La Messa in Stato d'Accusa del Presidente della Repubblica


Il Presidente della Repubblica può esser messo in stato d'accusa secondo le norme contenute in apposito regolamento parlamentare
La Messa in Stato d'Accusa del Presidente della Repubblica

L’art. 90 Cost. recita: “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione".

In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri”. L’articolo in questione, nella parte riguardante la messa in stato d’accusa, è stato ulteriormente definito ed integrato dalla legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 agli art. 12 e 13 e da un regolamento parlamentare.

Le due ipotesi di reato, contemplate da queste norme, ed il relativo dettato processuale, non hanno avuto nel tempo la stessa sorte dei delitti comuni, previsti dai codici, anche (ma non solo) perché, ovviamente, manca una nutrita giurisprudenza che ne chiarisca le incertezze. Invece, sono numerosissimi gli orientamenti dottrinari, tuttavia molto soggettivi e pericolosamente citati dai media come fonti autorevoli, quasi fossero la costituzione stessa.

Molte opinioni di valenti giuristi sono spesso, oltre che tra loro discordanti, troppo soggettivi e scarsamente aderenti al dettato costituzionale: l’esame dei reati presidenziali può aver valore solo se puntualmente condotto sul testo della Costituzione. Per intendere il reato di “attentato alla costituzione” occorre tener presente la funzione del Capo dello Stato nella nostra Costituzione. Viene spesso ripetuto che la Costituzione riserva al Presidente della Repubblica la funzione di arbitro imparziale. Ciò è vero, ma il Capo dello Stato è molto di più, perché la sua posizione è, nella nostra costituzione, centrale per quanto riguarda il funzionamento degli organi costituzionali. Nella parte dedicata all’ordinamento della Repubblica, la figura del Presidente vien subito dopo il Parlamento e prima del governo e della magistratura. Il parlamento può venire ad essere senza il presidente della repubblica, ma non può esser sciolto che da lui ed il governo non può venir ad essere senza il Capo dello Stato, che sceglie il presidente del consiglio e nomina i ministri. Lo stesso vale per il Consiglio Superiore della Magistratura, organo di autogoverno della stessa, presieduta dal Presidente della Repubblica. Il presidente della Repubblica è cerniera tra il potere legislativo e quello esecutivo, le sue funzioni, elencate, dall’art. 87, definiscono come il presidente deve realizzare l’unità nazionale, tutelare diritti e doveri, il potere legislativo e attivare quello esecutivo.

Pur essendo limitati, i poteri del Presidente sono, infatti, tali da non consentire il funzionamento di nessuno degli organismi costituzionali senza il suo intervento. Quando queste tutele e queste attività vengono meno, anche la Costituzione viene meno e in questo consiste l’attentato alla costituzione.

Nella storia della nostra repubblica ci sono stati solo due casi di richiesta di messa in stato d’accusa del presidente: nel 1991 e nel 2014. Il sei dicembre 1991 fu presentata una richiesta di messa in stato d’accusa dell’allora Presidente Cossiga e fu il solo caso formalmente dibattuto in vista di eventuale messa in stato di accusa. L’esame dei singoli capi d’accusa (ventinove in tutto) consente di cogliere il nocciolo della denuncia: gli interventi del presidente, qualunque fosse la finalità politica perseguita, sarebbero stati – secondo l’accusa – volti ad impedire il funzionamento degli organi costituzionali. Valga per tutto la minaccia che il Presidente Cossiga avrebbe fatto di autosospendere la carica presidenziale. Da qui l’accusa di attentato alla costituzione. Tuttavia la discussione sulla messa in stato d’accusa non fu rimessa all’organismo giurisdizionale, ma, come prevede la Costituzione al Parlamento, per definizione organismo eminentemente politico.

Più precisamente la discussione si svolse in una particolare commissione del Parlamento, non prevista dalla Costituzione, ma istituita da un apposito regolamento parlamentare. Il 3 luglio 1989 la Gazzetta Ufficiale aveva pubblicato il regolamento parlamentare per i procedimenti d’accusa, votato da entrambi i rami del parlamento: dal Senato il 7 giugno 1989 e dalla Camera il 28 giugno, che sostituiva un altro precedente.

E’ questa, tuttora, la procedura prevista a carico del Presidente incriminato. L’accusa viene presentata al presidente della Camera, che, a sua volta, ne dà notizia al presidente del Senato e la presenta ad un apposito comitato formato dai componenti della giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato assieme alla giunta per le elezioni della Camera. Tuttavia il Comitato può anche procedere d’ufficio, facendo indagini di sua iniziativa anche su richiesta di uno solo dei suoi componenti (art. 8 e 10). In tal caso il Comitato dà notizia delle indagini disposte al presidente della Camera che, a sua volta, ne informa il presidente del Senato. L’intero operato del Comitato avviene in via riservata, compreso l’avvio delle indagini.

Il Comitato tuttavia può chiedere ai presidenti delle camere di dar notizia alle rispettive assemblee delle trasmissioni e comunicazioni concernenti i rapporti, i referti, le denunce e le indagini (art. 8, co. 3). Questo comitato, esaminata la denuncia, può dichiarare la propria incompetenza, qualora ritenga che i reati non siano quelli previsti ex art. 90 Cost. ovvero archiviare con ordinanze trasmesse ai presidenti delle due camere, che poi ne danno notizia alle rispettive assemblee (art. 11, co.1). Oppure il Comitato può concludere per la messa in stato d’accusa (lo si deduce dall’art. 12 co. 1).

Il Parlamento in seduta comune, ricevute le comunicazioni del caso, comprese quelle relative alle ordinanze di archiviazione o di incompetenza, può richiedere in forma scritta, su istanza di almeno un quarto dei suoi componenti, al presidente della camera di appartenenza dei richiedenti (che verifica l’autenticità delle sottoscrizioni), che il Comitato relazioni per iscritto sui fatti (art. 11, co. 2). In mancanza di tale richiesta le archiviazioni e le dichiarazioni di incompetenza divengono definitive e i presidenti delle due camere ne comunicano la definitività alle rispettive assemblee (art. 11, co. 3). Qualora il Comitato archivi o si dichiari incompetente a decidere, giacché la sua funzione è limitata ai reati presidenziali ex art. 90, gli atti sono rimessi al magistrato ordinario per l’esame di eventuali responsabilità personali del presidente accusato (il capo dello stato italiano gode di immunità solo che per gli atti compiuti nella sua funzione). Qualora opti per la messa in stato d’accusa il Comitato relaziona con atto che contenga l'enunciazione del fatto, l'indicazione delle indagini esperite, le conclusioni con l'indicazione degli addebiti con le relative ipotesi di reato e degli elementi su cui la proposta è basata (art. 12, co. 1 e 2). Entrambe le soluzioni, archiviazione e messa in stato d’accusa sono votate a maggioranza e, nel caso di giudizio positivo circa la messa in stato d’accusa, questa è presentata al Parlamento in seduta comune, assieme, eventualmente, alla relazione di minoranza. Se il Parlamento delibera l’atto d’accusa (è prevista la maggioranza assoluta, art. 18, n. 7), questo viene rimesso, assieme ai nominativi di uno o più commissari eletti a sostegno dell’accusa, alla Corte Costituzionale, aumentata di altri sedici giudici aggregati: cittadini con i requisiti di eleggibilità a senatori (art. 58 Cost.), estratti a sorte da un elenco apposito compilato dal Parlamento ogni nove anni. Dalla Corte, così aumentata, si trae quindi un collegio giudicante di 21 membri in cui i giudici aggregati devono esser la maggioranza. Non sono ammesse astensioni e le sentenze (una per ogni accusa) sono irrevocabili, ma soggette a revisione da parte della Corte Costituzionale se, dopo la condanna, sopravvengano nuovi fatti o nuove prove. Un procedimento invero quanto di più macchinoso si possa immaginare, tanto da far ritenere che, di fatto, sia pressoché impossibile processare il Capo dello Stato e che le norme in questione valgano soltanto come pressione politica.

Però, nel 2018 si ventilò da alcune parti politiche di mettere in stato d’accusa l’attuale Presidente Mattarella e la maggioranza parlamentare a sostegno della compagine governativa ora in carica sarebbe stata tale da tradurre in pratica la minaccia, se fosse stata concorde e se non fosse intervenuto un ripensamento ed una composizione sul contrasto insorto.

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di Avv. Pietro Bognetti

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