Le “ADR”: valida alternativa al Tribunale civile
Come sfuggire alle lentezze della giustizia ordinaria

Sono oramai vent'anni che il nostro legislatore tenta di riformare la giustizia civile ma, a dispetto dei roboanti annunci, lo smaltimento del cronico arretrato giudiziale e la lunghezza dei procedimenti sono problemi ancora all'ordine del giorno.
Laddove la giustizia statuale non riesce a far fronte nemmeno al carico ordinario delle nuove cause, sorge perciò la necessità di percorrere altre strade per rispondere alla domanda di giustizia dei cittadini.
Ora, dal momento che il sistema giustizia nel nostro paese è sempre ruotato intorno alla "lite" e, fin dall’Università, il percorso di studi affrontato dai futuri operatori del diritto è stato impostato in termini di preparazione alla "lite", è forse giunto il tempo di cambiare strada.
Questa "nuova via" può esser rappresentata dalle cosiddette ADR (Alternative Dispute Resolution), in particolare la mediazione e l’arbitrato.
Da avvocato, infatti, verifico spesso "sul campo" la difficoltà sempre maggiore nel rispondere, in termini di sufficiente certezza, alle tre domande che i clienti rivolgono al legale allorquando si tratti di ricorrere al giudice: 1) sapere se hanno ragione o torto; 2) quanto tempo occorrerà per sapere se hanno ragione o torto; 3) quanto gli costerà sapere se hanno ragione o torto.
E’ dunque l’evoluzione stessa della nostra società che, richiedendo una sempre maggior celerità nella risoluzione delle controversie (si pensi alle necessità degli operatori economici per i quali le tempistiche della giustizia convenzionale sono sempre più inadeguate), fa sorgere l’esigenza di ricorrere alle ADR quali valida alternativa alla giurisdizione statuale.
Ebbene, ciò che accomuna questo tipo di procedure è - in ogni caso - il considerevole risparmio di tempo che la loro adozione comporta a beneficio delle parti!
La mediazione, istituto di matrice anglosassone, è stata inizialmente introdotta in Italia dal D. Lgs 28/2010, poi emendato e riformato dal D.L. 69/2013.
Attraverso questo istituto, al fine di risolvere la controversia insorta tra di loro, le parti ricorrono all’ausilio di un terzo (il mediatore) che le aiuta a trovare un punto d’incontro tale per cui esse perdono interesse a coltivare la controversia insorta.
Attenzione! La definizione della lite tra le parti non comporta che la loro disputa sia risolta stabilendo chi tra le due abbia ragione o torto: l’importante è il raggiungimento di una consonanza che, in quanto tale, sopisca la lite tra di loro.
Non essendo un giudice, il mediatore non avrà alcuna capacità impositiva né autoritativa nei confronti delle parti, aiutandole semplicemente a trovare un accordo che, dunque, non potrà essere loro imposto in alcun modo: una volta perfezionata l’intesa, la legge prevede che essa costituisca titolo esecutivo, al fine di dotarla di efficacia e rilievo giuridico alla stregua delle decisioni emanate dai giudici ordinari.
L’arbitrato, invece, è un istituto che permette alle parti - attraverso un accordo preventivo (per esempio inserito quale clausola in un contratto che le medesime abbiano stipulato) ovvero con intesa successiva al sorgere di una disputa tra di loro - di demandare la risoluzione della controversia, anziché al giudice ordinario, alla decisione di un terzo (arbitro).
A differenza del mediatore, tuttavia, all’arbitro è riconosciuta dalla legge autorità impositiva, di modo che le parti, una volta che abbiano scelto di "affidarsi" a lui, saranno costrette ad adeguarsi alla decisione che egli emanerà: in tal caso l’arbitro - a differenza del mediatore il quale cerca di "soffocare" sul nascere la lite aiutando le parti a trovare un accordo - entra nel merito della controversia stabilendo chi abbia torto o ragione secondo i rigidi canoni del diritto (quale vero e proprio giudice privato).
In conclusione, volendo spogliarci di preconcetti oramai datati (da cui hanno tratto origine le celebri locuzioni "Le faccio causa!" oppure "Ci vedremo in Tribunale!"), è proprio il caso di dire, parafrasando un celebre motto coniato da Adriano Celentano, che dirimere i contenziosi senza ricorrere al giudice ordinario è "rock" ma, soprattutto, non è ... "lento"!
Laddove la giustizia statuale non riesce a far fronte nemmeno al carico ordinario delle nuove cause, sorge perciò la necessità di percorrere altre strade per rispondere alla domanda di giustizia dei cittadini.
Ora, dal momento che il sistema giustizia nel nostro paese è sempre ruotato intorno alla "lite" e, fin dall’Università, il percorso di studi affrontato dai futuri operatori del diritto è stato impostato in termini di preparazione alla "lite", è forse giunto il tempo di cambiare strada.
Questa "nuova via" può esser rappresentata dalle cosiddette ADR (Alternative Dispute Resolution), in particolare la mediazione e l’arbitrato.
Da avvocato, infatti, verifico spesso "sul campo" la difficoltà sempre maggiore nel rispondere, in termini di sufficiente certezza, alle tre domande che i clienti rivolgono al legale allorquando si tratti di ricorrere al giudice: 1) sapere se hanno ragione o torto; 2) quanto tempo occorrerà per sapere se hanno ragione o torto; 3) quanto gli costerà sapere se hanno ragione o torto.
E’ dunque l’evoluzione stessa della nostra società che, richiedendo una sempre maggior celerità nella risoluzione delle controversie (si pensi alle necessità degli operatori economici per i quali le tempistiche della giustizia convenzionale sono sempre più inadeguate), fa sorgere l’esigenza di ricorrere alle ADR quali valida alternativa alla giurisdizione statuale.
Ebbene, ciò che accomuna questo tipo di procedure è - in ogni caso - il considerevole risparmio di tempo che la loro adozione comporta a beneficio delle parti!
La mediazione, istituto di matrice anglosassone, è stata inizialmente introdotta in Italia dal D. Lgs 28/2010, poi emendato e riformato dal D.L. 69/2013.
Attraverso questo istituto, al fine di risolvere la controversia insorta tra di loro, le parti ricorrono all’ausilio di un terzo (il mediatore) che le aiuta a trovare un punto d’incontro tale per cui esse perdono interesse a coltivare la controversia insorta.
Attenzione! La definizione della lite tra le parti non comporta che la loro disputa sia risolta stabilendo chi tra le due abbia ragione o torto: l’importante è il raggiungimento di una consonanza che, in quanto tale, sopisca la lite tra di loro.
Non essendo un giudice, il mediatore non avrà alcuna capacità impositiva né autoritativa nei confronti delle parti, aiutandole semplicemente a trovare un accordo che, dunque, non potrà essere loro imposto in alcun modo: una volta perfezionata l’intesa, la legge prevede che essa costituisca titolo esecutivo, al fine di dotarla di efficacia e rilievo giuridico alla stregua delle decisioni emanate dai giudici ordinari.
L’arbitrato, invece, è un istituto che permette alle parti - attraverso un accordo preventivo (per esempio inserito quale clausola in un contratto che le medesime abbiano stipulato) ovvero con intesa successiva al sorgere di una disputa tra di loro - di demandare la risoluzione della controversia, anziché al giudice ordinario, alla decisione di un terzo (arbitro).
A differenza del mediatore, tuttavia, all’arbitro è riconosciuta dalla legge autorità impositiva, di modo che le parti, una volta che abbiano scelto di "affidarsi" a lui, saranno costrette ad adeguarsi alla decisione che egli emanerà: in tal caso l’arbitro - a differenza del mediatore il quale cerca di "soffocare" sul nascere la lite aiutando le parti a trovare un accordo - entra nel merito della controversia stabilendo chi abbia torto o ragione secondo i rigidi canoni del diritto (quale vero e proprio giudice privato).
In conclusione, volendo spogliarci di preconcetti oramai datati (da cui hanno tratto origine le celebri locuzioni "Le faccio causa!" oppure "Ci vedremo in Tribunale!"), è proprio il caso di dire, parafrasando un celebre motto coniato da Adriano Celentano, che dirimere i contenziosi senza ricorrere al giudice ordinario è "rock" ma, soprattutto, non è ... "lento"!
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