La vestizione degli abiti di lavoro va pagata
La Cassazione ha chiarito che, per alcune mansioni, il tempo impiegato dal lavoratore in azienda per indossare la divisa da lavoro va remunerato
Con la recentissima Sentenza n. 9417/2018, la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito il principio secondo cui il tempo impiegato dal lavoratore per indossare la tuta da lavoro, idonea e necessaria per eseguire la prestazione lavorativa a cui si è addetti, deve essere ricompreso a tutti gli effeti nell’orario di lavoro. Esso, pertanto, deve essere pagato, anche se non previsto specificatamente dal contratto di lavoro.
Con tale pronuncia, la Suprema Corte ha accolto il ricorso dei dipendenti di una società di servizi, i quali avevano chiesto che i tempi necessari per la vestizione e svestizione dagli indumenti idonei e necessari alla prestazione lavorativa fossero riconosciuti dall'azienda come facenti parte dell’orario di lavoro.
Ben si comprende che in alcuni specifici casi, il tempo che il lavoratore impiega per indossare la divisa lavorativa debba essere considerato a tutti gli effetti come orario di lavoro e, pertanto, debba essere retribuito.
Tale principio era stato enunciato anche in precedenza dagli Ermellini, in particolare nella sentenza n. 1352/2016, laddove si era affermato che "l’assenza per il lavoratore della libertà di scelta dei tempi e dei luoghi in cui indossare gli indumenti necessari, non permette di ritenere la relativa operazione come relativa agli atti di diligenza meramente preparatoria allo svolgimento dell’attività lavorativa, imponendo proprio per la mancanza di discrezionalità, che il tempo necessario per il suo compimento debba essere retribuito".
Il principio su esposto è stato ribadito, appunto, con la sentenza n. 9417 del 2018, la quale ha stabilito che per alcune professioni, come ad esempio quella dell’inserviente di mensa, il camice non può essere indossato a casa per ragioni inerenti all’igiene pubblica. Per tal ragione, spetta all’azienda adibire e mettere a disposizione dei lavoratori spazi idonei per il cambio degli indumenti.
Ebbene, lo spogliatoio per il cambio degli indumenti, trovandosi all’interno dell’area aziendale, rientra perfettamente tra i cd. "ambienti o luoghi di lavoro" e, di conseguenza, il tempo impiegato nella vestizione rientra nell'ambito della prestazione lavorativa svolta.
Tuttavia, alla luce di quanto premesso, la Suprema Corte ha specificato che, al fine della catalogazione di quello spazio come orario di lavoro, è sufficiente che in quel determinato periodo o lasso temporale, il lavoratore sia a disposizione dell’azienda nell’esercizio delle sue attività.
Tale principio, inoltre, è riportato anche nell’art. 1 comma II°, lettera A del D.Lgs. n. 66/2003.
Quindi, poiché l'atto di indossare la divisa aziendale è ricompreso fra le attività necessarie ed obbligatorie per svolgere l’attività professionale a cui si è addetti, il tempo necessario per il cambio va considerato a tutti gli effetti come orario di lavoro e, pertanto, meritevole di retribuzione. Tale obbligo, è indipendente da quanto previsto eventualmente dal CCNL di riferimento.
Va ben chiarito, però, che tale principio non ha valenza assoluta, come ha fatto ben intendere la S.C. e, pertanto, non può valere per tutti i lavoratori, ma soltanto per coloro che per motivi di natura igienico/sanitaria non possano indossare la divisa prima di recarsi sul posto di lavoro o al di fuori dello stesso.
La Corte di Cassazione, infine, anche con la sentenza n. 7738 del 28.03.2018, ha ribadito che, laddove sia il datore di lavoro a scegliere il tempo ed il luogo in cui i propri dipendenti debbano indossare la divisa, togliendo a questi la discrezionalità per tale attività, in questo lasso temporale il lavoratore viene a trovarsi a disposizione del datore di lavoro e, pertanto, va remunerato regolarmente.
Con tale pronuncia, la Suprema Corte ha accolto il ricorso dei dipendenti di una società di servizi, i quali avevano chiesto che i tempi necessari per la vestizione e svestizione dagli indumenti idonei e necessari alla prestazione lavorativa fossero riconosciuti dall'azienda come facenti parte dell’orario di lavoro.
Ben si comprende che in alcuni specifici casi, il tempo che il lavoratore impiega per indossare la divisa lavorativa debba essere considerato a tutti gli effetti come orario di lavoro e, pertanto, debba essere retribuito.
Tale principio era stato enunciato anche in precedenza dagli Ermellini, in particolare nella sentenza n. 1352/2016, laddove si era affermato che "l’assenza per il lavoratore della libertà di scelta dei tempi e dei luoghi in cui indossare gli indumenti necessari, non permette di ritenere la relativa operazione come relativa agli atti di diligenza meramente preparatoria allo svolgimento dell’attività lavorativa, imponendo proprio per la mancanza di discrezionalità, che il tempo necessario per il suo compimento debba essere retribuito".
Il principio su esposto è stato ribadito, appunto, con la sentenza n. 9417 del 2018, la quale ha stabilito che per alcune professioni, come ad esempio quella dell’inserviente di mensa, il camice non può essere indossato a casa per ragioni inerenti all’igiene pubblica. Per tal ragione, spetta all’azienda adibire e mettere a disposizione dei lavoratori spazi idonei per il cambio degli indumenti.
Ebbene, lo spogliatoio per il cambio degli indumenti, trovandosi all’interno dell’area aziendale, rientra perfettamente tra i cd. "ambienti o luoghi di lavoro" e, di conseguenza, il tempo impiegato nella vestizione rientra nell'ambito della prestazione lavorativa svolta.
Tuttavia, alla luce di quanto premesso, la Suprema Corte ha specificato che, al fine della catalogazione di quello spazio come orario di lavoro, è sufficiente che in quel determinato periodo o lasso temporale, il lavoratore sia a disposizione dell’azienda nell’esercizio delle sue attività.
Tale principio, inoltre, è riportato anche nell’art. 1 comma II°, lettera A del D.Lgs. n. 66/2003.
Quindi, poiché l'atto di indossare la divisa aziendale è ricompreso fra le attività necessarie ed obbligatorie per svolgere l’attività professionale a cui si è addetti, il tempo necessario per il cambio va considerato a tutti gli effetti come orario di lavoro e, pertanto, meritevole di retribuzione. Tale obbligo, è indipendente da quanto previsto eventualmente dal CCNL di riferimento.
Va ben chiarito, però, che tale principio non ha valenza assoluta, come ha fatto ben intendere la S.C. e, pertanto, non può valere per tutti i lavoratori, ma soltanto per coloro che per motivi di natura igienico/sanitaria non possano indossare la divisa prima di recarsi sul posto di lavoro o al di fuori dello stesso.
La Corte di Cassazione, infine, anche con la sentenza n. 7738 del 28.03.2018, ha ribadito che, laddove sia il datore di lavoro a scegliere il tempo ed il luogo in cui i propri dipendenti debbano indossare la divisa, togliendo a questi la discrezionalità per tale attività, in questo lasso temporale il lavoratore viene a trovarsi a disposizione del datore di lavoro e, pertanto, va remunerato regolarmente.
Articolo del: