La difficile tassazione delle tabaccherie e ricevitorie del lotto

Il problema della tassazione dei redditi provenienti dall’attività di gestione di una tabaccheria o di una ricevitoria del lotto, discende direttamente dalla forma di inquadramento dell’impresa.
Nel caso di specie entrambe le attività, gestite in conformità ai regolamenti emanati nel corso degli anni, fanno riferimento all’attività quale gestita esclusivamente da persone fisiche.
In effetti, come indica il regolamento per i servizi di distribuzione e vendita dei generi di monopolio (Legge 22/12/1957 n. 1293) all’art. 6, dove si indicano le cause di esclusione dalla gestione, si indicano i requisiti in mancanza dei quali non può essere affidata la concessione per la gestione di una rivendita che, di fatto, resta affidabile solo ad una persona fisica.
Ne deriva che l’organizzazione tributaria risente notevolmente di tale limite nella libertà organizzativa dell’impresa. In effetti se la gestione è a carico esclusivo di un soggetto persona fisica non sarà possibile organizzare l’attività in forma societaria per gestire il reddito prodotto, laddove l’indicazione “per gestire il reddito prodotto”, non significa voler ripartire artificiosamente tra più soggetti il reddito della tabaccheria/ricevitoria, onde ottenerne un beneficio tributario o previdenziale ma significa, invece, poter correttamente attribuire ad ogni partecipante all’impresa, che non sia un dipendente della stessa, la quota di reddito o utile legittimamente spettante.
Attualmente, considerato che la concessione può essere assegnata solo ad un soggetto persona fisica (in pratica una ditta individuale), l’unica forma partecipativa prevista nella ripartizione del reddito è l’istituto dell’impresa familiare, con tutti i limiti previsti da tale forma di inquadramento.
In effetti la norma tributaria nel caso è imperativa: al titolare dell’impresa familiare (che può quindi esistere solo con familiari stretti dell’imprenditore, i cui riferimenti normativi fondamentali sono l’articolo 230 bis del codice civile e l’articolo 5 del TUIR) va attribuito un minimo del 51% del reddito, mentre il restante 49%, ricorrendone le condizioni (effettiva partecipazione all’attività e proporzionalità con la quantità e qualità del lavoro prestato dai collaboratori) va ripartito tra i collaboratori dell’impresa familiare.
E’ di facile comprensione come tale norma vada in contrasto con la reale gestione di molte tabaccherie/ricevitorie. La difficoltà di molti gestori di attività ben avviate, produttive di redditi importanti, è relativa all’alta percentuale di costo delle imposte e contributi gravanti sulla gestione.
In effetti, in alcuni casi, l’onere fiscale/previdenziale (quale sommatoria delle imposte, addizionali e ammontare dei contributi inps) supera il 60% del reddito dichiarato e, in casi più sporadici, oltrepassa la soglia del 65%.
Proprio per ridurre tali soglie “improponibili” in molti hanno cercato di poter far gestire le attività a varie forme societarie ma, come visto in precedenza, l’attività può essere intestata solo ed esclusivamente ad un soggetto persona fisica, per cui il problema persiste.
Da più parti è stata invocata la possibilità di intestare la concessione a società (siano esse di persone o di capitali), ma mentre tale possibilità porterebbe da un lato ad un vantaggio fiscale per i concessionari, derivante da una diversa e più equa distribuzione del carico tributario/previdenziale, dall’altro aprirebbe alla possibilità di rilascio delle concessioni alla distribuzione in genere (supermercati ed altri esercizi) portando ad una frammentazione del servizio con gravi danni per la redditività dei ricevitori con la scomparsa del regime di monopolio in cui operano all’attualità tutti i ricevitori.
L’obiettivo di voler ridurre il carico fiscale, che come abbiamo visto è divenuto in alcuni casi davvero insostenibile, non è un’esigenza legata a fenomeni di elusione e tantomeno di evasione fiscale, ma nei casi indicati va considerato come un obiettivo legato tanto al fenomeno del cosiddetto ricambio generazionale e tanto, come anticipato, all’equa ripartizione del reddito prodotto con i conseguenti riflessi in termini di equità fiscale.
In effetti la stragrande maggioranza delle concessioni sono passate, come si usa dire, di padre in figlio, e così via per generazioni. In molti di questi passaggi generazionali il titolare della concessione ha trasferito ai figli (anzi ad uno solo) la gestione, ma subendo il problema dell’intestazione dell’azienda che, come prima detto, doveva essere posta in capo ad uno solo dei figli. E gli altri figli che prestavano la loro opera in azienda? Per l’amministrazione finanziaria l’unico strumento applicabile resta l’impresa familiare, con tutti i limiti prima visti.
Ipotizziamo che il padre abbia tre figli. Ad uno intesta l’azienda/concessionaria, mentre gli altri parteciperanno all’attività e alla ripartizione dei proventi e, quindi, in tal caso, i figli ripartiranno il reddito nella quota di un terzo ciascuno. Tale ultima affermazione (che rappresenta un’ipotesi molto frequente nella realtà) cozza decisamente con la circostanza che ai fini della tassazione il figlio titolare tasserà (almeno) il 51% del reddito prodotto mentre gli altri due dichiareranno il restante 49% creando una diseguaglianza fiscale di fatto. Nessuno dei tre figli pagherà le imposte su quanto spettante, né su quanto percepito, con la conseguenza che tra loro saranno costretti a fare dei conguagli tra chi paga di più e chi meno.
Sino al 2015 tale fattispecie veniva in molti casi regolata attraverso un contratto di associazione in partecipazione, atto con il quale il titolare, a fronte del lavoro effettivamente prestato dai fratelli, attribuiva agli stessi la quota indicata nel contratto che rispecchiava la volontà delle parti (in questo caso 1/3 ciascuno). Purtroppo nel 2015 è intervenuto il Jobs Act, che ha annullato la possibilità di stipulare atti di associazione in partecipazione che prevedessero l’apporto di lavoro degli associati d’opera (come nell’esempio dei fratelli su indicato), per cui vanno individuate altre forme di ripartizione del reddito compatibili con la norma tributaria.
Come già rammentato l’esigenza di ripartire il reddito della concessionaria non dev’essere dettata da finalità elusive o di evasione, tutt’altro. Nasce dall’esigenza di distribuire il carico tributario/previdenziale in proporzione all'effettiva partecipazione all’attività ed alla produzione del reddito della stessa.
Ovviamente tale indicazione presuppone che si tratti di un’attività nella quale il reddito venga effettivamente prodotto da soggetti che partecipano all’attività stessa, ma la cui remunerazione sia proporzionale ai risultati raggiunti o agli aggi conseguiti, come nell’ipotesi dei tre fratelli.
In ipotesi, invece, di obblighi di presenza, di rispetto dell’orario, della possibilità dell’adozione di provvedimenti disciplinari, di esistenza di uno stipendio, non si potrà ipotizzare una partecipazione, ma un vero e proprio rapporto di lavoro dipendente.
L’ipotesi avanzata è valida esclusivamente nel caso in cui più soggetti partecipino ai proventi dell’azienda, e in nessun altro caso.
In definitiva, nell’ipotesi in cui più soggetti partecipino alla ripartizione dei proventi ed abbiano una remunerazione proporzionale al lavoro prestato ed ai risultati raggiunti, è ipotizzabile la creazione di strutture societarie che affianchino la gestione dell’azienda, sempre inquadrata quale ditta individuale, partecipando alla ripartizione degli utili e compensi, ripristinando il corretto e più equo rapporto tra ciò che si è percepito e il conseguente costo tributario/previdenziale.
In linea di massima è il modo corretto di ripristinare anche se parzialmente il corretto rapporto tra compensi/utili percepiti e l’ammontare degli oneri tributari/previdenziali.
Ma ovviamente ogni situazione ha caratteristiche di gestione proprie che vanno evidenziate ed esaminate nella loro unicità aziendale per poter giungere al corretto rapporto prima indicato tra redditi e oneri tributari/previdenziali ed individuare la forma più corretta di inquadramento.
Dott. Rag. Antonio De Simone
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