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Covid-19 e responsabilità penale del datore di lavoro


Ipotesi di responsabilità penale del datore di lavoro in caso di contagio da Covid.19 del dipendente
Covid-19 e responsabilità penale del datore di lavoro

Ci troviamo ad affrontare un’emergenza sanitaria senza precedenti: la pandemia dichiarata dall’rganizzazione Mondiale della Sanità nel marzo 2020, che colpisce tutti noi, in un modo o nell'altro.

A causa del diffondersi del COVID-19 sono stati emanati dal Governo una serie di provvedimenti restrittivi volti al contenimento dei contagi nei luoghi di lavoro, dapprima nelle aziende rimaste attive durante il lockdown e, di poi, in quelle che hanno ripreso l’ordinaria attività a far data dalla c.d. Fase2.

Ai fini di offrire una mappa ragionata della normativa emergenziale e districarsi tra i numerosi provvedimenti che si sono susseguiti in questo periodo per far fronte alla riorganizzazione del quotidiano lavorativo, si è ritenuto potesse essere di ausilio un breve elaborato, composto di 4 sezioni, con l’obiettivo di evidenziare i rischi penali in cui potrebbe incorrere il datore di lavoro in caso di contagio di un dipendente.

 

 

 

 

1) I primi interventi normativi emergenziali e l’equiparazione dell’infezione da Coronavirus ad un infortunio sul lavoro

Innanzitutto, si ricorda che il 14 marzo 2020 le Organizzazioni datoriali e sindacali hanno sottoscritto un Protocollo condiviso di regolamentazione della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro. Detto protocollo aveva lo scopo di fornire indicazioni operative finalizzate a incrementare, negli ambienti di lavoro, l’efficacia delle misure precauzionali di contenimento adottate per contrastare l’epidemia di COVID-19, un rischio biologico generico, per il quale occorreva prevedere misure specifiche per tutelare la salute dei lavoratori e garantire la salubrità dell’ambiente di lavoro. A questo primo protocollo è seguito quello del 24 aprile 2020 volto ad integrarlo al fine di coniugare in modo ancor più efficace la prosecuzione delle attività produttive con la garanzia di condizioni di salubrità e sicurezza degli ambienti di lavoro e delle modalità lavorative. Tra le modifiche aggiunte a quello precedente viene, infatti, prevista la possibilità di sospendere l’attività fino al rispristino delle condizioni di sicurezza. Con successivi provvedimenti entrambi i protocolli sono stati resi obbligatori ai fini della prosecuzione dell’attività aziendale rappresentando, dunque, le norme minime di base cui il datore di lavoro doveva attenersi per garantire la sicurezza all’interno dei luoghi ove si svolgevano le attività imprenditoriali.

Contestualmente a questi provvedimenti, il Governo ha emanato il c.d. Decreto Cura Italia (D.L. 18/20) stabilendo all’art. 42 comma 2 che: “nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS-CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all'INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell'infortunato”.

A fronte di tale disposizione, l’Inail, a sua volta, ha emanato una circolare il 3 aprile 2020, n. 13, precisando che: “La norma di cui al citato articolo 42, secondo comma, chiarisce alcuni aspetti concernenti la tutela assicurativa nei casi accertati di infezione da nuovo coronavirus (SARS-CoV-2), avvenuti in occasione di lavoro. In via preliminare si precisa che, secondo l’indirizzo vigente in materia di trattazione dei casi di malattie infettive e parassitarie, l’Inail tutela tali affezioni morbose inquadrandole, per l’aspetto assicurativo, nella categoria degli infortuni sul lavoro (…). In tale ambito delle affezioni morbose, inquadrate come infortuni sul lavoro, sono ricondotti anche i casi di infezione da nuovo coronavirus.

Ciò premesso, ne consegue che è stato chiaramente equiparato il caso di infezione da coronavirus in occasione di attività lavorative a un vero e proprio infortunio sul lavoro così provocando allarme e agitazioni nel mondo imprenditoriale ed una serie di polemiche incentrate sulle conseguenze del riconoscimento dell’infortunio da parte dell’Inail ai fini della responsabilità penale. Confindustria, infatti, ha sollecitato immediatamente delle precisazioni da parte dell’Inail nonché la necessità di prevedere una norma che circoscrivesse i limiti della responsabilità alla mancata adozione dei protocolli di emergenza in luogo del rinvio generico all’art. 2087 c.c. La previsione di cui all’art. 42 menzionato in combinata lettura con la circolare Inail ampliavano a dismisura la diligenza richiesta al datore di lavoro introducendo un’area di rischio di natura penale tutt’altro che definibile dovendo gestire un fattore di rischio poco conosciuto anche sotto il profilo medico con tutte le conseguenti difficoltà nel ricondurlo ad un livello accettabile per di più ricorrendo a regole cautelari “innominate”.

 


2) La responsabilità del datore di lavoro: il principio generale di cui all’art 2087 c.c. ed il D.lgs. n. 81/01

Calando tali premesse nell’ambito del quadro normativo di riferimento della responsabilità penale del datore di lavoro in caso di infortunio del dipendente per contagio ne è derivato dunque, il timore di una “iperpenalizzazione”. Sussiste, in particolare, una astratta possibilità per il datore di lavoro di incorrere nella responsabilità penale per i reati di lesioni personali gravi/gravissime (art. 590 c.p.) o di omicidio colposo (589 c.p.) qualora non siano state adottate le misure necessarie a prevenire il rischio di infezione dei lavoratori, cagionandone la malattia o la morte.

L’imprenditore, infatti, è titolare di una posizione di garanzia che discende dal disposto di cui all’art.2087 c.c. che gli impone di assumere le misure idonee a garantire la tutela dell’integrità fisica del lavoratore con la conseguenza che ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l’evento lesivo (in questo caso il contagio equiparato ad infortunio sul lavoro) a carico del lavoratore gli può essere addebitato in ragione del disposto di cui all’art. 40, comma 2 c.p. che equipara il mancato impedimento dell’evento alla condotta attiva idonea a cagionarlo.

La norma menzionata, art. 2087 c.c., contiene un principio generale, di cui la legislazione in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ovvero il D.lgs. n.81/08 costituisce applicazione specifica: la più recente giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, secondo un indirizzo costante, ritiene che la responsabilità dell'imprenditore per la mancata adozione delle misure idonee a tutelare l'integrità fisica del lavoratore “discende o da norme specifiche o, nell'ipotesi in cui esse non siano rinvenibili, dalla norma di ordine generale di cui all'art. 2087 c.c., costituente norma di chiusura del sistema antinfortunistico” (Cass. civ. sez. lav., n. 10145/2017).

Ne consegue che i reati menzionati di cui agli artt. 589 e 590 c.p. potrebbero essere aggravati proprio dalla violazione delle norme antinfortunistiche di cui al D.lgs. n. 81/08 menzionato. 

La colpa specifica, in via esemplificativa, potrebbe essere individuata in caso di omessa o insufficiente vigilanza sanitaria (art. 41 D.lgs. 81/08), o in relazione alla violazione dell’obbligo di effettuare la valutazione dei rischi (art. 17 D.lgs. 81/08) e, in particolare, della valutazione del rischio biologico (art. 271, Titolo V, D.lgs. 81/08).

Pertanto, in questo momento storico l'orientamento dovrebbe essere quello di prevedere quantomeno un allegato al DVR esistente, ovvero una relazione sulla valutazione del rischio biologico correlato all’improvvisa emergenza legata alla diffusione del virus SARS-CoV-2.

Il lavoro che implica contatto continuativo col pubblico, o con colleghi, tra i quali è probabile la presenza di soggetti contagiosi o, comunque, il cui stato di salute riguardo l'epidemia non è ragionevolmente verificato, espone il lavoratore ad un rischio biologico che attiene la posizione di garanzia del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c. e degli artt. 271 e 272 D.lgs. n. 81/2008.

Nello specifico, l’art. 272 dispone che “in tutte le attività per le quali la valutazione di cui all’articolo 271 evidenzia rischi per la salute dei lavoratori il datore di lavoro attua misure tecniche, organizzative e procedurali, per evitare ogni esposizione degli stessi ad agenti biologici”.

È importante precisare che le violazioni di tali obblighi sono punite con l’arresto o con l’ammenda anche a prescindere che si siano verificati infortuni o, come in questo caso, infezioni da Covid-19. 

Ciò premesso, è evidente, che il datore di lavoro investito degli obblighi citati, allorché non si attivi per impedire il contagio, pone in essere una condotta omissiva penalmente rilevante ai sensi dell’art. 40 comma 2 c.p. qualora sia possibile ravvisare un nesso di causalità tra la sua inerzia ed il contagio.

Nelle ipotesi menzionate dovrebbe, cioè, essere dimostrato in ogni caso che (i) il datore di lavoro non ha adottato le misure di prevenzione; (ii) che il contagio sia avvenuto nell’ambiente di lavoro - e non, ad esempio, presso il proprio domicilio o, ancora, nell’ambito della propria vita privata o sociale; (iii) che il contagio ha provocato l’infezione da cui sono derivate le lesioni o il decesso del dipendente (iiii) che l’evento era prevedibile ed evitabile.

 


3. I chiarimenti dell’Inail e l’art. 29 bis L. n. 40/2020

In tal senso si è pronunciata l’Inail che, con un comunicato stampa del 15 maggio 2020, ha precisato che “dal riconoscimento come infortunio sul lavoro non discende automaticamente l’accertamento della responsabilità civile o penale in capo al datore di lavoro” e che “il datore di lavoro risponde penalmente e civilmente delle infezioni di origine professionale solo se viene accertata la propria responsabilità per dolo o per colpa”.

Inoltre, i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail per gli infortuni sul lavoro sono differenti rispetto a quelli per il riconoscimento della responsabilità civile e penale del datore di lavoro che non si attivi nel rispetto delle norme a tutela della salute e sicurezza sul lavoro.

Tali responsabilità devono essere accertate rigorosamente, mediante la prova della colpa o del dolo del datore di lavoro, con criteri totalmente diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative Inail. Pertanto, il riconoscimento dell’infortunio da parte dell’Inail non assume alcun rilievo ai fini dell’accusa in sede penale, considerata la vigenza della presunzione di innocenza. E’ proprio l’Inail, inoltre, a sottolineare che spetta al pubblico ministero provare che (i) l’infortunio (in questo caso il contagio) sia avvenuto sul luogo di lavoro, (ii) a causa delle mancanze organizzative di chi aveva la responsabilità di tutelare la salute dei lavoratori. È necessario, pertanto, che venga provato il nesso di causalità tra la negligenza del datore di lavoro e il contagio stesso, attraverso il criterio della cosiddetta doppia inferenza.

A ciò si aggiunga che, con la circolare n. 22 del 20 maggio 2020, l’Inail ha definitivamente chiarito che: “la responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che nel caso dell’emergenza epidemiologica da Covid.19 si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governative del Decreto 16 maggio 2020, n. 33. Il rispetto delle misure di contenimento, se sufficiente ad escludere la responsabilità civile del datore di lavoro, non è certo bastevole per invocare la mancata tutela infortunistica nei casi di contagio da Sars-Cov-2, non essendo possibile pretendere negli ambienti di lavoro il rischio zero. Circostanza questa che ancora una volta porta a sottolineare l’indipendenza logico-giuridica del piano assicurativo da quello giudiziario”.

Nella medesima direzione di ridimensionamento dell'area di responsabilità, si muove anche il rapporto “Iniziative per il rilancio Italia 2020-22” del Comitato di esperti in materia economica e sociale nel quale si suggerisce di "escludere il 'contagio Covid-19' dalla responsabilità penale del datore di lavoro per le imprese non sanitarie" e viene sottolineato che "il possibile riconoscimento quale infortunio sul lavoro del contagio da Covid-19, anche nei settori non sanitari, pone un problema di eventuale responsabilità penale del datore di lavoro” e, per ridurre il rischio di responsabilità penale, è necessario considerare che  "l'adozione, e di poi l'osservanza, dei protocolli di sicurezza, predisposti dalle parti sociali (da quello nazionale del 24 aprile 2020, a quelli specificativi settoriali, ed eventualmente integrativi territoriali), costituisca adempimento integrale dell’obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087 del codice civile", evidenziandosi che "essendo la materia della sicurezza sul lavoro di competenza statale esclusiva, è la legislazione nazionale che deve prevedere questo meccanismo, a garanzia dell'uniformità su tutto il territorio nazionale di una disciplina prevenzionale". In questi termini, il datore che adempie all'obbligo di sicurezza, "non andrebbe incontro né a responsabilità civile né a responsabilità penale, pur in presenza di un eventuale riconoscimento da parte dell'Inail dell'infortunio su lavoro da contagio Covid-19".

Per rispondere all’esigenza avvertita dal mondo imprenditoriale e non solo il Governo ha, quindi, introdotto l’art. 29 bis con la L. n. 40/2020 riprendendo quanto già osservato nella circolare Inail menzionata e dalla task force prevedendo che "ai fini della tutela contro il rischio di contagio da Covid-19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’articolo 2087 del codice civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, nonché mediante l’adozione e il mantenimento delle misure ivi previste. Qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

Sul piano penale, a seguito della previsione di cui all’art. 29 bis citato, le prescrizioni del Protocollo del 24 aprile 2020 rappresentano, dunque, le regole cautelari modali alle quali fare riferimento per il pieno adempimento degli obblighi penali (ai fini delle azioni di contrasto al COVID-19) alle quali, ovviamente, si affiancano i dettami del D.lgs. n. 81/01.

Sembrerebbe, dunque, che la logica del rispetto delle regole cautelari propria del diritto penale trovino una maggiore certezza sebbene, pare doveroso rilevare, che residuerà pur sempre in sede di accertamento la valutazione dell’idoneità delle misure adottate dal datore di lavoro ed indicate nelle prescrizioni d’emergenza in modo generico tanto da dover essere calate in concreto, di volta in volta, nella realtà imprenditoriale interessata ed essere efficacemente attuate e mantenute nel tempo.

 


4) Conclusioni e osservazioni

Tutto ciò premesso, rammentando che l’onere della prova spetta al Pubblico Ministero, ne consegue che ai fini della configurabilità della responsabilità del datore di lavoro sia necessario accertare la sussistenza dei presupposti richiesti per i reati colposi di evento.  Pertanto, occorre che (i) non siano state adottate le misure previste dalle prescrizioni emergenziali nonché nel D.lgs. 81/08 (ovvero la sussistenza di una condotta antigiuridica omissiva del datore di lavoro); (ii) l’omissione del datore di lavoro, ovvero la mancata adozione di misure precauzionali in violazione dei dettati citati, sia eziologicamente ricollegabile al contagio o alla morte del lavoratore; (iii) il contagio abbia determinato l’insorgere dell’infezione da Coronavirus (da cui il reato di cui all’art. 590 c.p., ovvero, in caso di decesso, il più grave reato di cui all’art. 589 c.p.). Non solo. Dovrà essere, altresì, dimostrato che l’evento era prevedibile ed evitabile ovvero che il datore di lavoro adottando tutte le misure richieste a tutela del lavoratore avrebbe per lui potuto evitare il verificarsi della situazione di pericolo.


§§§


Il Covid-19 ha impattato ed impatta sulla sfera lavorativa, come del resto su quella privata, il presente documento vorrebbe, dunque, prefiggersi lo scopo – forse pretenzioso – e, comunque, l’obiettivo di innalzare il livello di attenzione e di prevenzione nella speranza di per potere offrire un seppur minimo supporto ad affrontare questa emergenza sanitaria responsabilmente.
 
avv. Cinzia Catrini
 

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