Consenso informato: stop alle formule astratte


In tema di responsabilità professionale del medico, il professionista commette un illecito se non fornisce al paziente tutte le informazioni del caso
Consenso informato: stop alle formule astratte
Con la sentenza n. 8035/16, la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta di nuovo per ribadire la diversità della domanda risarcitoria diretta a far valere la colpa professionale del medico nell'esecuzione di un intervento rispetto a quella relativa alla mancata prestazione del consenso informato.
Mentre nel primo caso ci si riferisce alla tutela del diritto fondamentale alla salute, di cui all'art. 32, 1 comma, Cost.., nel secondo caso si fa riferimento alla consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, e cioè all'autodeterminazione del paziente, di cui al secondo comma dello stesso articolo.
Nel caso in cui manchi il consenso informato, ad eccezione dei casi di trattamento sanitario obbligatorio per legge o di stato di necessità, l'intervento del sanitario è illecito anche nel caso in cui esso sia effettuato nell'interesse del paziente.
In particolare, detto obbligo informativo va riferito alle prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente viene sottoposto e, come già in passato precisato, deve riguardare non solo i rischi di un esito negativo dell'intervento e l'aggravamento delle condizioni di salute del paziente, ma anche la relativa sostanziale inutilità dell'intervento medesimo.
Il consenso informato deve essere acquisito anche quando la probabilità di verificarsi dell'evento sia così modesta da essere prossima al fortuito, oppure quando sia così alta da renderne certo il suo verificarsi e ciò in considerazione del fatto che la valutazione del rischio appartiene al paziente ed il sanitario o la struttura non possono omettere l'informativa in base soltanto ad un mero calcolo statistico.
Detto consenso, inoltre, non può mai essere presunto o tacito ma deve essere fornito espressamente ed il medico viene meno al suo dovere non solo quando omette del tutto di riferire al paziente la natura della cura alla quale dovrà sottoporsi, ma anche quando acquisisca il consenso con modalità improprie, come nel caso di sottoscrizione di un modulo del tutto generico, dal quale non è possibile evincere le informazioni fornite al paziente (Cass. n. 24791/08).
Il medico, secondo il giudice di legittimità, deve fornire la prova di aver dato un'informazione completa al paziente sul trattamento sanitario che andrà ad eseguire, senza che questo suo obbligo possa essere attenuato dalle qualità personali del paziente le quali incidono soltanto sulle modalità delle informazioni; anche il linguaggio adoperato deve essere adeguato al livello culturale del paziente ed al grado di conoscenze specifiche di cui quest'ultimo dispone (Cass. n. 19920/13).
In argomento, il giudice di legittimità aveva già affermato che la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danno: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all'intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; nonché un danno da lesione del diritto all'autodeterminazione , il quale sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale o non, diverso dalla lesione del diritto alla salute (Cass. n. 11950/13).
La responsabilità professionale del medico, al riguardo, ove pure egli si limiti alla diagnosi ed all'illustrazione al paziente delle conseguenze della terapia o dell'intervento che ritenga di dover compiere, allo scopo di ottenerne il necessario consenso informato, ha natura contrattuale e non precontrattuale. Ne consegue che, a fronte dell'allegazione da parte del paziente dell'inadempimento dell'obbligo di informazione, è il medico ad essere gravato dell'onere della prova di aver adempiuto alla predetta obbligazione (Cass. n. 11005/11).

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di Avv. Mario Piselli

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