I contratti di locazione al tempo del COVID 19
La recente situazione emergenziale ha evidenziato un problema di raccordo tra le aspettative “legittime” dei locatori e l’impossibilità oggettiva di pagamento del canone di locazione da parte dei conduttori, cui è stato vietato l’utilizzo dei locali commerciali per l’esercizio della loro attività.
Preliminarmente debbo rilevare che il nostro legislatore non ha assunto una posizione chiara e netta rispetto a questo rilevante problema, che involge moltissime attività commerciali, che ora sono chiuse, ma che anche in futuro molto probabilmente vedranno limitato il proprio business, atteso che le norme di contenimento che via via si stanno ipotizzando potrebbero ridurre l’afflusso di clienti in negozi, bar e ristoranti, palestre e centri commerciali.
Ci si sarebbe legittimamente attesi che il legislatore fosse intervenuto indicando come espressa causa di impossibilità temporanea, con riduzione del canone di locazione in misura anche importante, le norme restrittive e con diritto all’incasso del dovuto da parte del locatore soltanto quando la situazione sarebbe tornata alla normalità.
Non è nemmeno da escludere che queste attività vedranno diminuire i loro fatturati a causa di una contingenza economica che potrebbe durare fintantoché non sortiranno effetti le misure economiche di cui tanto si parla in questi giorni.
Si profila, quindi, la possibilità che il locatore ricorra al rimedio ordinario dello sfratto per morosità al fine di ottenere il possesso dell’immobile. E ciò con grave danno per il conduttore che, oltre a non poter esercitare la propria attività, potrebbe trovarsi costretto a subire lo sloggio nel caso in cui il Giudice lo ordini, a seguito dell’accoglimento delle istanze del locatore, convalidando lo sfratto.
Al fine di individuare un percorso logico giuridico che possa fondare le legittime eccezioni dei conduttori vale la pena soffermarsi sommariamente sulle norme che regolano l’inadempimento contrattuale applicabile in generale, ma applicabile anche alle locazioni.
Preliminarmente va evidenziato che il Legislatore, nella decretazione emergenziale, ha inserito due norme al fine di mitigare gli effetti negativi del lock-down.
La prima è quella dell’art. 65 del Dl. 18/2020 la quale riconosce agli esercenti che esercitano attività d’impresa colpiti dal lock-down che abbiano provveduto a pagare il canone di locazione di marzo, relativo agli immobili rientranti nella categoria catastale C/1, un credito d’imposta pari al 60% del canone pagato. Nei successivi decreti il Legislatore si è “dimenticato” di questa categoria economica, nulla prevendendo per i mesi futuri, quelli forse in cui più intensamente si manifesteranno gli effetti del lock-down.
La seconda è quella introdotta dall’art. 91 del citato decreto, la quale stabilisce che il debitore non sia mai responsabile, escludendo l’applicabilità delle norme di cui agli artt. 1218 e 1223 c.c., per ritardi o gli inadempimenti contrattuali derivanti dal rispetto delle misure di contenimento emanante dal Legislatore.
A completamento di quanto qui evidenziate, va precisato che la legge permette al conduttore di recedere dal contratto di locazione per mutate condizioni economiche che rappresentino gravi motivi. Infatti l’ultimo comma dell’art. 27 della L. 392/1978 prevede espressamente che Indipendentemente dalle previsioni contrattuali il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata, disciplina il cosiddetto recesso legale.
La giurisprudenza ha avuto modo di statuire che per gravi motivi si intendono fatti estranei alla volontà del conduttore, sopravvenuti alla conclusione del contratto e tali da impedirne la prosecuzione; ad esempio, la crisi finanziaria del conduttore, tale da non consentirgli di mantenere la locazione (Cass. 5803/2019). I motivi devono essere tali da rendere più gravosa, per il conduttore, la prosecuzione del contratto e la gravosità deve avere una connotazione oggettiva, che non si risolve in una valutazione unilaterale del conduttore sulla convenienza o meno di mantenere il rapporto. Pertanto, non costituisce grave motivo una ragione di convenienza economica, come aver trovato un immobile con un canone inferiore [1].
In applicazione di tali criteri, la sussistenza dei gravi motivi è stata ravvisata nel caso di congiuntura economica sia sfavorevole che favorevole all’attività di impresa sopravvenuta e oggettivamente imprevedibile al momento della stipula del contratto di locazione che abbia obbligato il conduttore rispettivamente a ridurre o ad ampliare la struttura aziendale in modo tale da rendergli oltremodo gravosa la persistenza del rapporto locativo in essere (Cass. 22 gennaio 2015, n.1206, in senso conforme anche Cass. 21 aprile 2010, n. 9443; Cass. 20 febbraio 2004, n. 3418; Cass. 10 dicembre 1996, n. 10980). I fatti, per essere tali da rendere oltremodo gravosa la prosecuzione del contratto, devono presentare una connotazione oggettiva [2].
Appare pertanto evidente che la congiuntura economica attuale, determinata dalle restrizioni dovute alle misure di contenimento, rappresenti un grave motivo che fonderebbe la domanda di recesso. Domanda, però, che spiegherebbe i propri effetti decorsi sei mesi dall’invio, ovvero quando potrebbe affacciarsi una ripresa economica, rimanendo medio tempore il conduttore obbligato a pagare il canone.
Questa soluzione non appare pertanto soddisfacente per permettere al conduttore di non “soffrire” in maniera pesante le conseguenze delle norme emergenziali.
Le due norme sopra citate non appaiono sufficienti per regolare le possibili controversie che potrebbero scaturire dai mancati pagamenti dei canoni di locazione.
La presente riflessione mira a indicare una possibile via di componimento delle controversie future, via che dovrà, a modesto avviso dello scrivente, tenere in considerazione le esigenze dei locatori da un lato, ma anche le possibilità dei conduttori, le cui attività attualmente sono inibite e che nell’immediato futuro potranno molto probabilmente aprire le loro attività in modo parziale e/o contingentato, con ricadute negative in termini di incassi e quindi di capacità economica.
Art. 1218 c.c. Responsabilità del debitore
Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
In merito alla citata norma, la giurisprudenza e la dottrina hanno statuito che il debitore è responsabile quando non esegue la prestazione dovuta ed esigibile, che non sia soggetta a condizione o termine, ovvero quando la esegue in modo inesatto o in ritardo, salvo che essa divenga impossibile per causa a lui non imputabile. L'impossibilità definitiva e non imputabile della prestazione estingue l'obbligazione e nei contratti a prestazioni corrispettive rende non dovuta la controprestazione. Facilmente, quindi, potremmo essere tentati di applicare al caso odierno questa norma, ma solo in casi particolari essa è applicabile al contratto di locazione.
Invero, soltanto in casi estremi la Giurisprudenza ha ammesso l’applicabilità tout court della norma qui citata, allorquando aveva statuito che il terremoto, quando incide sull'oggetto del contratto di locazione, nel senso che in conseguenza dell'evento sismico l'immobile venga a perdere, in modo non transitorio e senza possibilità di porvi rimedio con le normali opere di manutenzione, l'attitudine ad assicurarne il godimento, è causa idonea a provocare l'estinzione dell'obbligo del conduttore di corrispondere il canone (Cass. n. 3247/1981). Parimenti, in tema di responsabilità medico-chirurgica la ricorrenza di un fattore naturale può costituire causa esclusiva dell'evento pregiudizievole ove il danneggiante provi che lo stesso derivi da una circostanza a sé non imputabile (Cass. n. 12516/2016) oppure può avere un’efficienza concausale, tale da incidere sulla delimitazione del quantum del risarcimento (Cass. n. 10812/2019) [3].
Potrebbe andare pertanto esente da sanzione il conduttore che non adempia al proprio obbligo di pagare il canone poiché la propria attività è stata oggetto di restrizioni, se non addirittura di divieto.
Le restrizioni imposte dal Governo potrebbero configurarsi quali factum principis (da intendersi qui quale situazione originatasi da un ordine dell'autorità o da provvedimento autoritativo tale da rendere più difficile o financo impossibile la prestazione [pagamento del canone]. Poiché l'intervento dell'autorità esula dalla sfera di controllo del debitore, tale fatto non gli è imputabile, e quindi l'obbligazione si estingue senza che residuino conseguenze per lui negative).
Restano, però, da tenere in considerazione le obiezioni del locatore che si trova nella situazione di vedere il proprio immobile occupato dal conduttore che non paga il canone.
Invero, lo stesso potrebbe legittimamente invocare quella giurisprudenza che ha sempre negato che le obbligazioni pecuniarie divengano impossibili.
E sul punto si deve rammentare che la giurisprudenza ha sempre affermato che affinché l'impossibilità sopravvenuta della prestazione sia idonea a liberare il debitore, deve essere assoluta, ossia insuperabile, e oggettiva, ossia attinente alla prestazione in sé considerata. Nelle obbligazioni pecuniarie l'impotenza finanziaria del debitore non determina l'impossibilità della prestazione la quale per la Cassazione, ha sempre carattere soggettivo e non oggettivo, atteso che il denaro non viene mai oggettivamente a mancare, ma il conduttore non riesce a procurarsene per pagare il canone (ex multis, Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, Sentenza 15 novembre 2013, n. 25777 “In materia di obbligazioni pecuniarie, l’impossibilità della prestazione deve consistere, ai fini dell’esonero da responsabilità del debitore, non in una mera difficoltà, ma in un impedimento obiettivo ed assoluto che non possa essere rimosso, non potendosi ravvisare nella mera impotenza economica derivante dall’inadempimento di un terzo nell’ambito di un diverso rapporto”).
Allo stato pertanto soltanto il factum principis, unitamente ad altre norme, potrebbe aiutare a dirimere eventuali future situazioni di conflitto dovute al mancato pagamento del canone di locazione e di far proseguire i contratti di locazione, seppur con sacrifici da ambo le parti.
Art 1256 c.c. Impossibilità definitiva e impossibilità temporanea
L'obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile.
Se l'impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell'adempimento. Tuttavia l'obbligazione si estingue se l'impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell'obbligazione o alla natura dell'oggetto il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla.
La norma in questione ben può venire in aiuto del conduttore atteso che questi è sicuramente interessato a non perdere l’immobile in cui fino a poco tempo fa esercitava la propria attività, ora temporaneamente vietata. Ed invero a fronte di un inutilizzo, seppur non totale, dei locali lo stesso dovrà essere liberato dall’obbligo di pagare il canone di locazione.
L'impossibilità sopravvenuta della prestazione che non sia imputabile al debitore produce una duplice serie di effetti ossia la liberazione del debitore dalla responsabilità per inadempimento per un verso e l'estinzione dell'obbligo per altro verso [4].
Ove l'impedimento all'esecuzione della prestazione possa essere prevedibilmente eliminato con il decorso del tempo, l'impossibilità sarà temporanea. L'impossibilità temporanea può attenere tanto al comportamento dovuto dal debitore quanto all'obbligo di cooperazione sancito a carico del creditore; in entrambi i casi vale ad esonerare il debitore da responsabilità per il ritardo. Infatti, qualora la prestazione sia temporaneamente impossibile per causa non imputabile al debitore, questi è liberato dall'obbligo di risarcire i danni derivanti dal ritardo nell'adempimento.
Secondo la S.C. ove l'impossibilità non imputabile della prestazione sia temporanea, si determina soltanto la sospensione del contratto, naturalmente non oltre i limiti dell'interesse del creditore al conseguimento della prestazione, senza responsabilità del debitore per il ritardo nell'inadempimento (Cass. n. 1037/1995).
Tra le cause invocabili ai fini della richiamata “impossibilità della prestazione”, rientrano – per quanto qui di interesse – gli ordini o i divieti sopravvenuti dell’autorità amministrativa c.d. “factum principis”: si tratta, in concreto, di provvedimenti legislativi o amministrativi, dettati da interessi generali, che rendano impossibile la prestazione, indipendentemente dal comportamento dell’obbligato. In sintesi, trattasi di circostanza che funge da esimente della responsabilità del debitore a prescindere dalle previsioni contrattuali in essere.
Si badi, a tal proposito, che – secondo la migliore giurisprudenza – l’impossibilità nell’adempimento contrattuale non può essere invocata qualora il factum principis sia «ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, all’atto dell’assunzione dell’obbligazione» ovvero «rispetto al quale non abbia sperimentato tutte le possibilità che gli si offrivano per vincere o rimuovere la resistenza della pubblica amministrazione».
Nell’ipotesi, invece, di impossibilità temporanea, l’art. 1256 c.c. si limita ad escludere, finché detta impossibilità perdura, la responsabilità del debitore per il ritardo nell’adempimento. Pertanto, in via generale, il debitore, cessata la suddetta impossibilità, deve sempre eseguire la prestazione, indipendentemente da un suo diverso interesse economico che può, eventualmente, far valere sotto il profilo dell’eccessiva onerosità sopravvenuta [5].
Secondo la giurisprudenza, una volta cessata l'impossibilità temporanea, il debitore deve adempiere, indipendentemente da un proprio diverso interesse economico, che potrà eventualmente essere fatto valere sotto il profilo dell'eccessiva onerosità sopravvenuta (Cass. n. 956/1986).
Art. 1453 c.c. Risolubilità del contratto per inadempimento
Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l'altro può a sua scelta chiedere l'adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno.
La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l'adempimento; ma non può più chiedersi l'adempimento quando è stata domandata la risoluzione.
Dalla data della domanda di risoluzione l'inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione.
La norma fa espresso riferimento ai contratti con prestazioni corrispettive. La corrispettività si realizza quando, a fronte di un'obbligazione in senso tecnico, vi sia un'altra obbligazione che nel nostro caso equivale da una parte all’obbligo di permettere il pacifico e continuo godimento dell’immobile, così come contrattualmente stabilito, e dall’altro di pagare il canone.
Le prestazioni il cui inadempimento consente la risoluzione devono essere legate da un nesso sinallagmatico con altre prestazioni. Nel caso de quo il sinallagma [rapporto di interdipendenza tra prestazione e controprestazione in alcuni tipi di contratto] è funzionale, ovvero l'interdipendenza delle prestazioni sussiste nella fase di svolgimento del rapporto. Il sinallagma funzionale assume rilievo ai fini della risoluzione per inadempimento e per impossibilità sopravvenuta nonché legittima l'opponibilità dell'eccezione di inadempimento.
La norma in parola è applicabile al caso de quo, per cui il locatore ben potrebbe adire l’Autorità Giudiziaria per ottenere un provvedimento di rilascio dell’immobile il cui conduttore non adempia la propria obbligazione, salvo che questi eccepisca l’eccezione di inadempimento da parte del locatore, atteso che egli non ha potuto utilizzare l’immobile. Ipotesi di cui si dirà oltre.
Ritengo, per altro verso, non invocabile da parte del conduttore il richiamo al principio qui esposto accampando una sorta di inadempimento del locatore, atteso che questi non impedisce al conduttore di accedere all’immobile. Al conduttore è inibito soltanto l’esercizio della propria attività commerciale, divieto stabilito per legge, cui nemmeno il locatore può in qualche modo opporsi.
Art. 1455 c.c. Importanza dell'inadempimento
Il contratto non si può risolvere se l'inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra.
La risoluzione per inadempimento esige che l'inadempimento della prestazione sia di non scarsa importanza, ossia grave. A contrario, ove l'inadempimento sia di scarsa importanza, la domanda di risoluzione non può avere seguito. La non scarsa importanza dell'inadempimento costituisce un presupposto obiettivo per lo scioglimento del contratto e il parametro fondamentale della mancata attuazione dell'equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni.
In merito al requisito della gravità dell'inadempimento, la giurisprudenza ha affermato che questo sfugge alle regole di ripartizione dell'onere della prova, dovendo essere accertato d'ufficio dal giudice (Cass. n. 23148/2013; Cass. n. 16084/2007; Cass. n. 1507/1994; Cass. n. 3099/1987).
La giurisprudenza osserva altresì che il giudice deve tener conto di tutte le circostanze, oggettive e soggettive, dalle quali sia possibile desumere l'alterazione dell'equilibrio contrattuale (Cass. n. 15052/2018; Cass. n. 10995/2015). Segnatamente la gravità dell'inadempimento deve essere valutata avendo riguardo all'operazione complessiva sulla base di un duplice criterio (Cass. n. 4314/2016; Cass. n. 22346/2014; Cass. n. 21237/2012; Cass. n. 7083/2006; Cass. n. 5407/2006; Cass. n. 1773/2001; Cass. n. 3669/1995): in primo luogo il giudice, applicando un parametro oggettivo, deve verificare che l'inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell'economia complessiva del rapporto, in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all'altro contraente, sì da creare uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale — criterio oggettivo — (Cass. n. 6548/2010; Cass. n. 1708/2010; Cass. n. 3851/2008; Cass. n. 14034/2005); sotto altro profilo complementare al primo invece il giudicante deve considerare il comportamento di entrambe le parti, quali un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione ad opera dell'una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell'altra, che può, in relazione alla particolarità del caso, attenuare il giudizio di gravità nonostante la rilevanza della prestazione mancata o ritardata — criterio soggettivo — (Cass. n. 3954/2008; Cass. n. 9314/2007; Cass. n. 4982/2007). La gravità deve essere commisurata all'interesse che la parte adempiente aveva alla regolare esecuzione e non alla convenienza della domanda di risoluzione rispetto a quella di adempimento (Cass. n. 4022/2018). La valutazione della non scarsa importanza dell'inadempimento deve ritenersi implicita, ove l'inadempimento stesso si sia verificato con riguardo alle obbligazioni primarie ed essenziali del contratto (Cass. n. 22521/2011; Cass. n. 1227/2006). Anche nel caso di inadempimento parziale il giudizio sulla non scarsa importanza dell'inadempimento non può essere affidato solo alla rilevata entità della prestazione inadempiuta rispetto al valore complessivo della prestazione, costituendo questa soltanto uno degli elementi di valutazione (Cass. n. 3742/2006) [6].
Da quanto detto, appare chiaro che il Giudice, chiamato a decidere se l’inadempimento del conduttore abbia scarsa importanza, non potrà non rilevare che la situazione emergenziale ha reso impossibile per chiunque proseguire la propria attività, che il locatore, anche ove fosse venuto in possesso dell’immobile non avrebbe potuto trarne l’utilità sperata, atteso che le norme restrittive vietano a chiunque di muoversi e di incontrare persone. Inoltre data la situazione, anche ove il conduttore consegnasse spontaneamente l’immobile, non potrebbe liberarlo essendo inibite le attività di questo genere.
Quindi appare chiaro che il mancato pagamento del canone da parte del conduttore rivesta scarsa importanza per il locatore, atteso che nessuna utilità potrà ricavare dall’immobile fintantoché dura la situazione emergenziale, e anzi l’interesse delle parti potrebbe essere proprio quello di mantenere in vigore il contratto di locazione, per permettere una più veloce ripresa delle attività economiche stesse, quasi fosse un superiore interesse generale.
Art. 1460 c.c. Eccezione d'inadempimento
Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l'altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l'adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto.
Tuttavia non può rifiutarsi l'esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede.
Di fronte all'alterazione dell'equilibrio sostanziale degli interessi tra le parti la legge non ha previsto soltanto rimedi diretti a rimuovere il vincolo, ma ha anche improntato strumenti diretti a conservare tale equilibrio e a fungere al contempo da strumenti di pressione atti a promuoverne una possibile attuazione integrale nel futuro.
L'exceptio inadimpleti contractus è uno strumento di autotutela volto a paralizzare la pretesa avversaria nei contratti a prestazioni corrispettive. Essa può essere sollevata con questo scopo sia in via stragiudiziale sia in un giudizio contenzioso.
La S.C. sostiene che l'eccezione d'inadempimento è invocabile, oltre che per paralizzare la domanda di adempimento, anche al fine di escludere il diritto della controparte di far accertare e richiedere la risoluzione del contratto (Cass. n. 5933/2011; Cass. n. 4529/2001). Essa, anche se sollevata in buona fede, non ha effetti liberatori ma solo sospensivi (Cass. n. 8760/2019).
L'eccezione può essere sollevata anche nei confronti del contraente il cui inadempimento sia incolpevole, ossia nei casi di impossibilità temporanea non imputabile (BIGLIAZZI GERI, in Comm. S.B., 1988, 18; SACCO-DE NOVA, in Tr. Res., 1988, 528) [7].
Allo stato pertanto potrebbe aversi che il mancato utilizzo dei locali commerciali per fini imprenditoriali potrebbe essere sussunto sotto la fattispecie indicata nel caso de quo, e il conduttore può quindi eccepire l’inadempimento del locatore, inadempimento che può anche essere incolpevole, o avvenire per factum principis.
Tra le ragioni invocabili ai fini della richiamata “impossibilità della prestazione”, risultano peraltro ricompresi gli ordini o i divieti sopravvenuti dell’autorità denominati “factum principis”. Il “factum principis” è, infatti, identificato in un atto dell’autorità legislativa, amministrativa o giudiziaria, idoneo a incidere negativamente sull’esplicazione del rapporto obbligatorio. Provvedimenti legislativi o amministrativi, come pure giudiziari, scanditi da interessi generali, quali il rischio del diffondersi di un’epidemia, rendono impossibile la prestazione, a prescindere dalla condotta tenuta dal soggetto obbligato.
Il factum principis, più propriamente, è identificato in una circostanza che funziona quale esimente della responsabilità del debitore, autonomamente rispetto alle previsioni contrattuali in essere. La giurisprudenza ha tuttavia fornito variegate interpretazioni ma, ad ogni buon conto, secondo quella maggioritaria, l’impossibilità nell’adempimento negoziale non può essere invocata qualora il factum principis risulti “ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, all’atto dell’assunzione dell’obbligazione” ovvero “rispetto al quale non abbia sperimentato tutte le possibilità che gli si offrivano per vincere o rimuovere la resistenza della pubblica amministrazione” (Corte di Cassazione, Sez. III Civile, n. 14915 del 08 giugno 2018).
Più recentemente (Cassazione civ., Sez. III, Ordinanza 29 marzo 2019, n. 8766), e sempre in tema di risoluzione del contratto, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione è stata ritenuta configurabile qualora siano divenuti impossibili l’adempimento della prestazione da parte del debitore, ovvero l’utilizzazione della stessa ad opera della controparte, purché tale impossibilità non risulti imputabile al creditore ed il suo interesse a ricevere la prestazione medesima sia venuto meno, dovendosi in tal caso prendere atto che non può più essere conseguita la finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto, con la conseguente estinzione dell’obbligazione.
In applicazione del riportato principio, la III Sezione Civile ha rigettato il ricorso proposto avverso la sentenza che aveva ritenuto il debitore liberato dalla prestazione divenuta impossibile (la rappresentazione di un’opera lirica all’aperto che, pur dopo l’esecuzione del primo atto, era stata interrotta a causa di gravi avverse condizioni atmosferiche) con esclusione per la parte liberata della possibilità di chiedere la controprestazione ed obbligo di restituzione di quella già ricevuta. Più in generale, va ribadito, che la liberazione del debitore per sopravvenuta impossibilità della sua prestazione può verificarsi, in virtù della previsione contenuta agli articoli 1218 e 1256 c.c., solo se, ed in quanto, concorrano due elementi:
• quello obiettivo della impossibilità di eseguire la prestazione medesima, in sé considerata
• quello soggettivo dell’assenza di colpa da parte del debitore riguardo alla determinazione dell’evento che ha reso impossibile la prestazione.
Consegue che, nell’ipotesi ove la parte debitrice non abbia adempiuto la propria obbligazione nei modi e nei tempi statuiti negozialmente, secondo l’indirizzo ermeneutico sopra riportato, la stessa non appare legittimata ad invocare l’impossibilità sopravvenuta con riferimento ad factum principis (ordine o divieto dell’autorità) sopravvenuto, il quale risultasse ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, all’atto della assunzione della obbligazione, ovvero rispetto al quale non abbia, sempre nei limiti contrassegnati dal criterio della ordinaria diligenza, testato tutte le possibilità che aveva a propria disposizione per vincere, ovvero rimuovere, la resistenza o il rifiuto della pubblica autorità [8].
Da quanto riportato, il factum principis potrebbe prima facie apparire meglio configurabile quale esimente ai sensi dell’art. 1256 c.c., al fine di mandare esente il debitore da responsabilità per mancato adempimento.
A parere dello scrivente però, ciò non impedirebbe al locatore di chiedere e ottenere lo sfratto per morosità, mentre considerare i provvedimenti restrittivi quali ipotesi di inadempimento, seppur incolpevole, del locatore, permetterebbe di mantenere in vigore tra le parti il contratto di locazione e al contempo inibire la richiesta di pagamento dei canoni medio tempore maturati.
In merito ai contratti di locazione, L’’exceptio non rite adimpleti contractus’, di cui all’art. 1460 cod. civ., postula la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, da valutare non in rapporto alla rappresentazione soggettiva che le parti se ne facciano, ma in relazione alla oggettiva proporzione degli inadempimenti stessi, riguardata con riferimento all’intero equilibrio del contratto ed alla buona fede; ne consegue che il conduttore, qualora abbia continuato a godere dell’immobile, per quanto lo stesso presentasse vizi, non può sospendere l’intera sua prestazione consistente nel pagamento del canone di locazione, perché così mancherebbe la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, potendo giustificarsi soltanto una riduzione del canone proporzionata all’entità del mancato godimento, applicandosi, per analogia, i principi dettati dall’art. 1584 cod. civ. (Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 7 marzo 2001, n. 3341).
E più recentemente la Suprema Corte ha statuito che in tema di locazione di immobili, sebbene il pagamento del canone costituisca la principale e fondamentale obbligazione del conduttore, la sospensione parziale o totale dell'adempimento di tale obbligazione, ai sensi dell'art. 1460 c.c., può essere legittima non solo quando venga completamente a mancare la prestazione della controparte, ma anche nell'ipotesi di inesatto inadempimento, purchè essa appaia giustificata in relazione alla oggettiva proporzione dei rispettivi inadempimenti, riguardata con riferimento all'intero equilibrio del contratto e all'obbligo di comportarsi secondo buona fede. Deve quindi escludersi la gravità dell'inadempimento del conduttore, ai fini della pronuncia di risoluzione del contratto per fatto a lui imputabile, ove in tali evenienze egli abbia riportato danni e sia stato costretto all'esborso di somme al fine di rendere l'immobile utilizzabile per l'uso convenuto. (In applicazione del suesteso principio, la S.C. ha rigettato il ricorso proposto dal locatore, che lamentava l'erroneità della decisione di merito nella parte in cui aveva ritenuto correttamente sollevata l'eccezione di inadempimento da parte del conduttore, che aveva rifiutato il pagamento dei canoni, pur mantenendo la detenzione dell'immobile, anche in relazione ad un periodo in cui egli non aveva potuto esercitarvi la prevista attività di ristorazione).
Cassazione, Sezione 3 civile, Ordinanza 22 settembre 2017, n. 22039.
Art. 1464 c.c. Impossibilità parziale
Quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l'altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all'adempimento parziale.
Ai sensi della norma de quo, qualora l'impossibilità sopravvenuta non imputabile della prestazione sia solo parziale, non si produce l'effetto risolutivo in via automatica. Piuttosto, in conseguenza della modificazione del fondamento originario dell'attribuzione patrimoniale, la norma riconosce alla controparte una facoltà di scelta: rimanere vincolata al rapporto, esercitando il diritto ad una corrispondente riduzione della prestazione cui è tenuta, ove ricorra comunque un suo interesse significativo a mantenere in vita il contratto.
Potrebbe essere sussunto all’interno di questa fattispecie il fatto che i locali commerciali fungono in questo momento quali meri depositi dei beni ivi contenuti. Ed, infatti, se per ragioni amministrative, non è possibile utilizzare il negozio/bar, l’utilità dello stesso risulta essere soltanto quella di un deposito. Ma un locale destinato a deposito non offre la stessa remuneratività di un locale adibito ad attività commerciale. Ecco, quindi, potrebbe aversi impossibilità parziale atteso che il conduttore non utilizza l’immobile a fini imprenditoriali.
Anche l'impossibilità sopravvenuta parziale ricorre solo qualora la circostanza sopravvenuta, la quale deve rivestire i caratteri della assolutezza e dell'oggettività, non sia prevedibile al momento della conclusione del contratto (Cass. n. 4016/2004).
Si ritiene che nel concetto di impossibilità parziale cui si riferisce la norma rientri anche l'impossibilità di una frazione temporale della prestazione impossibilità parziale ratione temporis.
L'impossibilità parziale non determina in alcun caso l'estinzione dell'obbligazione e non produce conseguentemente la risoluzione del contratto, potendo invece il creditore ottenere in via alternativa o la riduzione della prestazione o, recedendo dal contratto, la totale liberazione dalla propria obbligazione (MIRABELLI, in Comm. Utet 1984, 647).
Il contraente la cui prestazione è divenuta parzialmente impossibile non ha invece alcun potere d'iniziativa, rimanendo obbligato, nei limiti in cui la prestazione è ancora possibile, ad effettuare l'adempimento parziale. Da ciò ne deriverebbe che il locatore non potrebbe far altro che accettare la riduzione del canone, atteso che è la sua prestazione, quella di mettere a disposizione un locale commerciale, è venuta meno, seppur per fatto incolpevole.
L'impossibilità parziale non ricorre solo con riferimento all'aspetto materiale della prestazione, bensì anche come riduzione del suo valore economico-giuridico (Trib. Lucera 9 gennaio 1980).
La prima opzione che compete al creditore insoddisfatto consiste nella formulazione della richiesta di riduzione della controprestazione, la quale si riduce nella stessa misura in cui si è ridotta la prestazione attinta dall'impossibilità sopravvenuta.
In proposito si afferma che la riduzione della controprestazione è una forma di rettifica che non ha carattere eccezionale in quanto risponde al principio di conservazione del contratto. Ipotesi simile a quella dell'impossibilità parziale è quella del sopravvenuto deterioramento della cosa dovuta. Anche in questo caso il creditore può conservare un apprezzabile interesse all'adempimento, giustificandosi l'applicazione analogica della regola dettata per l'impossibilità parziale (BIANCA, 1994, 374). Qualora il creditore accetti la prestazione ridotta, acquista il diritto ad eseguire in misura proporzionalmente ridotta anche la propria controprestazione, senza necessità di ricorrere al giudice, il cui intervento si rende necessario solo se sorge contestazione (Cass. n. 6299/1987).[9]
A parere dello scrivente quindi, ben potrà il conduttore invocare l’impossibilità parziale al fine di veder ridotte le pretese creditorie del locatore.
Anche la Giurisprudenza relativa specificatamente ai contratti di locazione ha, seppur con notevoli limitazioni, previsto che il conduttore possa opporre l’eccezione di inadempimento.
La Suprema Corte in numerose pronunce emesse con riguardo a fattispecie litigiose riconducibili alla locazione tanto di immobile adibito ad uso abitativo quanto di quello adibito ad uso diverso ha sempre negato che il conduttore possa autoridursi il canone.
L’autoriduzione e/o la sospensione della prestazione sinallagmatica – secondo il principio ‘inadimplenti non est adimplendum’ che stabilisce l’obbligo di pagamento del canone è ammessa quando sia configurabile un sopravvenuto difetto funzionale della causa del contratto per impossibilità sopravvenuta di adempimento della controprestazione, nel qual caso per essere legittima, deve essere conforme a lealtà e buona fede.
Tale ultima ipotesi è da escludere se il conduttore continua a godere dell’immobile, e, al momento in cui gli è chiesto il pagamento del canone, assume l’inutilizzabilità del bene all’uso convenuto: in tal modo, infatti, egli fa venir meno la proporzionalità tra le rispettive prestazioni.
In tal caso, come precisato, per conformare il suo comportamento a buona fede, il conduttore può soltanto chiedere una riduzione del canone proporzionata all’entità del mancato godimento, in analogia al disposto dell’art. 1584 cod. civ. (applicazione del principio dell’art. 1464 cod. civ.) per la diminuita utilizzabilità economica del bene a causa delle riparazioni su di esso, ovvero può chiedere la risoluzione del contratto per sopravvenuta carenza di interesse [10].
Appare pacifico che nella situazione odierna il conduttore non sta utilizzando gli immobili locati e appare altresì evidente che l’uso che ne viene fatto è addirittura parzialmente diverso da quello contrattualmente stabilito (si può legittimamente affermare che attualmente gli immobili commerciali sono utilizzati al solo scopo di stoccaggio della merce e degli arredi).
Sul punto la giurisprudenza statuiva: In relazione ai contratti di locazione di immobili urbani, qualora l’immobile locato venga a versare, anche se non per colpa del locatore, in condizioni tali da non consentire il normale godimento del bene in relazione alla sua destinazione contrattuale, (nel caso di specie, le infiltrazioni di umidità derivanti dalle fatiscenti tubature condominiali avevano reso l'immobile almeno in parte inagibile), il conduttore convenuto in giudizio per il pagamento dell'intero canone, se non può validamente opporre l'eccezione di inadempimento, ha comunque diritto ad ottenere una riduzione del canone, proporzionale alla riduzione dell'utilità che il conduttore consegue, a causa del limiti esistenti al pieno godimento del bene come contrattualmente previsto. Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 27 febbraio 2004, n. 3991.
Non v’è chi non veda che il caso del COVID 19 è diverso rispetto a quello, e ad altri, qui delineato, ma la mancanza di casi concreti uguali a quello trattato impone di applicare i principi dell’ermeneutica per fornire una soluzione che tiene in considerazione tanto gli interessi dei locatori quanto quelli dei conduttori, forse oggi i più danneggiati dall’emergenza.
Art. 1467 c.c. Contratto con prestazioni corrispettive
Nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall'articolo 1458.
La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell'alea normale del contratto.
La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.
L'istituto della risoluzione per eccessiva onerosità riguarda i soli contratti con prestazioni corrispettive a esecuzione continuata o periodica o differita.
Nell'ambito indicato tale ipotesi di risoluzione del contratto presuppone un'alterazione dell'equilibrio patrimoniale fra le prestazioni (BOSELLI, 334), dovuta all'eccessiva onerosità sopravvenuta dell'una o alla diminuzione del valore originario dell'altra (SACCO-DE NOVA, in Tr. Res., 1988, 541). Sul punto si contrappongono due criteri proposti per la valutazione di tale squilibrio sopravvenuto, entrambi di natura dinamica: un criterio di comparazione del sinallagma e un criterio di comparazione della prestazione. In base al primo criterio l'eccessiva onerosità deve essere valutata raffrontando l'equilibrio iniziale tra le prestazioni con l'alterazione successivamente intervenuta (TARTAGLIA, 164). In ragione del secondo criterio il confronto deve avvenire sulla base della prestazione dovuta, verificando il mutamento di valore che essa subisce tra il momento della conclusione del contratto e quello dell'adempimento, nonché assumendo il valore monetario della prestazione come unità di misura dell'intervenuta sproporzione (GAMBINO, Eccessiva onerosità della prestazione e superamento dell'alea normale del contratto, in Riv. dir. comm., 1960, I, 416; CARRESI, in Tr. C. M., 1987, 981), sicché non avrebbe alcun rilievo lo svilimento della controprestazione. Comunque la sproporzione è irrilevante qualora intervenga dopo l'adempimento della prestazione (TARTAGLIA, 163). Essa deve essersi determinata successivamente alla stipulazione del contratto, ma può derivare anche da eventi anteriori alla stipulazione, le cui conseguenze, straordinarie e imprevedibili, si verifichino nel periodo di esecuzione del contratto (TARTAGLIA, 163). Può agire per richiedere la risoluzione solo la parte che non abbia ancora eseguito la prestazione divenuta eccessivamente onerosa (TARTAGLIA, 171) e che non sia inadempiente (BOSELLI, 335) o non abbia dato causa al verificarsi dell'evento o non abbia concorso ad aggravare la propria posizione debitoria (BIANCA, 1994, 387; MIRABELLI, in Comm. Utet, 1984, 656). In ogni caso l'eccessiva onerosità non giustifica la sospensione dell'adempimento (MIRABELLI, in Comm. Utet, 1984, 660), né può essere fatta valere come eccezione nel giudizio promosso dalla controparte (BOSELLI, 336; BIANCA, 1994, 397). La pronuncia giudiziale di risoluzione per eccessiva onerosità ha natura costitutiva (BIGLIAZZI GERI-BRECCIA-BUSNELLI-NATOLI, 885; SACCO, in Tr. Vas., 1975, 1001).
La giurisprudenza puntualizza che l'eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, per poter determinare la risoluzione del contratto, richiede la sussistenza di due necessari requisiti: da un lato, un intervenuto squilibrio tra le prestazioni, non previsto al momento della conclusione del contratto, dall'altro, la riconducibilità dell'eccessiva onerosità sopravvenuta ad eventi straordinari ed imprevedibili, che non rientrano nell'ambito della normale alea contrattuale (Cass. n. 22396/2006).
La parte contro cui è richiesta la risoluzione per eccessiva onerosità può evitare la relativa pronuncia mediante un'offerta di equa modifica delle condizioni contrattuali, volta a ristabilire l'equilibrio turbato dall'avvenimento straordinario e imprevedibile che ha causato l'eccessiva onerosità. In questo senso, la parte avversa, rispetto a quella che vanta l'interesse a richiedere la risoluzione, è titolare di un diritto potestativo di rettifica del contenuto contrattuale. La rettifica, per converso, non può essere pretesa dalla parte che risente il pregiudizio per effetto dell'integrazione dell'avvenimento straordinario e imprevedibile.
Ai fini dell'integrazione dei presupposti della risoluzione per eccessiva onerosità assume rilievo ogni avvenimento il cui rischio non è stato assunto nel contratto, in quanto ritenuto improbabile secondo la valutazione compiuta dalle parti al momento della conclusione del contratto stesso (MIRABELLI, in Comm. Utet, 1984, 657). La giurisprudenza sostiene che il carattere della straordinarietà è di natura oggettiva, qualificando un evento in base all'apprezzamento di elementi, quali la frequenza, le dimensioni, l'intensità, suscettibili di misurazioni (e quindi tali da consentire attraverso analisi quantitative classificazioni quanto meno di carattere statistico), mentre il carattere dell'imprevedibilità ha fondamento soggettivo, facendo riferimento alla fenomenologia della conoscenza (Cass. n. 22396/2006; Cass. n. 2661/2001) [11].
Appare pacifico che l’emergenza COVID19 possa configurarsi quale elemento straordinario e imprevedibile, tale da rispecchiare le caratteristiche richieste dalla giurisprudenza per poter fondare la domanda di risoluzione per eccessiva onerosità.
Domanda a cui il locatore potrà rispondere offrendo un adeguamento del prezzo, ma potrebbe senza alcun problema rifiutare la rinegoziazione, determinando con ciò la risoluzione del contratto.
Questa possibilità a mio avviso potrà essere percorsa nel momento in cui, il canone di locazione dovesse risultare troppo gravoso in ragione delle mutate condizioni economiche.
Art. 2041 cc – Azione generale di arricchimento
La disposizione in parola, quale rimedio alternativo e sussidiario a quelli sinora esposti, afferma che “Chi senza una giusta causa si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale”.
La causa giuridica che assiste il contratto di locazione si individua correttamente nello scambio tra il godimento di un bene (che deve essere garantito dal locatore ai sensi dell’art. 1575 c.c.) e il pagamento di un canone.
La causa del contratto, così individuata, soffre un’alterazione funzionale nel momento in cui, come nel caso che attualmente ci interessa, una delle parti del rapporto resti di fatto privata dell’utilità rinvenibile dal rapporto contrattuale.
Si pone dunque un ultimo rimedio a favore del conduttore che, privato del godimento del bene, paghi suo malgrado i canoni di locazione.
Quest’ultimo, nel caso in cui i rimedi sopra evidenziati non trovino il favore del decidente, potrà invocare la tutela sussidiaria dell’azione generale di arricchimento al fine di recuperare quanto ingiustamente corrisposto: deve ritenersi, infatti, che le disposizioni restrittive delle basilari libertà costituzionalmente riconosciute, adottate in relazione all’emergenza pandemica, siano tali da provare di una giusta causa la dazione di denaro da parte del conduttore, il quale, qualora l’abbia corrisposta, potrà tentarne il recupero in via giudiziale.
Conclusioni
Dalla lettura delle norme, appare chiaro che non vi è una disciplina applicabile al caso del quo, per cui le norme adottabili vanno ricercate ed estrapolate attraverso un’indagine ermeneutica e giurisprudenziale su casi analoghi.
Nella situazione contingente appare legittimo, seppur con le dovute cautele, sospendere il pagamento del canone di locazione, atteso che il conduttore non sta, per fatto incolpevole, utilizzando gli immobili locati.
Lo stesso potrà ai sensi dell’art. 1256, c.1, c.c. in combinato disposto con le altre norme citate, comunicare al locatore l’impossibilità ad eseguire il pagamento atteso che l’immobile non è utilizzabile per gli scopi cui era destinato.
Ove il locatore dovesse adire l’autorità giudiziaria per ottenere il rilascio dell’immobile, il conduttore ben legittimamente potrà eccepire l’impossibilità temporanea, art. 1256, c.2, c.c., determinata dai provvedimenti restrittivi per inibire eventuali richieste, per cui non sarà tenuto al pagamento del canone fintanto che dura la situazione emergenziale, e in subordine eccepire l’inadempimento ex art. 1460 c.c., per fatto incolpevole del locatore, non potendo il conduttore esercitare la propria attività imprenditoriale. E ciò al fine di evitare la domanda di risoluzione del rapporto contrattuale.
Una volta stabilizzata la situazione, il conduttore potrà chiedere la rinegoziazione del canone di locazione, anche per un determinato periodo, atteso che se le misure restrittive che impongono accessi contingentati, dovessero rimanere per un lungo periodo, i locali commerciali, pur aperti, non godrebbero più degli stessi introiti, tali da permettere il pagamento del canone così come concordato.
In ogni caso il conduttore, in via preventiva o per resistere alle domande di pagamento, potrà chiedere, ai sensi dell’art. 1464 c.c., una riduzione del canone atteso il mancato godimento totale del bene locato. Riduzione che potrebbe essere più rilevante nel periodo di chiusura totale, per essere poi meno marcata. In questo caso, entrambe le parti sopporterebbero i risvolti negativi causati dalle chiusure forzate delle attività commerciali.
Resta in ogni caso, a parere dello scrivente, applicabile la norma dell’art. 91 citato per cui il conduttore moroso non sarà ritenuto responsabile, ai sensi degli art. 1218 e 1223 c.c., del mancato pagamento dei canoni.
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[1] Altalex, Contratto di locazione ad uso commerciale, https://www.altalex.com/guide/locazioni-uso-commerciale#par9
[2] Avigliano L. (a cura di),Istituto del recesso legale per gravi motivi a favore del conduttore, Plusplus24,
[3] De Jure (Banca Dati Giuffrè Francis Lefebvre) Codice Civile Commentato, Art. 1218.
[4] De Jure, (Banca Dati Giuffrè Francis Lefebvre) Codice Civile Commentato, Art. 1256.
[5] Gianluigi delle Cave, Coronavirus e inadempimento contrattuale, Altalex, 28.02.2020
[6] De Jure, (Banca Dati Giuffrè Francis Lefebvre) Codice Civile Commentato, Art. 1455.
[7] De Jure, (Banca Dati Giuffrè Francis Lefebvre) Codice Civile Commentato, Art. 1460.
[8]L. Biarella (a cura di) La sorte dei contratti al tempo del Covid 19, Questioni risolte – Contratti, Plusplus24 Diritto.
[9] De Jure, (Banca Dati Giuffrè Francis Lefebvre) Codice Civile Commentato, Art. 1464.
[10] Cacciafava Federico (a cura di), Locazioni – Obbligazioni del conduttore – Canone, Percorso di giurisprudenza – Immobili e condominio , Plusplus24 Diritto
[11] De Jure, (Banca Dati Giuffrè Francis Lefebvre) Codice Civile Commentato, Art. 1467
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