Condominio parziale, cos’è? Come vanno ripartire le spese? Chi delibera gli interventi?
La figura del c.d. condominio parziale, frutto di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, pacificamente riconosciuta da oltre un ventennio, trova la sua fonte normativa nell'art 1123 3° comma cc.
Già nell'ormai lontano 1994, con la sentenza n° 7885, la Suprema Corte, ne aveva fornito una puntuale ed ancora attualissima definizione:
"I presupposti per la attribuzione della proprietà comune a vantaggio di tutti i partecipanti vengono meno se le cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali e funzionali, sono necessari per l'esistenza o per l'uso, ovvero sono destinati all'uso o al servizio non di tutto l'edificio, ma di una sola parte (o di alcune parti) di esso. Pertanto, del diritto (soggettivo) di condominio formano oggetto soltanto le cose, i servizi e gli impianti, effettivamente uniti alle unità abitative dal collegamento strumentale: vale a dire, le sole parti di uso comune, che siano necessarie per l'esistenza, ovvero siano destinate all'uso o al servizio di determinati piani o porzioni di piano. La disposizione da cui risulta con certezza che le cose, i servizi e gli impianti di uso comune dell'edificio non appartengono necessariamente a tutti i partecipanti si rinviene nell'art. 1123 comma 3° c.c. Secondo questa norma l'obbligazione di concorrere nelle spese per la conservazione grava soltanto sui condomini ai quali appartiene la proprietà comune".
Così continua:
"Il testo (3° c dell'art 1123 cc) non recepisce il criterio, che si assume valido in generale per la ripartizione delle spese per le parti comuni, secondo cui i contributi si suddividono tra i condomini in ragione dell'utilità. Se così fosse, il precetto sarebbe del tutto superfluo, perché ripeterebbe quello dettato dal capoverso precedente. Posto che l'art. 1123, comma 2, c.c. ripartisce il concorso nelle spese per le parti comuni, destinate a servire le unità immobiliari in misura diversa, in proporzione all'uso che ciascuno può farne, dal contributo implicitamente esonera coloro i quali, per ragioni obbiettive afferenti alla struttura o alla destinazione, non utilizzano le parti, che non sono necessarie per l'esistenza o per l'uso, ovvero non sono destinate all'uso o al servizio dei loro piani o porzioni di piano. Se i proprietari delle unità immobiliari, non collegate con determinate parti comuni, fossero esonerati dal concorso nelle spese in virtù del criterio dell'utilità statuito dall'art. 1123, comma 2, c.c., il disposto dell'art. 1123, comma 3, sarebbe del tutto identico a quello fissato nel comma precedente e configurerebbe un duplicato inutile.
In realtà, l'art. 1123 c.c. nei distinti capoversi contempla ipotesi differenti. Mentre al comma 2 regola solo ed esclusivamente la ripartizione delle spese per l'uso, al comma 3 disciplina la suddivisione delle spese per la conservazione. La ragione della previsione espressa è che le cose, i servizi e gli impianti, essendo collegati materialmente e per la destinazione soltanto con alcune unità immobiliari, appartengono in comune solamente ai proprietari di queste. La disposizione, cioè, contempla l'ipotesi del condominio parziale. L'obbligazione di contribuire alle spese per la conservazione posta a carico soltanto di alcuni dei partecipanti si riconduce al principio generale, che presiede alla suddivisione delle spese per la conservazione, secondo cui i condomini sono obbligati sempre in proporzione con le quote ed indipendentemente dalla misura dell'uso. Perciò, l'obbligazione di contribuire alle spese per la conservazione grava soltanto su taluni condomini come conseguenza della delimitazione della appartenenza.
Detti principi sono stati richiamati in numerose pronunce della Suprema Corte: “l'esistenza del condominio parziale è ritenuta possibile sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza (…) allorché all'interno del cd. condominio allargato talune cose - qualificate come comuni ex art. 1117 c.c. - siano per oggettivi caratteri materiali e funzionali necessarie per l'esistenza o per l'uso, ovvero siano destinate all'uso o al servizio, non di tutto l'edificio, ma di una sola parte o di alcune unità abitative di esso” (Cass. 12 febbraio 2001 n. 1959).
Ed ancora: “Sussiste condominio parziale ex lege, in base alla previsione di cui all’art. 1123 comma 3 c.c. ogni qualvolta un bene, rientrante tra quelli ex art. 1117 c.c., sia destinato, per obiettive caratteristiche strutturali e funzionali, al servizio e/o godimento esclusivo di una parte soltanto dell’edificio condominiale, tale figura risponde alla “ratio” di semplificare i rapporti gestori interni alla collettività condominiale, sicché il “quorum”, costitutivo e deliberativo, dell’assemblea nel cui ordine del giorno risultino capi afferenti la comunione di determinati beni o servizi limitati solo ad alcuni condomini, va calcolato con esclusivo riferimento a costoro ed alle unità immobiliari direttamente interessate". (Cass. 4127/2016).
Fino alla recentissima sentenza n. 791 del 2020 "Il nesso di condominialità, presupposto dalla regola di attribuzione di cui all'art. 1117 c.c., è ravvisabile in svariate tipologie costruttive, sia estese in senso verticale, sia costituite da corpi di fabbrica adiacenti orizzontalmente, purché le diverse parti siano dotate di strutture portanti e di impianti essenziali comuni, come appunto quelle res che sono esemplificativamente elencate nell'art. 1117 c.c., con la riserva "se il contrario non risulta dal titolo". E' dunque agevole ipotizzare come possano esservi, nell'ambito dell'edificio condominiale, delle parti comuni, quali, ad esempio, il tetto (come nella specie), o l'area di sedime, o i muri maestri, o le scale, o l'ascensore, o il cortile, che risultino destinati al servizio o al godimento di una parte soltanto del fabbricato.
Secondo la giurisprudenza, è in siffatte ipotesi automaticamente configurabile la fattispecie del condominio parziale "ex lege": tutte le volte, cioè, in cui un bene, come detto, risulti, per le sue obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato al servizio e/o al godimento, in modo esclusivo, di una parte soltanto dell'edificio in condominio, esso rimane oggetto di un autonomo diritto di proprietà, venendo in tal caso meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene (Cass. Sez. 2, 24/11/2010, n. 23851; Cass. Sez. 2, 17/06/2016, n. 12641). Mancano, quindi, i presupposti per l'attribuzione, ex art. 1117 c.c., della proprietà comune a vantaggio di tutti i partecipanti se le cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali, appaiano necessari per l'esistenza o per l'uso, ovvero siano destinati all'uso o al servizio non di tutto l'edificio, ma di una sola parte (o di alcune parti) di esso. Come venne autorevolmente chiarito da Cass. Sez. U, 07/07/1993, n. 7449, in tema di condominio negli edifici, l'individuazione delle parti comuni, risultante dall'art. 1117 c.c. - il quale non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria -, e che può essere superata soltanto dalle opposte risultanze di un determinato titolo, non opera affatto con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari.
Il fondamento normativo, che limita in tal senso la proprietà di cose, servizi ed impianti dell'edificio, si rinviene nell'art. 1123 c.c., comma 3. Lo stesso art. 1123 c.c., comma 1 elabora il principio generale secondo cui l'obbligazione di contribuire alle spese per la conservazione e per il godimento delle parti comuni si suddivide in proporzione alle
quote di ciascuno; il comma 3 consente, allora, di aggiungere che l'obbligazione di contribuire alle spese per la conservazione ed il godimento grava, invece, soltanto su taluni condomini, come conseguenza della delimitazione della loro appartenenza. A tale parziale attribuzione della titolarità delle parti comuni corrispondono conseguenze di rilievo per quanto attiene alla gestione, nonchè all'imputazione delle spese.
Non mancano voci discordanti, soprattutto quando si tratta delle scale. Invero, nonostante il 3° comma dell'art 1123 cc richiami espressamente l'ipotesi di condominio con più scale, la Suprema Corte con la sentenza n. 9986-2017 così statuiva:
Le scale e l'androne, essendo elementi strutturali necessari all'edificazione di uno stabile condominiale e mezzo indispensabile per accedere al tetto ed al terrazzo di copertura, conservano, in assenza di titolo contrario, la qualità di parti comuni, come indicato nell'art. 1117 c.c., anche relativamente ai condomini proprietari di negozi o locali terranei con accesso dalla strada, poiché anche tali condomini ne fruiscono, quanto meno in ordine alla conservazione e manutenzione della copertura dell'edificio. Ne consegue l'applicabilità della tabella millesimale generale ai fini del computo dei "quorum" per la ripartizione delle spese dei lavori di manutenzione straordinaria (ed eventualmente ricostruzione) dell'androne e delle scale, cui anche detti condomini sono tenuti a concorrere, in rapporto ed in proporzione all'utilità che possono in ipotesi trarne.
Chi scrive, non condivide tale impostazione sia perché, come innanzi evidenziato è proprio l’art. 1123 comma 3° a prevedere l’ipotesi di più scale, sia perché nel caso di specie vi erano due scale ed una tabella millesimale specifica che ripartiva la spesa di manutenzione straordinaria solo tra un gruppo di condomini, per cui la Corte non si poteva limitare all’affermazione di principio, innanzi riportata, senza che fosse stata avanzata alcuna contestazione in merito alla validità della tabella in uso.
Non può parlarsi, invece, di condominio parziale ma solo di condominio autonomo laddove “un edificio o un gruppo di edifici appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio può essere sciolto e i comproprietari di ciascuna parte possono costituirsi in condominio separato (ex art. 61 disp. att. cc.)" (Cass. 12641 del 17-06-2016).
Quando sorge il c.d. condominio parziale
Come si può facilmente rilevare dalle pronunce della Suprema Corte, innanzi riportate, è evidente che si può parlare di condominio parziale ogni qualvolta manca il presupposto dell’art. 1117 c.c., ossia la comunanza di servizi e impianti di uso comune a vantaggio di tutti i partecipanti dell’edificio, per cui si può affermare che il condominio parziale sorge di fatto, senza necessità di un atto costitutivo, tutte le volte che si verifica le situazioni previste dal disposto dall’art. 1123 c.c. co. 2 e 3, ossia sorge ope legis, in presenza della condizione materiale o funzionale giuridicamente rilevante, finendo per coesistere nell'edificio con la più vasta organizzazione configurata dal condominio.
Sarebbe auspicabile, per evitare situazioni d'incertezza e conseguenti contestazioni, che apposite clausole del regolamento condominiale prevedessero le varie situazioni di condominio parziale presenti nell'edificio.
A mio parere, una forma implicita delle predette clausole può ravvisarsi ogni qualvolta agli atti del condominio siano presenti delle apposite tabelle che disciplinino la ripartizione di spese solo tra un gruppo di condomini e non tra tutti, come avviene ad esempio per le tabelle di ripartizione delle spese di manutenzione delle scale e degli ascensori (art 1124 cc), dei solai (art 1125cc) o dei lastrici di copertura (art. 1126 cc).
Invero, l’art 68 delle disposizioni di attuazione del cc. prevede espressamente che “per gli effetti indicati dagli art 1123, 1124, 1126 e 1136 del codice, il regolamento di condominio deve precisare il valore proporzionale di ciascun piano o di ciascuna porzione di piano spettante in proprietà esclusiva ai singoli condomini".
La ripartizione delle spese nel condominio parziale
Nessuna particolare difficoltà s’incontra nelle ripartizioni delle spese nel condominio parziale in quanto al principio generale, dettato dall’art. 1123 cc, 1° comma, (in base al quale le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio siano ripartite tra i condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno espresso in millesimali), si aggiungono le previsioni del 2° e 3°comma (qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità”).
In altri termini, se la spesa o gli interventi da effettuare riguardano le parti comuni di godimento della totalità dei condomini, le spese vanno ripartite tra tutti. Se, viceversa, i lavori di manutenzione riguardano porzioni di edificio o di servizi (ad esempio le canne fumarie, oppure le tubature dell’acqua o l’ascensore di una specifica scala) che servono non la totalità, ma soltanto un gruppo di condomini, le spese vanno ripartite esclusivamente tra questi ultimi poiché gli unici a beneficiare del bene o del servizio condominiale.
Deliberazioni
Chiarita la ratio della ripartizione delle spese inerenti il c.d. condominio parziale, merita un approfondimento la problematica relativa a chi debba deliberare in merito a dette spese.
Premesso che le decisioni sulle questioni relative alle parti comuni del condominio sono assunte dalla totalità dei condomini in sede di assemblea condominiale, come affermato nell’art. 1136 c.c. che detta le regole della convocazione dell’assemblea e della validità delle deliberazioni, è evidente che tale principio generale subisce delle deroghe allorché è necessario deliberare in merito alle spese del condominio parziale. In altre parole, se le questioni da trattare interessano solo un gruppo di condomini che usufruiscono in maniera esclusiva di una porzione del condominio e sul quale, per legge, con la previsione di specifiche tabelle millesimali, gravano le relative spese, le decisioni dovranno essere assunte dal gruppo dei condomini interessati e non dalla totalità del condominio.
Tale principio era stato affermato dalla Suprema Corte già con la sentenza n. 7885 del 1994:
“ Numerose ed evidenti sono le conseguenze operative del condominio parziale. Alla differente attribuzione della titolarità, si riconducono implicazioni considerevoli per quanto attiene alla gestione ed alla imputazione delle spese. Relativamente alle cose, ai servizi ed agli impianti, dei quali non hanno la titolarità, per i partecipanti al gruppo non si pongono questioni di gestione e di obbligazioni di contribuire alle spese. In particolare, non sussiste il diritto di partecipare all'assemblea, ragion per cui la composizione del collegio e delle maggioranze si modificano in relazione alla titolarità delle parti comuni, che della delibera formano oggetto e non sorge l'obbligazione di contribuire alle spese. Trattandosi di gruppi di interessi diversi, facenti capo a soggetti distinti, differenziate sono l'amministrazione e la rappresentanza.”
Ribadito da numerose pronunce (Cass. Sez. 2, 02/03/2016, n. 4127; Cass. Sez. 2, 17/06/2016, n. 12641). fino a quella recentissima Cass. n.791-2020:
"Relativamente alle cose, di cui non hanno la titolarità, per i partecipanti al gruppo non sussiste il diritto di partecipare all'assemblea, dal che deriva che la composizione del collegio e delle maggioranze si modifica in relazione alla titolarità delle specifiche parti oggetto della concreta delibera da adottare (cfr. Cass. Sez. 2, 27/09/1994, n. 7885; quando all’ordine del giorno dell’assemblea vi siano argomenti che interessino la comunione di determinati beni o servizi limitati soltanto ad alcuni condomini, il quorum, tanto costitutivo quanto deliberativo, debba essere calcolato con esclusivo riferimento alle unità immobiliari e ai condomini direttamente interessati. Cass. Sez. 2, 02/03/2016, n. 4127; Cass. Sez. 2, 17/06/2016, n. 12641)".
Legittimazione passiva del condominio parziale
Nonostante la dottrina e la giurisprudenza, oltre che la richiamata normativa, riconoscano l’esistenza del condominio parziale, la legittimazione passiva in caso di controversie rimane in capo all’intero condominio e non a quello parziale.
Nella già citata sentenza n. 4127/2016 così si legge: “La negazione di un'ipotetica legittimazione e capacità processuale autonoma o sostitutiva del condominio parziale rispetto al condomino dell'intero edificio, ovvero della facoltà dello stesso di agire mediante un proprio distinto rappresentante a difesa dei diritti comuni inerenti alle parti oggetto della più limitata contitolarità di cui all'art. 1123, comma 3, c.c., è corroborata dalla considerazione che i criteri di ripartizione delle spese necessarie per provvedere alla manutenzione delle parti comuni, stabiliti dagli artt. 1123, 1124, 1125 e 1126 c.c., non possono mai influire sulla legittimazione del condominio nella sua interezza, né sulla rappresentanza del suo amministratore estesa a tutti i condomini”.
In altre parole, il condominio parziale non ha una legittimazione processuale e, dunque, capacità processuale diversa da quella del condominio generale e, quindi, a dover essere citato in giudizio in eventuali controversie è sempre l’intero condominio, aldilà del fatto che l'oggetto riguardi solo un gruppo di condomini.
Questo, a parere di chi scrive, è un falso problema atteso che il condominio parziale è rappresentato dallo stesso amministratore, il problema potrebbe sorgere, invece, nel momento delle ripartizioni delle eventuali spese legali, ma sempre a parere di chi scrive, non sembra esserci dubbi sull'attribuzione esclusivamente a carico dei soli condomini interessati se l'oggetto della controversia riguarda solo un gruppo di condomini.
Avv. Annamaria Principato
Per approfondire il tema o per richieste di chiarimenti è possibile inviare un e-mail a a.principato@ordavvsa.it
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