L'azione per risarcimento danni in ipotesi di atti di bullismo su minore

Ipotesidi bullismo su minore
Rispetto all’ipotesi di atti di bullismo si pone l’esigenza di individuare: il soggetto passivo cui rivolgere l'azione a tutela dei diritti del minore, l’onere della prova del quale sono gravate le Parti ossia i genitori del minore, da un parte, ed il responsabile civile, dall'altra, la natura del danno risarcibile ed i criteri per la sua eventuale liquidazione.
La recentissima sentenza del Tribunale di Potenza n. 380 del 12 aprile 2021, chiamato a decidere sul caso di un minore aggredito da un altro allievo del medesimo istituto durante l’orario scolastico, offre un quadro organicamente esaustivo di tutti i profili segnalati e, per tali motivi, può costituire un utile vademecum rispetto alle iniziative che sia necessario assumere in analoghe ipotesi.
Intanto l’interlocutore processuale, identificato come il legittimato passivo, cui dirigere la richiesta «per giurisprudenza unanime e consolidata, nell'ambito dell'amministrazione statale scolastica», rispetto a condotte di alunni e insegnanti poste in essere durante l'orario scolastico, è il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica, giovando precisare che non lo sono invece i circoli didattici o i singoli istituti, «in quanto questi ultimi, pur avendo autonoma personalità giuridica, restano organi della suddetta amministrazione, e l'autonomia gestionale e amministrativa di cui dispongono non impedisce di riferire a questa, nel suo complesso, e dunque al M.I.U.R., gli effetti dei loro atti»: il D.P.R. n. 275 del 1999 ha conferito loro autonomia gestionale e amministrativa, pur sempre conservando in capo ad essi la qualità di organi dello Stato. Gli illeciti oggetto dei procedimenti per atti di bullismo ricadono nella sfera propria della c.d. culpa in vigilando, ossia ascrivibile ad una responsabilità per omesso controllo sulle attività svolte dai minori negli orari e negli spazi entro i quali i minori sono sottoposti alla custodia ad opera del personale, docente e non docente (cfr Cass. SS.UU. n. 9346/2002; Cass. n. 19158/2012; n. 10042/2006; n. 2839/2005; n. 27246/2008; n. 6372/2011).
Quanto all’onere della prova, giova preliminarmente considerare che l’amministrazione scolastica risponde del fatto illecito commesso dagli allievi minori sottoposti alla sua vigilanza nei termini di una responsabilità presuntiva ed oggettiva, incombendo sull'amministrazione scolastica una responsabilità speciale (eccezione alla regola generale posta all'articolo 2043 c.c.).
Trattandosi di responsabilità ex art. 2048, comma 3, c.c., il soggetto onerato della custodia si libera «soltanto se prova di non aver potuto impedire il fatto» (c.d. responsabilità aggravata): la scuola è pertanto chiamata a dimostrare il c.d. fatto impeditivo, ossia l'inevitabilità del danno nonostante la predisposizione di tutte le cautele idonee a evitare il fatto (cfr. Cass. n. 8811/20; Cass. 10/4/2019, n. 9983; Cass., 8/4/2016, n. 6444; Cass., 14/10/2003, n. 15321).
Nel caso di specie l'amministrazione scolastica non ha fornito la prova liberatoria così come risultato dal fatto che «nessuno dei preposti (insegnanti e/o personale non docente) ha saputo riferire dell'accaduto» essendo pacificamente emerso che l'alunno era stato «autorizzato a recarsi da solo nei bagni dell'istituto senza che l'insegnante provvedesse ad accompagnarlo o si sia premurato di verificare che il minore entrasse nella sfera di vigilanza di altri preposti (bidelli o altro insegnante)».
Venendo al risarcimento del danno, i profili rilevanti sono essenzialmente quattro, tre dei quali attinenti alla tipologia, dovendosi argomentare in termini di possibile danno patrimoniale, biologico e/o morale, ponendosi l’esigenza, ed è questo il quarto profilo, di verificare, in caso di danno biologico, i presupposti della sua eventuale personalizzazione in sede di quantificazione.
Il danno patrimoniale, in ipotesi del genere considerato, potrà coincidere con le spese necessarie, ad esempio mediche o comunque sostenute dai genitori del minore danneggiato in conseguenza dell’evento.
Quanto al danno biologico, occorre considerare se la condotta subita dal minore ha determinato un conseguente stato di permanente invalidità ossia tale da lasciar permanere, anche in seguito alla completa guarigione, uno stato di limitazione, clinicamente accertato, dell'integrità psicofisica, indipendentemente dall’attitudine della lesione ad incidere sulla produzione di redditi futuri.
La personalizzazione, ossia la valutazione di maggiore gravità di un pregiudizio «che concerna un'attività della vita che non è praticata dalla persona standard, ma che assuma connotati specifici, "eccezionali" e "peculiari"», cui si può pervenire provando «circostanze eccezionali, specifiche e diverse da quelle che invece ordinariamente sono conseguenti alla menomazione e che già sono incluse nella liquidazione tabellare "standard" del danno», non può costituire un automatismo di aggravamento nella definizione del danno, il cui risarcimento può essere personalizzato solo in conseguenza dell'impossibilità per la vittima a cimentarsi in peculiari attività fisiche (e nemmeno la lesione alla capacità lavorativa generica, che è già ricompresa nell'ambito delle conseguenze ordinarie del danno biologico (mentre l'incapacità lavorativa "specifica" viene eventualmente liquidata a titolo di danno patrimoniale). (cfr. Cass. n. 7513/2018 cit., Cass. n. 10912/2018, Cass. n. 23469/2018, Cass. n. 27482/2018, Cass. 28988/2019) ulteriori rispetto a quelle proprie dell’ordinaria vita di relazione: la Corte di Cassazione definisce il danno biologico da intendersi come «danno dinamico-relazionale (cfr. Cass. Ord. 7513/18 cit.)» da perduta o ridotta o modificata possibilità di attendere alle ordinarie attività, come pure di intrattenere rapporti sociali in conseguenza di una invalidità permanente, nel quadro di "normali" conseguenze (e perciò non idonee ad applicare la personalizzazione) delle invalidità gravi, «nel senso che qualunque persona affetta da una grave invalidità non può non risentirne sul piano dei rapporti sociali (in questo senso, ex permultis, Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 21716 del23/09/2013, Rv. 628100; Sez. 3, Sentenza n. 11950 del 16/05/2013, Rv. 626348; Sez. 6-3, Ordinanza n. 15414 del 13/07/2011, Rv. 619223; Sez. 3, Sentenza n. 24864 del 09/12/2010, Rv. 614875; Sez. L, Sentenza n. 25236 del 30/11/2009, Rv. 611026)».
Guardando al caso di specie, ove il minore aveva subito una frattura carpale (di un dito) della mano, personalizzante il danno sarebbe stato solo in caso di attività (ad es., la pratica di un complesso strumento musicale magari anche con la prospettiva di maturazione di una competenza professionale un pratica sportiva, in presenza di comprovate speciali doti psicofisiche per lo sport praticato) con carattere di esclusività e tali da giustificare una valutazione specificamente attinente alla perdita di abilità ad esse necessarie.
Rispetto all’ultimo rilevante profilo considerato, riguardante il profilo non patrimoniale – morale, inteso come la «sofferenza di natura del tutto interiore e non relazionale, quindi, meritevole di un compenso aggiuntivo al di là della "personalizzazione", e detta le regole precise per la sua liquidazione. (ex multis Cass. n. 7024/2020, n. 25164/20, 910/2018, n. 7513/2018 cit. e n. 28989/2019). L'autonomia del danno morale è da leggersi nella più grande fenomenologia del danno non patrimoniale al bene salute. La sofferenza conseguente alla lesione del bene salute, infatti, può essere declinata in due differenti contenuti: quella "fisica e della vita di relazione" e quella "interiore" intesa come dolore, la vergogna, la paura, la disistima, la disperazione. Trattasi, in altre parole, di un disagio psicologico che non si traduce quindi nella compromissione delle "attività quotidiane" e degli "aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato", ma comporta comunque intense reazioni emotive e comportamentali del soggetto, e rilevanti strategie di adattamento (il cui accertamento non può in ogni caso essere devoluto al CTU)».
In termini di prova potranno soccorrere le presunzioni: nel caso deciso dal Tribunale di Potenza, e qui esaminato, l’autonomia del danno morale rispetto al danno biologico consiste nel fatto che il primo «si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore, che prescinde del tutto dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato», stato che può essere provato anche per presunzioni come nel caso di specie, in cui il minore era rimasto «per ben 45 minuti circa da solo senza far rientro in classe; ciò è indice di quel turbamento d'animo, del dolore interiore, della vergogna di farsi vedere dall'insegnante e dagli amici di classe nella particolare condizione di "sconfitto ed umiliato" dalla disputa avuta con altro coetaneo».
Ma il Giudice aveva anche considerato come il minore avesse «ripreso la frequentazione dell'Istituto scolastico dopo diversi giorni. Tale circostanza, accompagnata dalla verosimile intenzione di voler cambiare definitivamente scuola» deponendo per la sussistenza di quel disagio e disistima che ha accompagnato il minorenne i giorni immediatamente successivi all'aggressione. Infine «la circostanza che il minore al momento dell'accaduto era nel pieno della età (10 anni) evolutiva, in cui i rapporti sociali nell'ambiente che si frequenta assumono particolare rilevanza» dovendosi osservare che «l'età (pre)adolescenziale è connotata da peculiare fragilità soprattutto nell'ambiente scolastico e nei rapporti esterni di frequentazione tra coetanei, in quanto proprio in quella fase evolutiva i bambini tendono caratterialmente a "prevalere sull'altro", sino ad instaurare una sorta di competizione caratteriale e fisica tra i consociati che talvolta sfocia in fenomeni di bullismo».
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