La Mediazione Familiare: cos'è come funziona


La Mediazione familiare rappresenta un processo in cui un professionista, in posizione neutrale, porta la coppia che vuole separarsi a maturare un accordo condiviso
La Mediazione Familiare: cos'è come funziona

 

La mediazione familiare nel diritto

La mediazione, come indica il termine “mediare” è quel processo che un terzo neutrale pone in essere per permettere alle parti in conflitto tra loro di riprendere un dialogo e di riappropriarsi della propria capacità decisionale, eliminando o riducendo gli effetti non voluti del conflitto stesso. Si tratta di un processo mirato a far evolvere dinamicamente una situazione di conflitto, aprendo canali di comunicazione che si erano bloccati (Castelli 2003).

In sostanza il mediatore lascia che le parti ritrovino, sospendendo temporaneamente il conflitto, uno spazio comune per esplorare ipotesi creative rispetto ai problemi comuni. In particolare, come meglio vedremo in seguito la mediazione familiare è il processo che il mediatore, in qualità di terzo neutrale, pone in essere con la coppia, in caso di separazione, per aiutarla a riappropriarsi della propria responsabilità e capacità decisionale e, quindi, della propria competenza a predisporre un accordo che soddisfi i rispettivi bisogni da presentare al giudice per i provvedimenti da adottare.

 

La mediazione familiare nella legge sull’affido

L’introduzione con la legge sull’affido condiviso della Mediazione familiare rappresenta l’ingresso dell’istituto nell’ambito del diritto di famiglia come procedimento di risoluzione delle controversie alternativo a quello giudiziale e segna il riconoscimento del ruolo che la mediazione può svolgere nel momento di crisi del rapporto coniugale per superare la conflittualità e arrivare ad un accordo per la gestione dei rapporti personali e patrimoniali.

Il percorso di mediazione si presta particolarmente ad aiutare la coppia che è chiamata a dover decidere dei futuri assetti personali, patrimoniali, ma anche dell’organizzazione e della gestione della vita dei figli proprio quando emozioni, tensioni, ansie possono creare difficoltà relazionali o comunque difficoltà di comunicazione se non aperto conflitto.

E’ stato opportunamente scelto il criterio della facoltà di accesso alla mediazione come via da seguire, solo se le parti liberamente decidano di tentarla e, quindi, non è stata indicata come obbligatoria (Martello 2006): “La mediazione è una via per affrontare e risolvere seriamente i problemi. Rende possibile la sfida di trasformare il dolore del conflitto in opportunità per migliorare la qualità della propria e altrui esistenza, avviando una vita di relazione con l’altro in cui l’io e il tu attuano un felice scambio sulla diversità. Il mediatore cerca di “movimentare” le menti, perché qualcosa nei comportamenti ripetitivi dei contendenti, si sblocchi verso un comportamento collaborativo".

La mediazione familiare (Fernandez del Moral Dominghez L. 2006) si caratterizza per essere un percorso volontario e un percorso autonomo (rispetto all’iter giudiziario anche se l’accordo dovrà passare all’omologa del tribunale) inoltre il mediatore è in posizione di terzietà e di rigorosa imparzialità e segretezza rispetto alle parti.

Il mediatore che sostiene il confronto su alcuni aspetti dell’area coniugale, aiuta la coppia ad operare quei riconoscimenti, ad esprimere quelle emozioni che permettono di liberare energie più autenticamente in grado di formulare un accordo, che sia il risultato più di un reciproco riconoscimento che di un compromesso e che, quindi, permetta alle parti di riprendersi una rinnovata capacità di esprimere la loro creatività e progettualità.

La capacità negoziale esprime, infatti, la sua qualità significativa quando riesce a rispondere ai bisogni emotivi e alle esigenze complessive attuali, ma anche a rappresentarsi e, quindi, rispondere alle esigenze future personali e dei figli. In questo senso, infatti, è importante non lasciarsi prendere dalla necessità di realizzare l’obiettivo pragmatico dell’accordo in modo da mantenersi appunto su un piano di eccessiva formalità o pragmaticità proprio per dare ai contenuti dell’accordo stesso, l’essenza e la qualità di un confronto sulle linee di educazione dei figli sulle idee in ordine ai bisogni, in uno scambio che dia un senso partecipato a regole che altrimenti risultano formali e standardizzate e quindi di difficile realizzazione.

In sostanza attraverso il processo negoziale, non si arriva soltanto alla formulazione di un accordo ma alla rinegoziazione della nuova possibile espressione comune, attraverso la quale gli ex partner modificano e definiscono la dimensione del “noi” che sopravvive alla separazione attraverso la contemporanea definizione delle due individualità.

La funzione del mediatore in questa fase, che nell’applicazione alla mediazione familiare del ciclo di contatto della gestalt, appartiene a quella del contatto pieno, è di guida al perseguimento degli accordi, di garanzia sulla correttezza del percorso di mediazione, ma anche di partecipazione attiva alla negoziazione.

Il mediatore favorisce il clima interattivo tra le  parti per creare un autentico spazio negoziale e la sua partecipazione empatica al chiarimento della posizione dell’una o dell’altra parte, senza abbandonare la propria neutralità; consiste nel comprendere e nel tradurre affermazioni confuse o poco chiare, cosa che aumenta la possibilità di scambio tra le parti ed amplia i contenuti dell’accordo, oltre che allentando gli atteggiamenti difensivi; consente di essere maggiormente fiduciosi e attivi nel portare avanti la negoziazione.

Le aree che formano oggetto della negoziazione sono diverse, ma sostanzialmente riferite all’area genitoriale, ad alcuni aspetti del rapporto di coppia e all’area patrimoniale. Il risultato del lavoro di negoziazione su queste aree si traduce poi negli specifici contenuti dell’accordo di separazione.

L’accordo conterrà in concreto ad esempio come vivere la bigenitorialità e quali modalità adottare per l’affido condiviso dei figli, il che significa come i genitori stabiliscono di condividere la gestione dell’educazione e della vita dei figli, non certamente che si suddividono a metà il tempo dei figli.

Così il diritto dei figli ad avere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori sarà regolamentato caso per caso, stabilendo una adeguata modulazione dei ritmi di frequentazione con ciascun genitore, proprio in base alla maturità dei genitori e alle esigenze dei figli.

Rispondendo alle esigenze organizzative e di stabilità dei figli, si stabilisce cioè un calendario preciso dei periodi o dei giorni in cui i figli che vivono con un genitore, debbano permanere presso l’altro genitore, ovvero quale genitore si fa carico di alcuni aspetti della gestione ordinaria e straordinaria della vita dei figli (chi si occupa della scuola, chi degli sport, ecc.).


Il modello ASPIC di Mediazione familiare

La mediazione familiare trae origine dalla visione pionieristica di Edoardo Giusti e Claudia Montanari, fondatori della scuola ASPIC (Associazione per lo Sviluppo Psicologico dell’Individuo e della Comunità) che, tra le varie attività, fondarono nel 1983 l’ASDI (Associazione Separati e Divorziati), con la finalità di fornire su tutto il territorio nazionale un’assistenza psico-legale la quale si proponeva:

a) di raggiungere il massimo accordo per facilitare la negoziazione;

b) minimizzare i conflitti del dopo separazione;

c) accompagnare i coniugi separati nella loro successiva evoluzione.

Edoardo Giusti e Claudia Montanari avevano osservato che i separandi richiedevano spesso come unica assistenza, quella legale. Essi, invece, sostenevano che questa operazione, tra le più complesse e delicate della vita di una persona, non potesse risolversi tutta nel mero atto legale, poiché comporta un profondo e non trascurabile coinvolgimento emotivo sul piano privato, personale e sociale.

La separazione, infatti, coinvolge i separandi, i loro figli, ma anche i rapporti che essi hanno con i loro amici e ambienti di lavoro. Nella separazione è inevitabile l’irrompere di componenti emotive di ostilità e di irrazionalità da parte dei separandi, pertanto il lavoro del legale diventa molto più complicato e, a volte, impossibile; per questo è indispensabile l’intervento dello psicologo.

Solo così, infatti, i sensi di colpa, la rabbia, le depressioni che emergono dal conflitto tra i coniugi, trovano la giusta e necessaria considerazione e collocazione. Essi, quindi, ritennero che solo una coordinata collaborazione fra la parte legale e quella psicologica avrebbe potuto consentire una visione globale dei problemi dei separandi con equa e saggia soluzione.

Durante gli stessi anni Edoardo Giusti organizzava dei gruppi gestaltici a Parigi per favorire l’elaborazione del lutto relativo alla fine di un rapporto e per la reintegrazione dell’individuo. Seminari sulla coppia in crisi vennero organizzati in Italia, assieme a Claudia Montanari. E’ nel 1995 che fu creato per l’A.S.D.I., un corso di mediazione relazionale. Come è noto, nella sfera legale rientrano tutti i problemi motivati da circostanze esterne: l’impossibilità di autosufficienza economica, l’equa ripartizione delle proprietà, ed altro.

Sui problemi soggettivi, che prescindono da tali circostanze, è indispensabile anche il sostegno psicologico. Se poi i separandi sono anche genitori, può accadere che in questa guerra essi non tengano in debito conto l’interesse dei figli e li trasformino anzi in strumento di offesa e ricatto.

I figli si trovano così a pagare non tanto il trauma della separazione, quanto piuttosto il trauma del perpetuarsi delle ostilità. Il separato quindi, per raggiungere un equilibrio personale, deve attraversare varie fasi: emotive, psichiche, sociali, legali e soprattutto co- genitoriali.

L’obiettivo di questo approccio bilaterale psico - legale era quello di garantire un’assistenza completa, che considerasse la crisi derivante dalla separazione in modo globale affinché il trauma della separazione potesse essere sì doloroso, ma non distruttivo.

In conclusione per Edoardo Giusti e Claudia Montanari, il successo di una separazione non risiedeva nella vittoria parziale di un cliente, ma nella vittoria collettiva di ogni singolo membro del gruppo familiare e quindi dell’intero sistema della separazione.

Dalle fasi embrionali di assistenza psico -  legale nacque nel febbraio 2001 all’ASPIC un Corso di Mediazione Familiare, della durata di un anno, a cui potevano accedere Counselor, Psicologi, psicoterapeuti, tutti professionisti in grado di apprendere nuove tecniche relazionali. Il Corso era basato sui principi fondamentali del Counseling pluralistico integrato e partiva dal presupposto che solo la coppia, se opportunamente guidata, può trovare una soluzione intrinseca, contrariamente a quanto accade con la soluzione giuridica che il più delle volte è imposta dall’esterno, non soddisfacendo nessuno dei due partner, per cui poi il conflitto si trascina a vita.

Prevedeva un’integrazione delle teorie di ispirazione umanistico – esistenziale, una preparazione specifica nel diritto di famiglia, una elaborazione del vissuto personale sia individuale che di coppia, e l’obbligo della supervisione e della formazione permanente. Nasce così il Modello Pluralistico Integrato ASPIC e da qui, nel 2003 l’A.E.M.E.F. (Associazione europea mediatori familiari).

 

Il modello pluralistico integrato

La peculiarità del modello ASPIC consiste nell’avere un approccio pluralistico integrato, applicando metodiche e tecniche di diverso orientamento teorico, inoltre riunisce nella figura del mediatore anche le competenze e le abilità del Counseling umanistico esistenziale, consentendogli, ove occorra, di effettuare un intervento di counseling di coppia, quando quello di mediazione non sia più necessario.

L’integrazione riguarda non soltanto le teorie delle varie scuole, applicabili alla mediazione familiare, ma anche quei contenuti degli altri modelli ritenuti efficaci.

In secondo luogo si muove nell’ottica di lavorare sul processo del conflitto più che sui contenuti del contendere.

ll carattere distintivo del modello e il tipo di formazione del mediatore, che oltre alla conoscenza delle tecniche relazionali, si estende anche alla conoscenza del diritto di famiglia e di tutela dei minori. La formazione del mediatore Aspic, quindi, garantisce un’adeguata conoscenza giuridica limitatamente al diritto di famiglia ed in particolare sui seguenti temi: matrimonio civile, religioso e concordatario; diritti e doveri dei genitori rispetto aiu figli; convivenza e famiglia di fatto; separazione consensuale e giudiziale; divorzio; affidamento dei figli e competenza del giudice tutelare del tribunale dei minori.

E’ obbligatorio aver fatto un percorso di evoluzione e crescita sia personale sia sulla relazione di coppia. Inoltre, è obbligatoria la supervisione ed è prevista la formazione permanente. In un quadro sintetico si riportano i principi e gli obiettivi del modello, e le fasi del processo di mediazione.

 

Principi del processo di mediazione

- La crisi non è intesa in senso patologico, ma secondo il significato etimologico della parola “crino” che vuol dire “ scelta”;

- Le coppie si scelgono collusivamente;

- Le coppie in crisi presentano modelli di interazione disfunzionali;

- Ogni coppia presenta un tema relazionale conflittuale centrale ;

- La rabbia sottende sempre un dolore;

- Quanto è più forte la rabbia che emerge tanto più forte è il dolore sottostante;

- Non c’è un numero precostituito di sedute;

- Si affrontano le problematiche così come le presenta la coppia;

- Si trae vantaggio solo da accordi presi con intima convinzione, piuttosto che da una cooperazione solo formale.


Obiettivi del processo di mediazione

• Curare tutti gli aspetti della separazione / divorzio, sia quello psicologico che quello legale, ponendo una particolare attenzione al conflitto e alle emozioni;

• Individuare gli stili d’interazione;  

• Individuare la collusione di coppia;

• Far giungere la coppia alla consapevolezza dei propri modelli disfunzionali;

• Modificare gli stili disfunzionali;

• Ristrutturare la comunicazione;

• Addestrare la coppia all’empatia;   

• Giungere alla cooperazione convinta;

• Addestrare la coppia alla complicità ed alla progettualità;   

• Definire un accordo.


Fasi del processo di mediazione

1. Una fase di pre-contatto: NON CI AMIAMO PIU’ (Cosa ci sta accadendo?);

2. Una fase di avvio contatto: SEPARARSI INSIEME (Perché ci siamo scelti?);

3. Una fase di contatto pieno: NON PIU’ COPPIA MA GENITORI (C’eravamo tanto amati);

4. Una fase di post contatto: UNA NUOVA PROGETTUALITA’ (La relazione è cambiata).

Al termine delle fasi c’è una verifica sul mantenimento dei risultati raggiunti denominata follow - up.

Il modello Pluralistico Integrato, per realizzare l’obiettivo di massimizzare l’efficacia dell’intervento di mediazione, tiene conto sia dei fattori comuni transteorici, sia dell’integrazione di tutti gli orientamenti che si ritengono utili da applicare nel caso concreto. In particolare tiene conto dei seguenti contributi teorici: Sistemico- Relazionale, Rogersiano, Cognitivo–Comportamentale, Psicoanalitico, Psicodinamico, PNL (Programmazione Neuro Linguistica) e della Gestalt.

• Nell’ambito della teoria sistemico-relazionale il modello Aspic assume soprattutto la concezione che la coppia rappresenta un sistema e che in qualunque sistema sussistono delle relazioni che, a contatto con il mondo esterno, subiscono delle modifiche; pertanto agendo  sul conflitto e sanandolo, si sana il sistema coppia.

• Nell’ambito della teoria Cognitivo–Comportamentale contrappone tutto ciò che è razionale a ciò che è irrazionale e che, in quanto tale, non corrisponde alla realtà e genera malessere. Inoltre, partendo dal presupposto che il sentire, il pensare e il parlare siano interattivi, lavora sul decondizionamento dei pensieri irrazionali, illogici e irrealistici che conseguono alle convinzioni personali (RET: Terapia Razionale Emotiva Albert Ellis). Il modello Aspic inoltre estrapola la caratteristica del mediatore di essere molto concreto e operativo, dando anche compiti a casa alle parti e facendo loro sottoscrivere impegni per il raggiungimento degli obiettivi. La relazione con la coppia è, quindi, direttiva e finalizzata al riconoscimento dei pensieri irrazionali ed alla loro sostituzione, per cui il mediatore attua una ristrutturazione cognitiva delle convinzioni irrazionali. Ma come si effettua una ristrutturazione cognitiva delle convinzioni irrazionali? Si ha un pensiero irrazionale, ad esempio quando la moglie è convinta che il marito (e viceversa) sia aggressivo, il mediatore interviene dicendo: “Non è vero che tu lo sei, ma lei ti vede così, c’è qualcosa che puoi fare affinché lei smetta di pensarlo?” Questa modalità produce due effetti , l’uno è che il marito incomincia a prendere in considerazione la possibilità di modificarsi, l’altro è che la moglie incomincia a trasformare il suo pensiero irrazionale facendolo diventare pensiero di realtà e quindi razionale: “Mio marito non è  una persona aggressiva , ma se lo provoco, tira fuori la sua aggressività” effettua, quindi, una ristrutturazione cognitiva della sua primitiva convinzione irrazionale, modificandola (convinzione irrazionale/ pensiero irrazionale/decondizionamento/pensiero di realtà). E così, secondo il principio socratico di causalità circolare, secondo cui A produce B, che produce C, che produce D etc. Il “Circolo vizioso” si trasforma in “Circolo virtuoso, per cui, ritornando in A, si ha come risultato un cambiamento delle dinamiche relazionali della coppia.

• Dalla teoria psicoanalitica mutua concetti che il mediatore Aspic deve conoscere per poter operare correttamente concetti come “Proiezione” “Introiezione” “Transfert e controtransfert”. La “Proiezione” è un meccanismo di difesa  inconscio che attribuisce agli altri o agli eventi qualità che, invece appartengono al Sé; “l’introiezione“ è quel processo di assunzione nel proprio mondo interiore di rappresentazioni degli altri, o parte di essi, essa riguarda specificamente il modo in cui le persone assorbono aspetti, atteggiamenti e valori dai propri genitori; il “transfert” è il fenomeno attraverso il quale il cliente inconsciamente si rapporta al mediatore come se fosse una persona significativa del proprio passato, soprattutto i genitori. Un transfert può essere: un transfert positivo che rappresenta sentimenti buoni nei confronti del mediatore e costituisce la base dell’alleanza; un transfert negativo che rappresenta sentimenti negativi che intralciano la relazione; un transfert erotico che si manifesta sotto forma di desiderio sessuale e/o innamoramento del cliente; il controtransfert è la risposta transferale del mediatore nei confronti del cliente. Si parla di relazione transferale o controtransferale quando si crea una interazione inconscia tra cliente e mediatore.

• Dalla teoria psicodinamica mutua il concetto di “copione” (Eric Berne – Analisi Transazionale) il “tema relazionale centrale o CCRT (Luborsky) ed il tema della “Collusione di coppia” (Jurg Willi).
- Il copione secondo l’A.T. è un “progetto inconscio di vita” deciso nell’infanzia, che viene rinforzato dal soggetto stesso, dai suoi genitori e dalle proprie convinzioni, esso può essere definito il processo della “profezia che si autorealizza”. La teoria afferma che il ambino prende le migliori decisioni possibili, spesso in circostanze difficili; queste decisioni però sono prese secondo una logica infantile, che può portare a interpretazioni cronicamente distorte della realtà. Da adulto egli metterà in atto il proprio “copione” adottando un modello specifico di comportamento (per esempio il “copione del mai” impone che la persona non riesca mai ad ottenere ciò che realmente desidera). E’ di tutta evidenza che questa modalità di relazionarsi con il mondo esterno si amplifica nella coppia determinando contrasti tra i partner.
- Altro elemento fondamentale adottato dal modello in esame è la ricerca nella coppia del tema relazionale conflittuale centrale (CCRT); questo principio viene proposto dall’americano Luborsky. Il presupposto di base è rappresentato dal citato concetto di “copione” di Berne, secondo il quale ogni individuo possiede uno schema di vita inconscio, influenzato in massima parte dalle figure di accudimento, che costituisce il suoi modo di rappresentare se stesso e gli altri. Si tratta di un processo che, una volta acquisito, si innesca automaticamente e determina il modo in cui la persona percepisce l’altro ed interagisce con l’ambiente. Il metodo CCRT consente di evidenziare la modalità ripetitiva che la persona    mette in atto nelle sue relazioni, e come sia ella stessa con i suoi comportamenti a determinare le risposte ambientali. Il CCRT consiste di tre elementi: un desiderio (W) una risposta dell’altro (RO) ed una risposta del Sé(RS); è prodotto da un certo numero di episodi relazionali(RE), storie raccontate dal cliente riguardanti l’interazione con altri soggetti.

• Altro approccio (Giusti, Rosa 2002) di cui si avvale il modello ASPIC è la teoria della Gestalt ideata negli anni quaranta da Fritz Salomon Perls. I “principi di base sono: “l’organismo umano funziona per crescere ed autorealizzarsi”, “l’organismo e l’ambiente sono in interdipendenza costante”, “il comportamento è basato sui bisogni emergenti”, “ quando esiste una mancanza  l’organismo agisce per ripristinare  un equilibrio , crea un equilibrio tra bisogni e soddisfazioni”(principio di autoregolazione organica, omeostasi). E’ una tecnica che si preoccupa molto di ciò che emerge nel presente, nel presente troviamo il passato, ciò che del passato non è ancora risolto ed elaborato. Basta osservare la persona nel qui ed ora per sapere di cosa ha bisogno, per questo è stata anche definita la terapia del “qui ed ora”. Possiamo dire che è un approccio basato sulla presenza. La presenza è radicata nel corpo. Presenza come capacità di ascolto e rispetto dei ritmi biologici profondi (sensazioni) e dei dati esterni dell’ambiente, come alternanza del contatto- ritiro, capacità di apertura e chiusura: il malessere nasce quando questo processo viene bloccato. La Gestalt volge il suo interesse ad indagare come la persona attua questo blocco e con quale strategia altera il processo di consapevolezza. I bisogni insoddisfatti diventano Gestalt incompiute che reclamano attenzione ed impediscono la formazione di nuove Gestalt. Le Gestalt incompiute interferiscono con il buon contatto con sé, con gli altri e con l’ambiente. I bisogni insoddisfatti dell’infanzia continuano a disturbare la persona nell’età adulta, interferendo con i comportamenti ed i pensieri correlati al funzionamento efficace nel “qui ed ora”. La Gestalt lavora sulla dimensione del contatto, cioè quello che accade al confine tra l’individuo e l’ambiente, ossia quello che accade con il Sé. La teoria della Gestalt è stata definita anche “la teoria del Sé”. Il luogo in cui si manifesta il Sé è il confine tra l’individuo e il mondo e, come afferma Perls, è al confine del contatto che si verificano gli eventi psicologici, e tutto ciò che noi facciamo e produciamo: i nostri pensieri, il nostro comportamento, le emozioni che ci connotano, sono il nostro modo di incontrare gli eventi al confine del contatto. Per i gestaltisti “la pelle è l’organo di rapporto tra l’organismo e l’ambiente; ciò che protegge e nello stesso tempo dà la possibilità di attuare lo scambio che consente il nutrimento è la membrana osmotica che contiene l’organismo e gli consente di entrare in contatto con l’ambiente che lo circonda”. L’idea base di questa teoria è che ogni azione si costruisce sulla base del ciclo del contatto che si suddivide in quattro fasi: pre – contatto, avvio di contatto, contatto -  pieno e post- contatto. Si definiscono Gestalt quei processi olistici che vengono sviluppati per soddisfare i bisogni individuali attraverso il ciclo del contatto. Sono Gestalt chiuse le situazioni in cui si completa il ciclo del contatto, sono Gestalt aperte quelle che non arrivano al compimento, ma vengono interrotte prima con i seguenti meccanismi:

INTROIEZIONE (credo mio ciò che è tuo) si manifesta generalmente nella fase della percezione della sensazione: quando una persona incorpora passivamente ciò che l’ambiente gli fornisce.
PROIEZIONE (credo tuo ciò che è mio), si vede negli altri ciò che non si riconosce in se stessi, si manifesta generalmente nella fase della presa di coscienza.
RETROFLESSIONE (faccio a me ciò che vorrei fare a te) fase della messa in moto dell’energia che viene rivolta su sé anziché sull’ambiente.
DEFLESSIONE (evito il confronto del contatto diretto) la persona rinvia l’azione consapevole evitando il contatto diretto non investendo energia consapevole o focalizzata, la risposta è scarsa. Es. Mi ami? Cosa intendi per amore?
PROFLESSIONE (faccio all’altro ciò che vorrei mi facesse) è un misto di PROIEZIONE e RETROFLESSIONE.
EGOTISMO (esisto soltanto io con i miei desideri) la persona si concentra esclusivamente su di sé.
CONFLUENZA (confondo ciò che è mio con ciò che è tuo) quando la persona perde il confine ed è in simbiosi con l’altro; si manifesta generalmente nel momento del post contatto.
DESENSIBILIZZAZIONE (mi sento anestetizzato ed insensibile evitando di fare esperienza di me e dell’ambiente) non sento bisogni, emozioni e sentimenti che potrebbero arrecarmi sofferenza.

• Infine non si può non riportare la teoria dell’attaccamento di Bowlby secondo la quale (Giusti, Spalletta 1997) “gli esseri umani hanno la tendenza, lungo tutto l’arco della vita, a stringere legami preferenziali secondo un modello di attaccamento fornito nella primissima infanzia tra bambino e genitore”. Se le prime esperienze di attaccamento sono state frustranti, rifiutanti e addirittura dolorose l’individuo le avrà interiorizzate e trasferirà queste prime ferite in ogni esperienza e la paura del tradimento lo renderà insicuro e, senza saperlo, aspettando di venire deluso, farà in modo da esserlo. Bowlby ha così sintetizzato i modelli di attaccamento: alle madri definite autonome corrispondono bambini sicuri; alle madri definite distanzianti corrispondono bambini insicuri/ evitanti; alle madri preoccupate, corrispondono bambini ansiosi; alle madri dalle quali si cerca sicurezza e di cui si ha paura corrispondono bambini disorganizzati. La risultante tra la base biologica, costituita da comportamenti geneticamente predeterminati, il modello di attaccamento e l’acquisizione dei comportamenti finalizzati a comunicare l’effettività, determina il “Modello Operativo Interno” “(MOI)” che ci accompagna “dalla culla alla tomba” Bowlby. Sappiamo dalle ricerche sul legame di attaccamento che la sicurezza o l’insicurezza che lo caratterizzano si trasmettono di generazione in generazione attraverso le aspettative e il comportamento dei genitori e la qualità delle relazioni familiari (Benoit, Pater, 1994; Fonagy !992). In una relazione intima, quale è la coppia, la ricerca della sicurezza, della fiducia di base del rapporto con il proprio partner è l’elemento centrale intorno al quale il rapporto stesso si sviluppa… “Ecco quindi che qualsiasi nuovo rapporto intimo presuppone una serie di confronti con altri rapporti significativi, rispetto ai quali deve differenziarsi” (Andolfi 2003).

 

Il mediatore familiare ASPIC

E’ un counselor specializzato nei problemi della coppia e con una specifica preparazione giuridica che applica oltre alle competenze ed abilità della mediazione anche quelle del counseling. La funzione fondamentale del mediatore è portare la coppia al raggiungimento di un accordo restituendo alle parti il ruolo di protagonisti nella ricerca della soluzione al loro problema.

Le abilità del mediatore sono:

• L’accoglienza, che consiste nel far percepire al cliente di star bene con noi, tenendo presente che i soggetti da accogliere sono tre: un lui, una lei e la loro coppia (“noi” che in questo caso sopravvive solo come genitorialità condivisa);

• La neutralità, che è la capacità di accogliere in modo imparziale trasmettendo parità affinché nessuno dei due si senta meno accolto dall’altro;

• La direttività che permette di interrompere la lite e quindi difende ciascuno dei due dalla ferita di non essere riconosciuto dall’altro;

• L’addestramento all’empatia, è la capacità del mediatore di educare la coppia ad esprimere empaticamente ciò che sente, i propri bisogni e le proprie emozioni ed a comunicarle correttamente all’altro;

• La capacità di fornire informazioni utili alla coppia (ad es. che gli accordi patrimoniali raggiunti in sede di separazione legale non pagano le spese di registro). Il mediatore infatti è formato in modo da dare giuste informazioni anche in ordine a problematiche patrimoniali e/o legali in quanto molto spesso le persone che litigano perdono il contatto con la realtà;

• L’addestramento alla progettualità, consiste nell’agevolare la coppia che ha rinunciato alla propria progettualità a riappropriarsene, trovando soluzioni attraverso l’attivazione delle proprie risorse ed anche attraverso il brainstorming.

Inoltre il mediatore ASPIC addestra i partner al feedback fenomenologico e alla ristrutturazione della comunicazione, nel senso di far riformulare in modo tale che l’altro comprenda, in quanto la coppia nel conflitto ha perso la capacità di comunicare correttamente.

Esistono diversi tipi di riformulazione: riflessa semplice, si restituisce l’equivalente del messaggio ricevuto ripetendo le stesse parole.

Con la parafrasi si propongono gli stessi concetti ma con parole diverse, il riepilogo, si riassume l’esposizione lunga, prolissa e disordinata; l’eco, si ripetono le ultime parole dette; la delucidazione, si agevola l’autocomprensione in quanto si sottolinea anche il vissuto, i sentimenti, i temi ricorrenti. Alcuni blocchi della comunicazione possono essere: litigare, biasimare, non ascoltare e cambiare argomento.

Una delle tecniche che il mediatore trasferisce ai partner, perché ristabiliscano una corretta comunicazione, consiste nell’abituarli a descrivere ciò che sentono in prima persona e in modo diretto, invece di accusare l’altro, ad es.: “Quando fai tardi mi sento a disagio” invece di “Tu fai sempre tardi!”. Concorda inoltre con la coppia quale problema discutere per trovare soluzioni efficaci utilizzando il brainstorming in cui è permesso esprimere qualunque idea per selezionare la migliore, e poi verificarne la validità. Il mediatore ASPIC deve:

• Avere una formazione specifica;  

• Essere in grado di condurre sia una mediazione che una consulenza di coppia;

• Essere riservato, neutrale e direttivo; •Essere capace di individuare le collusioni di coppia;

• Essere capace di individuare gli stili di interazione;

• Essere capace di addestrare la coppia all’empatia ed alla progettualità;

• Essere capace di ristrutturare la comunicazione della coppia;

• Essere in grado di riconoscere e fare emergere il conflitto latente che si nasconde sotto il conflitto apparente (l’ammissione deve essere fatta dagli interessati);

• Avere la capacità di intervenire sui blocchi della sfera sessuale;

• Conoscere il diritto di famiglia; •Aver fatto un percorso sia personale che di coppia di evoluzione e crescita;

• Sottoporsi a Supervisione professionale e ad aggiornamento formativo;

• E’ di fondamentale importanza per il mediatore ASPIC saper restituire ai due partner quello che ha percepito e quello che ha sentito attraverso delle tecniche specifiche.


Tecniche utilizzate 

Le tecniche più ricorrenti nell’applicazione del modello sono le seguenti:   

Tecnica del feedback. La modalità del feedback fenomenologico è: mentre tu parlavi io ho visto...ho ascoltato che...ho immaginato che...ho sentito…adesso, in questo momento ti vedo...immagino che…penso che… sento… Questa tecnica si applica nella ristrutturazione della comunicazione; nel momento in cui un partner non riesce a comunicare, ma butta fuori fiumi di parole, dando voce all’emozione, non riuscendo quindi ad ascoltare l’altro, il mediatore ricorre al feedback fenomenologico chiedendogli…Cosa senti? Cosa immagini? Che emozione ti provoca l’emozione del tuo partner? Cos’è che ti provoca questa emozione? In tal modo fa uscire l’emozione emergente. Quando in uno dei due scatta la rabbia e usa una comunicazione sbagliata, non riuscendo a fare diversamente, il mediatore si fa dire direttamente ciò che desidera esprimere, dopo di che glielo restituisce riformulato, in modo emotivamente corretto, e se ciò corrisponde a quanto egli sente, gli chiede se gli va di ripeterlo direttamente al partner; le domande saranno: “vuoi dire all’altro ciò che stai sentendo? Oppure “Adesso che lo hai detto a me, vuoi provare a dirlo a lui?”;

Tecnica del genogramma è uno strumento usato dal mediatore che può aiutare la coppia ad osservare se stessa in un modo nuovo, Consiste in una rappresentazione grafica di un albero genealogico che registra le informazioni sui membri che compongono tre generazioni della propria famiglia e dà informazioni sulle dinamiche relazionali presenti al suo interno e sui miti familiari;

Tecnica del Brainstorming consiste nel far formulare a ruota libera ai coniugi le ipotesi future su temi riguardanti quella che sarà la nuova realtà di vita familiare;

Tecnica del Problem solving, che è un processo che parte dalla esatta definizione di un problema per poi giungere all’individuazione della soluzione o delle soluzioni accettabili per entrambe le parti, arrivando ad accordi, tenendo conto dei bisogni di ognuno e quindi realmente condivisi;

• Le tecniche gestaltiche utilizzate più frequentemente sono: la sedia vuota o sedia che scotta: la persona può proiettare su una sedia posta davanti a sé un personaggio con cui vuole entrare in relazione; questo per favorire un contatto e una presa di consapevolezza del soggetto sui sentimenti che lo legano al personaggio e portare quindi a compimento le Gestalt rimaste aperte. Si intendono per gestalt le emozioni profonde riferite a situazioni passate, che non si sono espresse e quindi sono rimaste dentro di noi come dei nodi da sciogliere;

• Il continuum di consapevolezza: è una tecnica che consente di essere attento e presente al flusso delle sensazioni e dei sentimenti, che cambiano di momento in momento;

• Il monodramma: il soggetto rappresenta di volta in volta, spostandosi da un posto all’altro i contrapposti ruoli di sé, rispetto alla situazione che sta riproducendo: lo scopo di questa tecnica è di conoscere ed integrare le diverse parti di sé;

• La messa in atto: la persona agisce volontariamente alcune situazioni questo le consente di viverle più intensamente di quanto possa fare, rappresentandosele solo verbalmente, e di sperimentare sentimenti ed emozioni fino ad allora soffocate;

• L’amplificazione: consente nell’esplicitare in maniera amplificata quanto avviene nella persona. Viene chiesto al soggetto di ascoltare il proprio corpo, di amplificare una sensazione o un sentimento... “dai voce a quest’emozione…stai a contatto…”. Questa tecnica serve a rendere esplicito ciò che è implicito in modo che gli stessi partner vengano a conoscenza di sentimenti ritenuti prima inesistenti, ed in particolare a far venire fuori il dolore che è sullo sfondo coperto dalla rabbia che è in figura e che è alla base di ogni conflitto.


Le fasi

Nel definire le fasi del modello ASPIC si fa riferimento al “Ciclo di contatto” della Gestalt. Secondo Goodman e Perls il processo gestaltico si suddivide ina quattro fasi:

- pre-contatto

- contatto

- contatto pieno

- post-contatto.

PRECONTATTO (mi attivo) - L’organismo è mobilitato da uno stimolo interno o esterno. CONTATTO (decido di) - Decisione responsabile di agire verso l’ambiente, si analizzano le varie possibilità di soddisfazione di quel bisogno.
CONTATTO PIENO (agisco) - Messa in atto del comportamento appropriato, fusione a confine aperto, con modalità attivo- passiva e con un’aggressività costruttiva a modifica della realtà, senso di compimento, masticazione , cambiamento.
POST CONTATTO (ritiro): E’ la fase della digestione – assimilazione, dell’integrazione dell’esperienza nella dimensione storica e di crescita. Secondo la Gestalt è la consapevolezza che attiva il cambiamento poiché soltanto essendo consapevoli di ciò che si è, ed accettandolo, si può cambiare. Trasportato alla mediazione il ciclo gestaltico si suddivide nelle seguenti quattro fasi in ognuna delle quali sono contemplati obiettivi, tecniche e difficoltà diversi.

PRECONTATTO “NON CI AMIAMO PIU’ (COSA CI STA ACCADENDO?)
La coppia in questa prima fase si trova di fronte al bisogno di sapere cosa sta accadendo. Il mediatore non centra la sua attenzione sul problema, ma effettua un’autopresentazione e la presentazione del proprio modello, chiarendo anche a cosa serve, in modo da evitare inutili aspettative. Può accadere infatti che la coppia arrivi con aspettative non possibili e molto diverse da quelle previste dal contesto (attese magiche). La coppia che arriva in mediazione spesso non sa ancora bene cosa vuole, pertanto si fanno degli incontri di orientamento affinché la coppia si definisca e consapevolizzi la sua scelta. Il mediatore attua “l’accoglienza “rassicurando i partner e facendoli sentire capiti e accettati e, in un’atmosfera distesa e sicura, crea “l’alleanza”, mette in atto la direttività e l’ascolto empatico, la riformulazione, fa stilare una nota dei problemi da risolvere ed esclude tentativi autonomi della coppia. Inoltre si informa se è venuta spontaneamente in maniera responsabile o mandata dall’avvocato o su un invio coatto; si informa su quale dei due partner ha scelto di venire a fare la mediazione e chi invece magari è stato trascinato, e se quest’ultimo è disponibile a confrontarsi. Egli insegnerà alla coppia la tempistica e cioè a parlare uno per volta e ad ascoltarsi, e avrà come tema centrale di questa prima fase l’individuazione del CCRT (Tema Relazionale Conflittuale Centrale). In questa prima fase di pre-contatto vi è “l’analisi della domanda” con una sottolineatura allo stato attuale della separazione e la valutazione della mediabilità, escludendo quindi dal percorso i soggetti che presentino psicopatologie ed inviandoli conseguentemente da uno psicoterapeuta. E’ indispensabile che il Mediatore sia consapevole delle proprie emozioni, per non lasciarsene condizionare, sappia mettere in atto un “ascolto empatico” e sappia prestare attenzione al linguaggio del corpo, in quanto i messaggi verbali non sempre sono congruenti con i messaggi non verbali e sono proprio questi ultimi quelli che daranno una lettura più autentica delle emozioni. Si cominciano a dare i primi compiti cognitivi da fare individualmente a casa su cui poi si porrà l’attenzione negli incontri successivi, come per esempio, quando lo stato conflittuale è alto, invece di litigare, far stilare un elenco contenente cosa piace e cosa non piace dell’altro, esprimendo l’idea di come si vorrebbe che fosse. Haley   nel 1976 ha analizzato , possibili “cattivi” comportamenti del terapeuta , nella fase di valutazione , che noi riteniamo perfettamente calzanti alla figura del Mediatore familiare Aspic, ed ha formulato un elenco di atteggiamenti da non assumere:

1) Non prendere posizione nel senso di non allearsi con l’uno o con l’altro;

2) non intervenire troppo rapidamente e cioè non prima di aver compreso  bene ciò che viene detto dalla coppia;

3) non rispondere alle domande della coppia quando non ci si sente pronti;

4) non andare avanti fin quando i problemi e gli scopi non sono stati chiariti;

5) non discutere sui problemi in modo astratto o poco concreto;

6) non sminuire il peso di un problema anche se sembra piccolo;

7) non permettere alle diversità di prendere il sopravvento nel senso che il mediatore non deve metterle in evidenza;

8) non pensare che i due partner percepiranno il problema allo stesso modo;

9) non sbilanciare il sistema , rimanendo neutro nei confronti dei due partner;

10) non fare interpretazioni premature in quanto si può correre il rischio di sembrare di incolpare uno dei due;

11) non rimanere ancorati al passato , nel senso che il Mediatore in questo stadio interlocutorio , non deve permettere la regressione,  questa fase deve servire solo come raccolta di informazioni;

12) non rimanere ancorato alle teorie e alle spiegazioni di uno dei due partner, non accettando come unica verità la spiegazione del problema individuale;

13) non permettere ai due partner di raccontare lunghe storie;

14) non permettere all’emozione di assumere il controllo della seduta, questa non deve irrompere e agire sugli altri in modo non funzionale;

15) non permettere alla coppia di assumere il controllo della seduta, mantenendo quindi la propria professionalità senza apparire rigido, ma agendo comunque in maniera elastica (Giusti, Pitrone 2004).

In questa fase di pre-contatto il Mediatore espone le regole: ci incontriamo il giorno fisso…all’ora fissa…oppure ci prendiamo l’appuntamento di volta in volta…l’incontro durerà…costa…ecc...

Il Mediatore concentra la sua attenzione sul “come “e “perché” si è attivato il conflitto relazionale che li ha portati al punto di rottura ed è consapevole dell’ostacolo che incontrerà, pertanto strutturerà il processo, in modo tale che quell’ostacolo possa essere superato. La coppia non si ritiene mediabile quando ci si trova di fronte a patologie psichiatriche di uno o entrambi i partner, patologie che il Mediatore ASPIC è stato preparato a riconoscere: per questi soggetti è pressoché impossibile sedersi accanto ad una persona con la quale si è in conflitto; è preferibile pertanto inviarli da uno psicoterapeuta. Lo stesso dicasi in presenza di situazioni di alcoolismo o di abuso e violenza sessuale. E’ di fondamentale importanza che i primi incontri siano di orientamento, che durante tutto il processo non vi siano elementi di giudizio, ed è altrettanto importante fare inizialmente almeno un colloquio individuale, con ciascuno partner, dopo aver fatto un primo colloquio di coppia.

Le difficoltà che il Mediatore potrà trovare potrebbero essere la diffidenza o la sfiducia da parte di uno dei partner, oppure la paura del giudizio o dell’alleanza con l’altro, un eccessivo affidamento o una troppo autonomia, il rifiuto di accettare l’altro come interlocutore, la simpatia o l’antipatia del Mediatore per uno dei partner e un processo di transfert o controtransfert: chi sono io per loro? Chi sono loro per me? Chi rappresenta il Mediatore ai loro occhi? E chi rappresenta la coppia agli occhi del Mediatore? Alla fine di questa prima fase i partner hanno imparato ad ascoltarsi e ad avere una comunicazione corretta, iniziano ad esprimere i propri bisogni, specialmente attraverso i compiti a casa da fare separatamente. Il Mediatore fa un contratto provvisorio con la coppia, esponendo le regole e definendo l’obiettivo finale.


Avvio di contatto “SEPARARSI INSIEME” (PERCHE’ CI SIAMO SCELTI? COSA VOLEVAMO?)

La seconda fase è la fase dell’avvio di contatto: qui vi è il riconoscimento del patto inconscio. La coppia nel raccontarsi ritorna indietro con la memoria e rivivendo quelle antiche emozioni, si ritrova, sorride, si addolcisce e si riavvicina. Il Mediatore pone una particolare attenzione al momento in cui la coppia si è formata, chiedendo a ciascuno “Cosa ti è piaciuto nel momento in cui vi siete incontrati?”

E’ lì il segreto per comprendere il tipo di collusione in cui si trovano, ed è lì che bisogna soffermarsi, infatti sono proprio gli stessi motivi che ieri hanno creato la coppia che in seguito hanno determinato la crisi. Il racconto viene fatto prima dall’uno e poi dall’altro in modo che il Mediatore possa cogliere le dissonanze e le diversità. In particolar modo egli evidenzia il diverso motivo per cui si sono scelti (patto inconscio); fa emergere il conflitto e, dalla modalità di gestione dello stesso, riconosce il patto inconscio (quale bisogno inconscio volevano soddisfare attraverso l’altro) individuando il tipo di collusione, ne rende consapevole la coppia, che inizierà a riconsiderare la propria relazione in maniera completamente diversa. La coppia scopre così che litiga per lo stesso motivo per cui si era scelta (conflitto latente).

In questa fase vi è:

a) il consolidamento dell’alleanza e la fiducia nel trattamento;

b) la costruzione del setting con l’esclusione delle influenze esterne, quali le famiglie di provenienza, figli, amici e nuovi compagni;

c) la presa in carico della coppia.

Qui il Mediatore si assume la responsabilità delle prime sperimentazioni della nuova modalità di  relazionarsi dei partner; continua ad utilizzare la riformulazione ed il feedback fenomenologico; inoltre, ristruttura la comunicazione anche in maniera triangolare e cioè egli chiede ad uno dei partner se vuole  comunicare il sentimento emergente al suo compagno e, nel caso in cui non fosse pronto o fosse arrabbiato, lo invita a rivolgersi al Mediatore stesso, e successivamente direttamente al partner per ripetergli quanto già detto a lui.

E’ in questo modo che la rabbia, che faceva perdere il controllo ed impediva una giusta comunicazione, viene utilizzata per la sua stessa ristrutturazione. Un’ulteriore funzione del Mediatore sarà quella di far rispettare ad entrambi le regole della partecipazione alla Mediazione e di bloccare eventuali tentativi di sopraffazione. In questa fase ci sarà una chiarificazione delle richieste e dei rifiuti, un’esplicitazione di bisogni sottostanti, un contenimento della conflittualità eccessiva dei conflitti apparenti e uno stimolo all’emersione della conflittualità latente, un aumento della consapevolezza attraverso l’accrescimento dell’introspezione, e l’elaborazione del dolore del lutto della separazione.

Il Mediatore attuerà una continua riattribuzione del potere decisionale alle parti, con una restituzione continua della competenza, senza allearsi e senza farsi agganciare dal dolore di uno dei due. Alla fine della seconda fase le parti hanno imparato a parlare di sé e non dell’altro e ad esprimere il dolore; possono quindi iniziare a sperimentare da sole le nuove modalità di comunicazione apprese. La coppia è arrivata alla consapevolezza della propria collusione ed al recupero delle proprie proiezioni.

Contatto pieno “NON PIU’ COPPIA MA GENITORI “(C’ERAVAMO TANTO AMATI)

La terza fase è la fase del contatto pieno: qui si concretizza la distinzione tra coniugalità e genitorialità. Dopo aver scoperto il “patto segreto” , evidenziato  le proiezioni e stabilita quale è la collusione, il Mediatore fa l’analisi del legame affettivo in relazione alle dinamiche attuali, ai legami infantili ed agli  stili di attaccamento e si sofferma:

a) sulla esplorazione della  genitorialità evitando anche l’esasperazione del conflitto;

b) sulla riattualizzazione delle disfunzionalità per evitare l’evitamento del conflitto;

c) sulla restituzione di competenze da sé alla coppia per evitare lo spostamento del conflitto sul Mediatore stesso.

Inoltre, la coppia percepisce positivamente quelle differenze che finora erano state la causa di tanti litigi ed accetta la doppia polarità che contraddistingue entrambi.

Il Mediatore consiglia i partner di monitorare i propri comportamenti e a segnarli su un diario, concorda l’ordine dei problemi e ricerca con loro nuove possibilità di soluzione.

Gli obiettivi sono specifici, accessibili, limitati nel tempo e indirizzati a modificare un comportamento disfunzionale. E’ principalmente nella terza fase che si ricorre alle tecniche gestaltiche di drammatizzazione per riconoscere il bisogno dei figli: ognuno rivivendo il proprio “io bambino” riesce a concordare con l’altro un programma accettabile per entrambi. Si sperimenta la capacità della coppia di gestire autonomamente i piccoli conflitti e si fa un esame dei vantaggi raggiunti.

Dal momento in cui la coppia decide di separarsi, il Mediatore ASPIC non esaspera più il sintomo, né si sofferma a ristrutturare la relazione di coppia, ma tende ad abbassare il livello di conflittualità in quanto, solo quando si smette con le accuse reciproche e ognuno si assume la propria responsabilità, si può passare alla separazione nel modo meno ostile possibile, e si può incominciare a ristrutturare la nuova relazione stessa.

In questa fase c’è il riconoscimento reciproco della realtà di ciascuno; si rifà l’analisi della domanda per sottolineare a far emergere con chiarezza che si sta abbandonando la coniugalità; si attua la ricerca di soluzioni alternative sui vari punti di vista nelle discussioni; si esplora la genitorialità e le disfunzionalità; ci si immedesima nell’altro o nella prole, come criterio di selezione di nuove proposte, che vanno ricercate ed esaminate; si individua un obiettivo pragmatico (figli, abitazione, mantenimento) su cui ognuno a casa stilerà un’ipotesi di accordo che poi discuterà nell’incontro successivo.

Si elabora il lutto della separazione affrontando e superando la delusione, la perdita della speranza ed il senso di fallimento; il Mediatore pertanto metterà l’accento sul fatto che si stanno impegnando per realizzare una buona coppia genitoriale: non sono dei falliti!

In questa terza fase si agevola l’espressione piena dell’emozione, per sanare tutti i conflitti onde evitare risentimenti futuri ed il riaffiorare di dinamiche antiche. Alla fine della fase del contatto pieno non ci devono essere più zone d’ombra: ognuno ha elaborato il proprio bisogno e ha riconosciuto quello dell’altro.

Post- contatto: “UNA NUOVA PROGETTUALITA” (LA RELAZIONE E’CAMBIATA)

La quarta fase è la fase del post-contatto: qui si effettua l’individuazione della parte che andrà condivisa come genitori separati e il riconoscimento solo come coppia genitoriale, con una nuova progettualità. Si attua lo sviluppo intenzionale della relazione con un accrescimento della stima di sé e dell’altro e la revisione della genitorialità con una nuova distribuzione dei compiti.

A questo si giunge con un BRAINSTORMING sui progetti futuri, che consiste nel centrarsi sui problemi facendo tesoro del passato, vissuto insieme, e nel concentrarsi sulla loro soluzione, proiettandosi nel futuro anche se “da separati” in quanto avranno sempre qualcosa in comune.

Il Mediatore, facendo ricorso alla sua formazione anche in diritto di famiglia, aiuta la coppia a stilare un accordo. E’ da rilevare che questo è uno dei momenti più delicati in quanto, all’atto di firmare le decisioni di natura economica, seppur già prese concordemente, spesso vi è una riattualizzazione del conflitto; sarà compito del Mediatore riuscire a mettere nuovamente la coppia nella condizione di affrontare e superare il nuovo ostacolo.

L’accordo viene poi formalizzato e trasferito in giudizio, dopo essersi garantiti l’accettazione da parte dei figli, delle famiglie di provenienza e degli avvocati. Inoltre si attua lo scioglimento progressivo del legame con il Mediatore e la cessazione del trattamento.

Il Mediatore chiede ai partner di raccontarsi “nel qui ed ora” su come si sentono nella nuova relazione; c’è la consapevolezza della ripetitività del processo, si raggiunge una forma di complicità e di genitorialità, condivisa non senza la certezza dell’elasticità degli accordi e con la possibilità dunque della non variabilità nel tempo. Per la presentazione dell’accordo finale è consigliabile farne fare una duplice copia da far firmare ad entrambi davanti al Mediatore, prima di portarlo dall’avvocato; il Mediatore sa quanto ciò possa dare un senso di soddisfazione alla coppia: “questo lo abbiamo fatto noi!”

Nella quarta fase si effettua la chiusura, c’è l’esigenza di portare alla consapevolezza della coppia tutto il percorso fatto, percorso che è durato per lungo tempo; i partner stessi ricordano come erano quando sono arrivati in Mediazione e come sono ora.

Sanno che qualcosa nella loro vita è cambiata, in meglio naturalmente, e sanno che potranno tornare ogni volta che ne sentiranno il bisogno. Al termine delle quattro fasi c’è un ulteriore spazio di incontro con la coppia, denominato FOLLOW UP: è la verifica.

 

Spero che il mio articolo sia stato per te interessante e ti chiedo, se hai bisogno di approfondire qualche aspetto di contattarmi pure e ti risponderò subito. Inoltre se stai vivendo un momento difficile e stai per separarti puoi contattarmi per la Mediazione Familiare. Sicuramente darò a entrambi i prtner l'impressione di essere accolti e accompagnati in questo percorso non facile della Separazione. Vi aspetto.

 

Articolo del:


di Giulia Frattini

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