Diritto all’oblio. Strasburgo, la prima sentenza specifica


Pronuncia emessa il 28 giugno 2018 dalla CEDU, la prima specifica sul diritto all'oblio
Diritto all’oblio. Strasburgo, la prima sentenza specifica

 

Si tratta senz’altro della prima pronuncia specifica in materia di diritto all’oblio quella emessa il 28 giugno 2018 dalla Sezione Quinta della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

A differenza della Corte Europea di Giustizia, la Corte di Strasburgo non aveva sinora affrontato in maniera così diretta il tema del diritto all’oblio in una sua sentenza, sebbene il tema non fosse ignoto e figurasse già in qualche pronuncia.

I casi, in particolare, di WĘGRZYNOWSKI AND SMOLCZEWSKI c. POLONIA e FUCHSMANN c. GERMANIA non possono considerarsi di puro diritto all’oblio, mentre con M.L. ET W.W. c. GERMANIA la Corte dichiaratamente affronta proprio una questione totalmente incentrata su di esso.

IL CASO

Due persone sono ricorse alla Corte E.D.U. poiché figuravano su internet notizie di un omicidio per cui furono condannate in Germania molti anni prima.

Dopo aver esperito i vari rimedi previsti dalla giurisdiszione nazionale al fine di ottenere la rimozione dei contenuti ad esercizio del diritto all’oblio ed aver ottenuto esito negativo, i ricorrenti sono approdati a Strasburgo, denunciando la violazione dell’art.8 della Convenzione E.D.U., ovvero il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

La sentenza è molto corposa e sarà prevedibilmente oggetto di approfondita analisi da parte dei giuristi; in questa sede mi limito a segnalare i punti a mio avviso più rilevanti:

1) l’impostazione seguita è in parte quella di Bedat c. Svizzera (Grande Camera sull’art.10, caso estremamente noto e importante anche per i rinvii che riceve nella giurisprudenza della Corte) in cui in primo luogo viene in rilievo il contributo che gli articoli danno al pubblico dibattito sulla vicenda, la notorietà delle persone, il loro atteggiamento nei confronti della stampa, la forma e modalità con cui le notizie sono presentate;

2) dirimente appare il rilievo concernente il fatto che i due ricorrenti, avendo cercato reiteratamente di riaprire il loro caso con istanze di revisione, hanno spesso chiesto e ottenuto - di loro iniziativa - l’attenzione dei media, così dimostrando il fatto che l’esigenza sottesa al ricorso fosse assolutamente recessiva rispetto ai loro intenti;

3) viene dato risalto al fatto che gli articoli facessero parte dell’archivio storico dei giornali e che gli internauti non li potessero raggiungere se non con una ricerca nominativa; sul punto, la Corte precisa che, non avendo i ricorrenti esperito altri rimedi (di natura non giurisdizionale) volti ad ottenere la cancellazione dei loro nominativi dai motori di ricerca, la stessa non avrebbe potuto pronunciarsi, non spettandole chiaramente un vaglio su questioni ad essa non sottoposte.

Non essendo stata riscontrata nessuna violazione dell’art.8, la sentenza si conclude con il rigetto del ricorso.

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di Avv. Chiara Temeroli

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