Il danno da infedeltà coniugale è risarcibile, ma deve essere provato


La violazione dell'obbligo di fedeltà coniugale può tradursi in un danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., alla salute, all’onore o alla dignità dell’altro coniuge
Il danno da infedeltà coniugale è risarcibile, ma deve essere provato

La prospettiva della colpa ha ormai da molto tempo abbandonato il terreno del diritto di famiglia in materia di separazione e divorzio, lasciando ampio spazio a forme di tutela economico – patrimoniale, anche risarcitoria, costituite, rispettivamente, dall'addebito, che esonera il coniuge che abbia subito la condotta posta in essere dall’altro, quale causa della rottura del legame matrimoniale, e dal risarcimento del danno subito, ciò anche a prescindere dalla pronuncia di addebito.

Sotto il primo profilo, la sanzione dell’addebito priva il coniuge che l’abbia subita della possibilità di richiedere il mantenimento spettante in misura pari al tenore di vita goduto in costanza di convivenza coniugale, mantenendosi la sola opzione di un contributo c.d. di sussistenza a favore del coniuge sanzionato il quale si trovi ad essere privo della possibilità di lavorare per ragioni legate all’età o per motivi si salute.

Ed il coniuge cui sia stata addebitata la separazione perde anche i diritti successori, non potendo assumere la qualità di erede salva, anche qui, la possibilità, ex art. 548 cod. civ., di un «un assegno vitalizio se al momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto», assegno «commisurato alle sostanze ereditarie e alla qualità e al numero degli eredi legittimi» comunque di entità «non superiore a quella della prestazione alimentare goduta. La medesima disposizione si applica nel caso in cui la separazione sia stata addebitata ad entrambi i coniugi».

Un secondo profilo di rilevante tutela è, come detto, quello risarcitorio, per equivalente economico, del danno non patrimoniale, avuto riguardo, pur in mancanza di una pronuncia di addebito, a condotte tradottesi in una lesione della salute, dell’onore o della dignità stessa dell’altro coniuge.

E la Corte di Cassazione con sentenza in data 18 novembre 2020 ha recentemente ricordato come vi sia un principio «di diritto acquisito nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui la natura giuridica del dovere di fedeltà derivante dal matrimonio implica che la sua violazione non sia sanzionata unicamente con le misure tipiche del diritto di famiglia, quale l'addebito della separazione, ma possa dar luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ex art 2059 c.c., senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia a ciò preclusiva, "sempre che (tuttavia) la condizione di afflizione indotta nel coniuge superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, quale, in ipotesi, quello alla salute o all'onore o alla dignità personale" (vd. Cass. n. 6598 del 2019; anche n. 18853 del 2011)».

L’art. 2059 del codice civile, richiamato dalla Suprema Corte di legittimità, stabilisce che «il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge» e quello prodottosi nella sfera giuridica di chi abbia subito condotte lesive dell’equilibro psicofisico o della propria dignità certamente rientra in questa categoria di riferimento [Corte Cost., 27.10.1994, n. 372 e Cass., sez. U., 11.01.2008, nn. 576, 581, 582, 584 in tema di danno – conseguenza], avuto riguardo al dovere che il coniuge ha di rispettare e preservare i beni costituzionalmente garantiti dell'altro mediante, per quanto attiene allo specifico tema in oggetto, l’obbligo di fedeltà ed al fatto che il mancato rispetto di questi obblighi costituisce un inadempimento a tutti gli effetti ivi incluso quello del diritto al risarcimento del danno, il quale deve essere allegato e provato dal danneggiato, secondo la regola generale dell’art. 2697 c.c., secondo il quale «Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento».

L’onere della prova costituisce elemento di bilanciamento nell'economia del processo ed espressione della natura di quest’ultimo come strumento volto a garantire, per tutti coloro che vi prendano parte, il rispetto dei diritti fondatamente vantati, ed è per questa ragione che la Corte d’Appello di Salerno, nel caso successivamente trattato dalla Cassazione ricordata, ha correttamente deciso, con sentenza del 15 maggio 2018, per il «rigetto della domanda risarcitoria per non» essere stato «provato il danno ingiusto e il nesso causale con una condotta illecita della moglie, non riscontrabile nella sola infedeltà coniugale, essendo la dedotta depressione di cui» il marito «soffriva riferibile alla separazione in sé piuttosto che al tradimento della moglie».

 

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di Giuseppe Mazzotta

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