Errore medico: chi paga?
Il risarcimento danni derivanti da cattiva pratica medica dopo la Legge Balduzzi

La richiesta di risarcimento danni derivanti da cattiva pratica medica è una delle questioni più attuali e diffuse del momento. Proprio nell’interesse e la diffusione di azioni risarcitorie dirette avverso aziende ospedaliere ed i medici che vi lavorano, ha indotto il legislatore recentemente ad intervenire.
Recentemente infatti la materia è stata interessata da una importante novella legislativa, con l’entrata in vigore del d.l. 158/2012 conv.in L. 189/2012. cd Legge Balduzzi, con cui ci si è posti il problema di inquadrare correttamente la questione della responsabilità medica alla luce della nuova disciplina.
In precedenza, la responsabilità civile da medical malpractice era stata costantemente ricondotta alla responsabilità contrattuale per inadempimento di cui all’art. 1218 cc., in combinato disposto con l’art. 1173 cc. che comportava l’applicazione di un regime di favore nei confronti del paziente, che aveva dieci anni per promuovere azione risarcitoria ed oneri probatori più facilitati.
L’interpretazione letterale dell’art. 3 della suddetta legge, invece, ha portato ad un cambio di rotta in materia, inducendo piuttosto a considerare la responsabilità del medico un’ipotesi di illecito aquiliano.
Più precisamente, per tutte le condotte non configurabili quali inadempimento di un contratto d’opera diverso da quello concluso con la struttura ospedaliera, la nuova disciplina imporrebbe di considerare la responsabilità di coloro che esercitano le professioni sanitarie sussumibile nell’art. 2043 cc, ovvero da responsabilità per illecito aquiliano.
Di conseguenza, perché tale responsabilità possa almeno sussistere, devono manifestarsi e dimostrarsi in giudizio tutti i presupposti dell’illecito extracontrattuale, ovvero la lesione del diritto, il danno ingiusto, il nesso causale tra condotta ed evento, dolo o colpa, il cui onere probatorio incombe sul danneggiato, mentre il termine prescrizionale passa dall’ordinario termine decennale a quello quinquennale.
Appare quindi evidente che svincolare la responsabilità dei professionisti dalle regole generali sull’adempimento delle obbligazioni, in ogni caso in cui il paziente non sia legato al professionista da un rapporto contrattuale, ha delle notevoli ricadute tanto sul piano teorico quanto sul piano pratico.
Un’altra importante modifica legislativa che ha interessato la materia è stata introdotta dal DL n.98/2013 (Decreto del fare) convertito con modificazioni nella L 98/2013 , che stabilisce che la mediazione è obbligatoria, oltre che nei casi di responsabilità medica, anche nei casi di responsabilità sanitaria, intesa come responsabilità degli esercenti professioni sanitarie ossia quelle controversie aventi ad oggetto il risarcimento del danno derivante da rapporti instaurati tra paziente e struttura sanitaria pubblica e privata.
Il legislatore prende atto ormai dell’evoluzione giurisprudenziale in materia e della sostanziale equiparazione, sotto il profilo della responsabilità nei confronti del paziente, fra la prestazione del medico e quella della struttura sanitaria, sul presupposto che il rapporto che si instaura tra il paziente e la struttura sanitaria (pubblica e privata) deve qualificarsi alla stregua di un contratto d’opera professionale.
Pertanto, anche la responsabilità dell’ente ospedaliero o clinico, dovendo considerarsi come disciplinata dalle norme che regolano la responsabilità professionale medica, è stata correlata alla disposizione di cui all’art. 2236 cc.
In questo modo, oltre alla classica responsabilità del medico quale prestatore d’opera intellettuale nei confronti del paziente vengono ricondotte nell’ambito della mediazione obbligatoria quelle fattispecie che attengono a prestazioni proprie delle strutture sanitarie inquadrate dalla giurisprudenza di legittimità nel cd rapporto da contatto sociale e nei contratti di spedalità.
Con il rapporto da contatto sociale si fa riferimento a tutti quei casi in cui l’ente ospedaliero risponde a titolo contrattuale per i danni subiti da un privato a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica da parte di un medico all’interno della struttura sanitaria,
In tale fattispecie, l’obbligazione del medico, ancorché non fondata su contratto e connotata dall’affidamento che il malato pone nella professionalità dell’esercente una professione protetta, ha natura contrattuale e tale natura viene individuata non con riferimento alla fonte dell’obbligazione, ma al contenuto del rapporto.
Per quanto attiene invece al contratto di spedalità si fa riferimento alle modalità di gestione e di organizzazione delle cure mediche ed alla circostanza che i servizi erogati dalla struttura sanitaria sono di fatto distinti ed ulteriori rispetto a quelli del personale medico.
La giurisprudenza di legittimità, nel delineare questa nuova figura contrattuale, ha messo in luce oltre alla principale prestazione di curare il paziente erogata dalla struttura sanitaria, anche tutta una serie di altre prestazioni (l’alloggio, l’alimentazione, gli impianti e le attrezzature cliniche le risorse umane sanitarie e non), che concorrono in modo complesso ed unitario a garantire il risultato finale e da cui possono derivare , nei confronti dei pazienti, responsabilità della struttura sanitaria che prescindono dall’attività del personale medico.
Recentemente infatti la materia è stata interessata da una importante novella legislativa, con l’entrata in vigore del d.l. 158/2012 conv.in L. 189/2012. cd Legge Balduzzi, con cui ci si è posti il problema di inquadrare correttamente la questione della responsabilità medica alla luce della nuova disciplina.
In precedenza, la responsabilità civile da medical malpractice era stata costantemente ricondotta alla responsabilità contrattuale per inadempimento di cui all’art. 1218 cc., in combinato disposto con l’art. 1173 cc. che comportava l’applicazione di un regime di favore nei confronti del paziente, che aveva dieci anni per promuovere azione risarcitoria ed oneri probatori più facilitati.
L’interpretazione letterale dell’art. 3 della suddetta legge, invece, ha portato ad un cambio di rotta in materia, inducendo piuttosto a considerare la responsabilità del medico un’ipotesi di illecito aquiliano.
Più precisamente, per tutte le condotte non configurabili quali inadempimento di un contratto d’opera diverso da quello concluso con la struttura ospedaliera, la nuova disciplina imporrebbe di considerare la responsabilità di coloro che esercitano le professioni sanitarie sussumibile nell’art. 2043 cc, ovvero da responsabilità per illecito aquiliano.
Di conseguenza, perché tale responsabilità possa almeno sussistere, devono manifestarsi e dimostrarsi in giudizio tutti i presupposti dell’illecito extracontrattuale, ovvero la lesione del diritto, il danno ingiusto, il nesso causale tra condotta ed evento, dolo o colpa, il cui onere probatorio incombe sul danneggiato, mentre il termine prescrizionale passa dall’ordinario termine decennale a quello quinquennale.
Appare quindi evidente che svincolare la responsabilità dei professionisti dalle regole generali sull’adempimento delle obbligazioni, in ogni caso in cui il paziente non sia legato al professionista da un rapporto contrattuale, ha delle notevoli ricadute tanto sul piano teorico quanto sul piano pratico.
Un’altra importante modifica legislativa che ha interessato la materia è stata introdotta dal DL n.98/2013 (Decreto del fare) convertito con modificazioni nella L 98/2013 , che stabilisce che la mediazione è obbligatoria, oltre che nei casi di responsabilità medica, anche nei casi di responsabilità sanitaria, intesa come responsabilità degli esercenti professioni sanitarie ossia quelle controversie aventi ad oggetto il risarcimento del danno derivante da rapporti instaurati tra paziente e struttura sanitaria pubblica e privata.
Il legislatore prende atto ormai dell’evoluzione giurisprudenziale in materia e della sostanziale equiparazione, sotto il profilo della responsabilità nei confronti del paziente, fra la prestazione del medico e quella della struttura sanitaria, sul presupposto che il rapporto che si instaura tra il paziente e la struttura sanitaria (pubblica e privata) deve qualificarsi alla stregua di un contratto d’opera professionale.
Pertanto, anche la responsabilità dell’ente ospedaliero o clinico, dovendo considerarsi come disciplinata dalle norme che regolano la responsabilità professionale medica, è stata correlata alla disposizione di cui all’art. 2236 cc.
In questo modo, oltre alla classica responsabilità del medico quale prestatore d’opera intellettuale nei confronti del paziente vengono ricondotte nell’ambito della mediazione obbligatoria quelle fattispecie che attengono a prestazioni proprie delle strutture sanitarie inquadrate dalla giurisprudenza di legittimità nel cd rapporto da contatto sociale e nei contratti di spedalità.
Con il rapporto da contatto sociale si fa riferimento a tutti quei casi in cui l’ente ospedaliero risponde a titolo contrattuale per i danni subiti da un privato a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica da parte di un medico all’interno della struttura sanitaria,
In tale fattispecie, l’obbligazione del medico, ancorché non fondata su contratto e connotata dall’affidamento che il malato pone nella professionalità dell’esercente una professione protetta, ha natura contrattuale e tale natura viene individuata non con riferimento alla fonte dell’obbligazione, ma al contenuto del rapporto.
Per quanto attiene invece al contratto di spedalità si fa riferimento alle modalità di gestione e di organizzazione delle cure mediche ed alla circostanza che i servizi erogati dalla struttura sanitaria sono di fatto distinti ed ulteriori rispetto a quelli del personale medico.
La giurisprudenza di legittimità, nel delineare questa nuova figura contrattuale, ha messo in luce oltre alla principale prestazione di curare il paziente erogata dalla struttura sanitaria, anche tutta una serie di altre prestazioni (l’alloggio, l’alimentazione, gli impianti e le attrezzature cliniche le risorse umane sanitarie e non), che concorrono in modo complesso ed unitario a garantire il risultato finale e da cui possono derivare , nei confronti dei pazienti, responsabilità della struttura sanitaria che prescindono dall’attività del personale medico.
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