tutela inibitoria di cui all'art. 37, nonché quella amministrativa, affidata all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, di cui al successivo art. 37-bis (introdotto dall'art. 5, comma 1, del d.l. n. 1/2012, convertito in l. n. 27/2012).
Successivamente questa disciplina veniva integrata, ampliando la tutela del consumatore, con l’emanazione di due importanti atti legislativi: il d.lgs. n. 50 del 1992 (relativamente ai contratti negoziati fuori dai locali commerciali), conseguente all’emanazione da parte dell’UE della direttiva 85/57, ratificata dalla legge comunitaria n. 428 del 1990, e la legge n. 52/1996, emanata in attuazione della direttiva 1993/13/CE (sulle clausole vessatorie nei contratti stipulati con i consumatori), che novellava il codice civile, inserendo un nuovo capo, il Capo XIV del Libro Quarto del codice civile, artt. 1469-bis e ss., contenente una disciplina più rigorosa a salvaguardia dei contratti tra consumatore e professionista.
Recentemente la materia è stata ancora modificata, con l’entrata in vigore del cd. codice del consumo (d.lgs. n. 206 del 6 settembre 2005), che ha, tra l’altro, modificato e parzialmente abrogato il capo inserito nel Codice nel 1996.
Attualmente le clausole vessatorie sono disciplinate dal codice del consumo, che assicura la tutela del consumatore in maniera più efficace: alcune clausole, infatti, a prescindere dalla buona fede del venditore al momento della conclusione del contratto, sono automaticamente considerate nulle, cioè come se non fossero mai state apposte nel contratto.
Il codice del consumo, all’art. 3, definisce "consumatore" la persona che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta e come "professionista" la persona fisica o giuridica, pubblica o privata, che agisce nell’ambito della sua attività imprenditoriale o professionale. La norma equipara professionista ed imprenditore, in quanto entrambi svolgono abitualmente un’attività professionale che determina una dimestichezza nella sua attività tale da porli in condizione di approfittare dell’inesperienza contrattuale della controparte.
Il legislatore ha previsto una serie di ipotesi in cui viene riportato il contenuto di clausole molto diffuse sul mercato e che ritiene vessatorie. Nella normativa, all’art. 33, comma 1, è previsto che nel contratto stipulato tra consumatore e professionista si considerino vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinino a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
Sul piano pratico, infatti, la presenza di una clausola vessatoria che rientri nel campo di applicazione degli artt. 1341 e ss. c.c. soggiacerà alla disciplina codicistica, ben potendo, laddove inerisca sul piano soggettivo all'ambito previsto dal Codice del Consumo, trovare applicazione la disciplina, più incisiva, ivi contenuta (la quale, peraltro, per quanto non previsto dallo stesso, rinvia espressamente alle disposizioni del codice civile, ex art. 38, come novellato dal d.lgs. n. 221/2007).
Ad ogni modo, tra le due discipline sussistono elementi comuni e differenziali che meritano di essere sottolineati.
La prima distinzione rileva sul piano "sanzionatorio": mentre le clausole tassativamente elencate nell'art. 1341 c.c. e quelle aggiunte nei contratti conclusi mediante moduli o formulari ex art. 1342 c.c. sono inefficaci, salvo specifica approvazione per iscritto (Cass. n. 11361/2010), quelle espressamente indicate dagli artt. 33 e ss. CdC sono da considerarsi nulle (a prescindere da qualsiasi sottoscrizione).
Altra differenza è rintracciabile in ordine al profilo della rilevabilità ex officio, testualmente prevista dall'art. 36, 3° comma, CdC e preclusa nella disciplina codicistica (Cass. n. 11213/1991).
L'art. 35 del d.lgs. n. 206/2005 detta, inoltre, il c.d. "principio della trasparenza" delle clausole che devono essere formulate in modo chiaro e comprensibile, mentre non è rintracciabile una tale disposizione negli artt. 1341 e 1342 c.c.
Elemento comune ad ambedue le discipline è la "trattativa individuale" considerata idonea ad escludere il carattere vessatorio delle clausole, in ragione del venir meno dell'unilateralità della predisposizione contrattuale, come espressamente indicato dall'art. 34, comma 4, del codice del consumo e desumibile dai principi civilistici.
Tuttavia, se ciò vale in via generale, non sempre la contrattazione specifica elimina la vessatorietà: l'art. 36 CdC esclude, infatti, in ogni caso, l'efficacia delle clausole nelle tre ipotesi nello stesso elencate, quantunque oggetto di trattativa tra le parti.
Infine, rilevano i rimedi concessi ai consumatori solamente in materia di clausole abusive ex artt. 33 e seguenti CdC, i quali, oltre all'azione di accertamento della nullità, hanno a disposizione anche la tutela inibitoria di cui all'art. 37, nonché quella amministrativa, affidata all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, di cui al successivo art. 37-bis (introdotto dall'art. 5, comma 1, del d.l. n. 1/2012, convertito in l. n. 27/2012).
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