Intervento medico e danni causati dal paziente


Paziente lede la mano dell'infermiera durante un intervento odontoiatrico, sentenza cassata per carenza di prova della colpa
Intervento medico e danni causati dal paziente
Il fatto - Nel gennaio 2007 una citazione civile per risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c.. riferiva un evento accaduto quattro anni prima all'attrice, assistente di medico dentista.
La convenuta, paziente, stava subendo la terza anestesia per l'estrazione della radice d'un dente e le avrebbe stretto la mano in modo tale da procurarle lesioni così gravi da pregiudicare la sua capacità di lavoro.
In rapporto a tale fatto l'attrice chiedeva il ristoro dei danni biologici e patrimoniali subiti dalla paziente convenuta.
I gradi di merito - Il Tribunale, esperiti interrogatorio formale della paziente, consulenza tecnica e sentiti i testimoni, aveva respinto la domanda, ritenendo che il danno non fosse stato causato dal fatto rappresentato.
Ma l'attrice era ricorsa in appello e la Corte di merito, nominato un perito, aveva accertato lesioni compatibili e la convenuta era stata condannata a risarcire danno biologico e spese legali.
Cassazione - Fu la Cassazione a chiudere definitivamente la causa anche nel merito con sentenza n. 22523/2014. Il difensore della paziente osservava sostanzialmente che per aver diritto al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. è necessario che il danno sia provocatoda colpa o dolo.
La corte ambrosiana non aveva proceduto ad alcun esame sulla sussistenza della colpa e non s'era tenuto conto della condizione della paziente e del suo rapporto con il medico tenuto al dovere della protezione e ad adottare tutte le cautele e le precauzioni necessarie a evitare non solo i danni diretti al paziente, ma anche che questi possa procurare danni ad altri.
La Corte di merito aveva fatto discendere la responsabilità della lesione dal puro e meccanico svolgersi del fatto.
Nessuna colpa poteva quindi essere ascritta alla paziente e la sua difesa chiedeva espressamente alla Corte di legittimità cassarsi la sentenza impugnata e decisione nel merito.
Il Controricorso - La difesa della controricorrente rilevava che la paziente non aveva mai sollevato il problema della mancata indagine sulla colpa.
La decisione della Cassazione - Il rilievo della controricorrente veniva respinto. Il fatto, costitutivo del diritto vantato deve infatti esser rappresentato e provato dal danneggiato.
Per il convenuto essa rimane attività argomentativa e per il giudice problema di attività valutativa da esercitarsi d'ufficio senza vincolo di prospettazione delle parti, salvo che non si tratti di diritti autodeterminati (è il caso, ad esempio, in cui si chiede che il possesso di una certa cosa è detenuto ad un determinato titolo). Anche in tal caso però la qualificazione giuridica del fatto storico non vincola il giudice.
Nel caso specifico il giudice d'appello avrebbe dovuto, ribaltato il giudizio di primo grado sul fatto storico, procedere all'accertamento dei fatti costitutivi della domanda in iure anche per quanto riguardava l'elemento soggettivo dell'illecito. La Corte meneghina (sic!) invece non ha operato quell'esame, giudicando con sentenza viziata manifestamente da errore di diritto, mancando di chiarire perché e se il comportamento della paziente fosse caratterizzato da colpa, supponendo implicitamente che al gesto automaticamente si accompagnasse l'elemento soggettivo dell'illecito.
Perciò il primo motivo del ricorso è stato ritenuto fondato e che ricorrevano le condizioni per emettere anche pronuncia nel merito senza necessità di rinvio a Corte d'Appello.
La Cassazione ricordava lo stato di soggezione in cui viene a trovarsi ogni paziente e che fa parte della prestazione medica istruire il paziente al comportamento dovuto e come tale istruzione non fosse stata provata.
Esaminati infatti gli elementi dell'istruttoria, risultava quanto segue: in sede di interrogatorio formale la paziente aveva detto d'essere stata, durante l'intervento, spaventatissima e con un dolore terribile, dal momento che la prima anestesia non aveva avuto effetto ed altre due gliene erano state praticate e che ad un certo punto s'era trovata "a gambe all'aria", distesa sullo schienale rovesciato cosicché non ricordava neppure d'aver preso la mano dell'assistente. Il medico aveva testimoniato che, intenta all'operazione, non poteva prestar attenzione ad altro.
La Cassazione perciò concludeva esser rimasta irrimediabilmente incerta la colpa della paziente e questo, assieme al fatto che la paziente aveva negato il fatto storico e solo in sede di legittimità aveva sollevato il problema della carenza di deduzione e di esame dell'elemento soggettivo, ha fatto sì da compensare integralmente le spese di tutti i gradi del giudizio.

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di Pietro Bognetti

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